i quaderni di Cico
 
 

 

 

ordinalo senza spese di spedizione


... e di Renzo Brollo,
leggi anche

SE TI PERDI TUO DANNO
,
MIO FRATELLO MUORE MEGLIO
e anche
METALMECCANICOMIO

titolo:"RACCONTI BIGAMI"
collana i quaderni di Cico
autore Renzo Brollo
ISBN 978-88-95106-09-0
©2006 - € 12,00 - pp. 144.


Perché Bigami - Questi dieci più uno racconti sono nati traendo spunto da fatti realmente accaduti e mischiandoli con l’istinto fantasioso di chi li andava componendo in un gioco di necessità. Non c’è modo di riconoscersi, non c’è offesa ad alcuno perché lo spunto vero ha perso consistenza, il moto narrativo ha succhiato la verità dai fatti diventando esso stesso il mezzo, il fine, e dunque la cosa reale.
Credo che alcuni racconti abbiano della cattiveria, ma è una cattiveria riposta, altri invece sono malinconici, altri ancora irriverenti a seconda del giorno, dell’umore e dei vezzi meteoropatici che stralunavano i pensieri, rendendoli ora acidi ora gioiosi.
Ad ogni buon conto, si tratta di dieci più uno racconti bigami, e l’unica cosa che davvero li accomuna è l’essere nati da un amore bigamo e dibattuto fra verità e finzione. (Renzo Brollo)



 
cico al cinema

si gira!

CICO AL CINEMA CON RENZO BROLLO

Vicini di casa - il Cine  

UPON A DREAM

"VICINI DI CASA" (visins di cjase) tratto da "RACCONTI BIGAMI" di Renzo Brollo è diventato un film con Giorgio Monte e Manuel Buttus

www.uponadream.it

 
Consigliamo visione a tutto schermo, a 1080p
 

 

VICINI DI CASA (tratto da RACCONTI BIGAMI)

Incerte madonne verranno a farsi sentire.
Sul sagrato. In piedi o in ginocchio. Esitanti o dal passo sicuro, faranno di tutto per redimerci. Ma noi, stoicamente come i nostri nonni ci avevano insegnato, non abbandoneremo le nostre posizioni. Saremo ligi al dovere e difenderemo le nostre trincee, fatte di cicche spente e bicchieri di plastica accartocciati.
E per cosa poi? Urleremo loro in faccia.
Per vincere un posto alla mensa?
Ma quello ce l’abbiamo già, basta mettersi in coda e ricordarsi di non ordinare il polpettone,
che con chissà cosa lo fanno. Ecco quindi che, diremo loro, potete tornare sui vostri passi. Ma le incerte madonne non torneranno da dove sono venute. Piuttosto se ne staranno zitte a guardarci, rendendoci ancora più nervosi e cattivi, tanto che cominceremo a litigare fra di noi. Fai largo, tu, non vedi che ho i piedi allo scoperto? Vuoi proprio farmi ammazzare? Versami dell’altro vino piuttosto, e idiota che sei. Questo non devo mai scordarmi di dirtelo.
E loro ancora là, senza dire una parola, con quella faccia a metà tra il desolato e il beato. Una cosa che puoi interpretare come vuoi, dipende da come ti senti e da come sarà andata la tua giornata. Care incerte madonne, continueremo noi, non avete proprio null’altro da fare? Ci sono cocchi a milioni da salvare, miseri da raccattare, inetti da recuperare. Con noi sarà tutto fiato sprecato e tempo buttato e soldi spesi a vanvera. Perché un budget ce lo avrete anche voi, lassù nel Creato…non vorremmo proprio che il santo cassiere (chi sarà mai quello preposto a tale dovere, Sant’Oro?) scendesse inoltrandovi formale protesta e chiedendo
il conto a noi.

Ma le Incerte madonne insisteranno
nella loro terapia del silenzio-attesa. Che un buon tacere ha sempre funzionato. E noi, acidi ed elettrici come murene, sembreremo tanti piccoli autoscontri senza pilota con la chiavetta perennemente inserita,
che vanno e vanno fino a scontrarsi con l’altro. Bum e rimbalzo, bum e rimbalzo, con la stupida musichetta dance che farà da sottofondo. Grazie di essere stati in nostra compagnia, una voce ci saluterà dall’alto, annunciando eterna pioggia ed eterna bolletta
per quelli che, incautamente, avessero tentato
l’investimento nei bot vaticani. Ego sum pauper. Io sono povero, non ho niente, ma tutto ti dono: questo il motto impresso sulla maglietta del cherubino che, gioendo del nostro pentimento, esulterà sotto gli spalti, sollevando la tunica celeste.

(“Incerte Madonne” da “I Ricordi della Mangusta”)


1.
Il mio vicino d’appartamento è agitato.
Ho fabbricato un cono di cartone e ci appoggio l’orecchio sopra per spiare meglio le sue mosse. Lo sento aggirarsi per le stanze inquieto, nervoso. Tocca i soprammobili e li fa cadere, apre e chiude cassetti con violenza. Accende la televisione e alza il volume al massimo, subito dopo la spegne e così via. Mi sta rendendo nervoso.
“Ti faccio assoluto divieto di andare a disturbarli” ha detto mia moglie prima di partire. Questo, tre giorni fa. “I nostri vicini sono strani, ma ciò non ti autorizza a spiarli notte e giorno.”
Certo non sono pazzi, questo lo so, ma vanno e vengono vestiti a quel modo, tutti colorati, con piume e pennacchi, con nasi finti e scarpe sformate. Non è mica normale.
“Lo sai, te l’ho già detto che lavorano in un circo. Entrano ed escono spesso, ma non fanno troppo rumore, e mentre sono via non ti daranno fastidio.”

Ma poi c’è stata quella lite, giusto ieri. Hanno gridato e urlato per due ore intere. Ho guardato l’orologio non appena hanno iniziato ad insultarsi e ho tenuto d’occhio le lancette fino a quando non hanno smesso. Credo che abbia vinto lei, perché ho sentito la porta di casa sbattere violentemente, passi che scendevano le scale e poi ho sentito la voce di lui imprecare in cucina. Le nostre stanze sono simmetriche e, a quanto dice mia moglie, arredate praticamente alla stessa maniera, perciò ho capito che stava seduto al tavolo del cucinino a battere i pugni sulla fòrmica grigia.
“L’amministratore ha comperato uno stock di mobili tutti uguali, per questo siamo come fotocopie accatastate una sull’altra.” Così mia moglie è solita definire casa nostra. Un vero peccato, adoro il nostro appartamento e saperlo uguale agli altri, sebbene non avendoli mai visti non ne abbia la certezza, mi disturba. Ma cerco di non pensarci.
Non hanno figli, meno male, tutto silenzio guadagnato, forse per colpa del loro lavoro strano. Certe volte vedo dalla finestra le punte dei loro tendoni, appena fuori città. Una volta ci avevano pure appeso un dirigibile in miniatura, di quelli gonfiabili. Da lontano, da dove stavo io, sembrava vero sul serio, tanto che m’ero messo paura e pensavo che i Russi ci avessero invaso di punto in bianco. Avevo chiamato la polizia, che aveva chiamato l’esercito. Un vero casino e quando si scoprì che era un falso allarme vennero da noi, anzi andarono dritti da mia moglie chissà perché. Non ho mai capito come andò a finire quella storia, lei non ha mai voluto raccontarmi niente ed io, che di faccende che non riguardano casa nostra mi interesso poco, non ho mai chiesto dettagli.
Mia moglie m’ha raccomandato di lavorare alla mia miniatura mentre lei sarà in viaggio. Si tratta di una fedele riproduzione di una nave mercantile tutta fatta di stuzzicadenti, una bananiera con due stive per il carico. Delle banane, appunto. Tornerà dopodomani, lei, e ha promesso di portarmi qualche cosa, io spero un binocolo, o un telescopio per guardare il palazzo di fronte.
Sono stato spento per parecchio, ma dopo, mentre guardavo fuori dalla finestra mi è parso di sentire la loro porta sbattere nuovamente. Ho creduto che anche lui se ne fosse andato, chi lo sa, magari a cercare sua moglie. Invece i rumori all’interno sono ricominciati. Ed erano molto più forti e sconnessi di prima. Sembrava parecchio più incattivito, come se il tanto pensare gli avesse fatto montare una rabbia dentro che ora debordava dal suo corpo, costringendolo a sfogarsi sull’arredamento e sulle stoviglie, non trovando alcun antagonista da affrontare. Mi sono seduto sul divano a riflettere e a ragionare su quanto stava accadendo ai nostri vicini. Ho preso carta e penna, ho spento la luce per non farmi distrarre da nulla e alla fine ho elaborato questa breve teoria:

a) I nostri vicini hanno litigato e Lei se n’è andata da sua madre sbattendo la porta.
b) Lui è molto orgoglioso, tutti quelli che lavorano al circo lo sono e dunque non l’ha rincorsa, sperando che tornasse sui suoi passi da sola.
c) Dopo alcune ore il senso di colpa o la solitudine lo hanno sopraffatto ed è uscito sul pianerottolo con l’intenzione di andarla a cercare, ma poi il carattere del maschio dominante ha prevalso ed è rientrato in casa sbattendo la porta.
d) Adesso vaga senza pace per la casa, attendendo il suo ritorno.

L’ho trascritta e appesa al bagno, come fanno i pugili con le foto degli avversari, così me la guardo e me la studio ogni volta che mi scappa da pisciare.

2.
Sto cercando di immaginare i suoi movimenti, ma senza poterlo vedere è difficilissimo. La donna non è tornata e deve aver trascorso la notte da solo, proprio come me. Mia moglie ha telefonato stamattina e mi ha chiesto cosa stavo facendo.
“Sto tagliando a misura gli stuzzicadenti” le ho detto, “devo costruire i coperchi delle stive e terminare la poppa.” Non era vero. Quello che stavo facendo era molto più eccitante e divertente che costruire modellini di legno.
“Non stai dando noie ai nostri vicini, vero?” mi ha chiesto lei. Io ho insistito su come fosse faticosissimo e difficilissimo tagliare con precisione assoluta gli stuzzicadenti e perciò non avrei proprio avuto tempo per loro. Ha riso freddamente dall’altra parte del mondo, mi pare si trovi in Australia per delle conferenze su non so che progetto di cura per deviazioni schizoidi riguardanti maschi adulti paranoici. Cose noiose, insomma, buone solo per dormire davanti alla televisione.

3.
Si muove. Non sa proprio stare fermo, quello lì. E’ talmente agitato che dai rumori che fa sembra saltare sul divano, rotolare per terra e graffiare i muri dalla rabbia. Certe volte mi siedo all’indiana davanti al muro, quello della sala, dove so esserci anche il loro salotto con il televisore, il divano e la credenza, tutto speculare a casa nostra. Sto seduto ad occhi chiusi e mi concentro solo sui rumori che provengono dall’altra parte e tento di visualizzare la stanza dall’alto in prospettiva, proprio come fosse un progetto. Allora riesco a vederlo, seppure sfuocato, senza i dettagli, aggirarsi a volte furtivo, a volte deciso e carico di cattiveria. Eccolo aprire armadi e rovistare negli scaffali, cercando chissà che cosa, poi andare in bagno e sfogarsi svuotando a ripetizione lo sciacquone, mettendo a dura prova la tendina per la doccia, tirandola e strappandola.
Ho avuto la tentazione di bussare alla parete, ma una vocina da dentro, molto simile alla voce di mia moglie, mi ha ricordato che ho fatto una promessa e che chi non mantiene le promesse farà una brutta fine. Dicono che i bugiardi non vadano proprio all’inferno, ma un gradino più giù. E io non ci voglio andare da quelle parti.

4.
E’ notte, finalmente. Mi piace, perché i rumori da fuori si acquietano e posso sentire molto meglio tutti quelli provenienti dal palazzo. C’è un famiglia due piani sopra il nostro. Moglie, marito, due figli, un gatto. A notte fonda, quando tutti dormono, riesco a sentire il felino rifarsi le unghie sulla fodera del divano. Ci vuole concentrazione, certo, e fortuna dico io. Basterebbe che qualcuno si rigirasse nel letto, starnutisse, oppure che un’auto decidesse di svoltare proprio nella nostra via per rovinare tutta quanta la trama dell’ascolto.
Anche il mio vicino sembra essersi tranquillizzato da un po’. Sono esattamente dodici minuti che non sento altro che il rumore della pendola del nostro salotto. Forse dorme, o forse si è fatto male ed è svenuto. Forse è morto. In effetti poco prima che smettesse di muoversi ho sentito un tonfo sordo. Come di qualche cosa di pesante che cade a terra. Potrebbe aver preso uno di quei grossi cuscini di velluto dal divano e averlo gettato a terra. Mi viene il dubbio che possa aver inciampato e sbattuto la testa sul pavimento. Dovrei chiamare la polizia…ma visti i precedenti è meglio che aspetti un altro po’.
C’è il numero del pronto intervento in bella mostra sulla credenza. Sono passati dieci minuti da quando ho deciso che sì, devo chiamare i soccorsi e sono ancora imbambolato davanti al telefono. Non riesco a decidermi. Forse perché la situazione non mi è ancora ben chiara.
Ho percepito una specie di mugolio poco fa, una cosa leggerissima, quasi impercettibile e se non fosse che ho le orecchie ben allenate non credo l’avrei sentito. Ma d’altra parte potrebbe essere solamente ferito e non morto, come pensavo e perciò, mi sono detto, credo che aspetterò ancora un minuto esatto e poi chiamerò il 113.
A rovinare tutto quanto ci ha pensato mia moglie, che nel bel mezzo della notte ha deciso di telefonarmi. Non si ricordava che il fuso orario è diverso e credeva che qui stessimo cenando.
“Oh, scusami tanto” ha detto, “ti ho svegliato vero?” E io che non volevo deluderla ammettendo che invece ero sveglio e vigile, ho fatto la voce assonnata e l’ho rimproverata bonariamente.
“Come procede il modellino? Lo sai, vero, che quando torno voglio vederlo finito?” Allora mi è venuto il dubbio che se continuo a lasciarlo da parte poi quando torna e non l’avrò finito, sicuramente si insospettirà e vorrà sapere cos’ho fatto in tutto questo tempo. Così ho dovuto inventare una scusa stupida. Le ho detto che mi era caduto proprio mentre stavo terminando una delle due stive e si è sfasciato. Ma, siccome sono un tipo intraprendente, le ho pure confidato che ho già ripreso dall’inizio tutto il lavoro. E sono già a buon punto.
“Ti sei lavato i denti?” ha domandato. Odio quando me lo chiede. Mi fa sentire un verme, perché sembra che lo sappia che quando non c’è non me li lavo mai. Così mi tocca di raccontare una nuova bugia che mi avvicinerà di un altro gradino a quella cosa che sta sotto l’inferno.

5.
Proprio mentre poggiavo la cornetta l’ho sentito muoversi in salotto. Credo proprio che fosse disteso sul divano, perché ha fatto un tonfo leggero ma sordo, come se avesse appoggiato i piedi a terra. Sto invecchiando, non me ne ero accorto che si fosse messo lì, lo pensavo ancora disteso a terra esanime. Meglio così….
Prendo appunti, scrivo spostamenti e orari, mie impressioni sui suoi atteggiamenti e sul suo carattere.
“Maschio adulto, media età. Poco socievole, incline agli scatti d’ira. La sua vita privata sembra un contrappasso di quella pubblica e lavorativa. Con le persone estranee è costretto a ridere e scherzare felicemente, nell’intimo si sente solo nonostante la compagna. Utilizza la casa come poligono di tiro, rifugio fisico e cerebrale. Non sembra pericoloso per altri se non per se stesso.”

Non deve essere una bella situazione per lui. La moglie ancora non si è vista o sentita e a questo punto non tornerà più. Sono un catastrofista, me ne rendo conto, ma penso di avere fiuto per queste cose. Come quando mia moglie perse l’incarico all’università. Me lo sentivo già da un paio di giorni che sarebbe successo. Già dal tono di quelle lettere che ritirai dal postino per lei e che, su di-sposizioni di mia moglie medesima, non avrei dovuto leggere. Parlavano di scadenze da rispettare, di documenti da consegnare, e io mi indispettii per quella malcelata maleducazione nei suoi confronti. Non potevo certo permettere che leggesse quegli insulti e perciò le distrussi ancor prima che potesse vederle. Così, quando il rettore venne a casa nostra e le comunicò che l’incarico sarebbe stato affidato a un altro per la mancata consegna del materiale richiesto, non piansi più del necessario. Insomma, non tanto quanto lei.

Il maschio sono io e dunque spetta a me mantenere l’ordine, qui. Sebbene sia solo mia moglie a lavorare, io ho la responsabilità di dirigere casa, controllare che tutte le stanze siano in buono stato e che niente venga spostato senza un valido motivo. E’ un lavoro faticoso, che mi porta via molte energie. Mi dispiace perché vorrei coltivare altre mie passioni, come il modellismo, appunto, e come la vigilanza nel quartiere dalla mia postazione segreta. Si trova sul terrazzino che si affaccia alla strada, che è ben riparato da uno strato di cerata e dunque posso vedere senza essere visto. Riesco ad accorgermi di molte cose che accadono giù in strada, molte di più rispetto a quelli di-stratti e abituati a passare velocemente a piedi o in macchina. Ecco perché spero che mia moglie mi porti in regalo un binocolo, o un piccolo telescopio.

6.
Quando mi muovo cerco di farlo cautamente, nel più silenzioso dei modi possibili. So che potrei attirare la sua attenzione, insospettirlo, indurlo a vedere quel che succede da questa parte, suonare il campanello per chiedermi cosa c’è da spiare. Non voglio proprio che accada una cosa del genere, non saprei come comportarmi. Così mi muovo come un ladro, senza mai usare scarpe o ciabatte. Ho indossato quattro paia di calzini pesanti e non faccio alcun rumore camminando. Cerco di non toccare niente, nemmeno le stoviglie in cucina. Mangio cose precotte e nemmeno le riscaldo per paura che l’accendino faccia troppo sfrigolio quando lo maneggio. Al bagno ci vado spesso, non posso evitarlo, ma non uso lo sciacquone che farebbe un gran fracasso. Ammetto che l’odore comincia ad infastidirmi e così dovrò decidermi a rischiare e mandare giù un po’ di quella cosa che galleggia nella tazza e che mi fa schifo solo a nominarla, così non lo dirò nemmeno come si chiama. D’altra parte non ho né tempo né voglia di distrarmi facendo altre cose. Occuparmi del mio vicino, studiarlo e catalogare le sue mosse mi tiene impegnato ventiquattro ore su ventiquattro. Non dormo, ma a questo ci sono abituato. Non ricordo di aver mai dormito una notte intera, ci sono troppe cose da sentire, ascoltare, immaginare.

7.
Casa nostra non è certo spoglia, anzi direi che mia moglie l’ha personalizzata con gusto. Ai mobili “fotocopia” ha aggiunto soprammobili antichi e moderni. Non che io me ne intenda, ma mi piace guardarli da vicino, osservarli nei particolari, trovarci i difetti o deformazioni. Così ho scoperto su di un’antica statuetta di legno rappresentate un guerriero africano un minuscolo foro, proprio sulla nuca. Secondo mia moglie era un difetto di fabbricazione, ma io credo si trattasse di un tarlo. Così mi sono appostato e ho piantonato la statuetta per trentasei ore di fila. Non mi sono mai mosso e ho sempre tenuto d’occhio il foro, per vedere il tarlo fuoriuscire dal buco. Nonostante mia moglie continuasse a rimproverarmi per la mia insistenza, non ho mollato. E’ successo che ad un certo punto devo essere svenuto per i morsi della fame. Non mi ricordo molto bene, so che la vista mi si è annebbiata, poi mi sono ritrovato steso sul letto con mia moglie da un lato e un’infermiera dall’altro. In mezzo una flebo alta e grossa. Adoro le flebo. Puoi startene fermo a guardare quelle gocce che scendono lentamente una dopo l’altra e osservarle nei dettagli, fino a quando non si staccano, fondendosi con il resto del liquido. Questo bel gioco mi ha fatto dimenticare la statuetta e il tarlo. Quando ho ripreso le forze non avevo più interesse per loro e ho gettato la statuetta nella stufa. Certo non ho raccontato nulla a mia moglie, le ho detto che non sapevo assolutamente dove fosse finita e credo se la sia bevuta perché ne ha comperata una nuova. Di ferro battuto, questa volta.

8.
E’ passata la notte. Tranquillamente, direi, forse anche troppo per i miei gusti. Domani sera mia moglie sarà di nuovo a casa e anche questo bel gioco dovrà finire. Non so, magari m’invento qualcosa e faccio ritardare il suo ritorno per un altro giorno, così tanto per prolungare ancora un po’ il divertimento. Ci penserò questa sera.
Subito dopo colazione è successo un incidente. E devo attribuire la colpa di tutto anche in questo caso a mia moglie. Con la sua mania di tenersi in forma facendo sport, lei adora il tennis, ha riempito casa nostra di racchette e palline. Ed è proprio di quelle stupide palline gialle che sto parlando. Rotolano dappertutto, non stanno mai ferme nello stesso punto, non puoi accatastarle. Così, mentre tentavo di riordinare il ripostiglio facendo meno rumore possibile - e direi che fino a quel momento c’ero riuscito alla perfezione -, una di quelle odiose palline è uscita dalla confezione a tubo da tre. Se ne stava in bella mostra nello scaffale più alto dell’armadio a muro e non so come il tubetto ha deciso di rovesciarsi ed espellerne una. La pallina ha fatto quattro rimbalzi in salotto prima che la raggiungessi e la buttassi nella stufa, proprio come avevo fatto con la statuetta di legno. Solo che la palla ha fatto fatica a bruciare e ha riempito la casa di un odore sgradevolissimo. Ma non è questo il punto. Ho avuto paura che il mio vicino mi avesse scoperto. E in effetti deve essere andata proprio così. Ho sentito un tonfo come di uno che scende velocemente dal divano e dei passetti furtivi che si avvicinavano alla parete. Allora mi sono tappato la bocca e ho chiuso gli occhi, come se anche solo guardare facesse rumore. Ho sperato, pregato che credesse d’essersi sbagliato, invece è successa una cosa stranissima. Dall’altra parte, proveniente dalla stanza nella quale si trovava lui, ho sentito un rumore. Ma non un rumore qualsiasi. Uno ben preciso, che avevo udito pochi istanti prima nella mia stanza. Ho distnto con precisione quattro “toc” o “pop” secchi e felpati, come di una pallina da tennis che rimbalza pesantemente sul pavimento. Dopodiché, il silenzio più assoluto.

9.
E’ davvero strano. Non so cosa pensare. Ho cercato di riassumere tutta la faccenda e ho rivalutato lo schema che avevo appeso alla specchiera del bagno. Credo di averlo letto e riletto un centinaio di volte, poi ho aggiunto un nuovo punto:

e) Ha bisogno estremo di comunicare con qualcuno. Il mio maldestro incidente lo ha esortato a tentare un approccio.

La teoria che ho elaborato è molto semplice. Sono giorni che non parla con nessuno, che cerca in tutti i modi di sfogare la sua rabbia e il suo dolore, ma inutilmente. Ora ha assoluto bisogno di raccontare la sua storia a un altro essere vivente, vuole trovare orecchie disposte ad ascoltare, magari senza interventi o consigli. Solo un individuo che recepisca i suoi turbamenti e se li tenga, liberandolo dalla tristezza. Così mi sono offerto volontario e ho deciso di rompere il silenzio che ci separa. Non sarà la solita visita di cortesia, oh no davvero. Non uscirò certo di casa per andare a bussare alla sua porta. Sono anni che non esco, non lo farò nemmeno ora. Tenterò invece l’esperimento della comunicazione rumorosa, ovvero lo scambio di idee e messaggi attraverso semplici suoni prodotti da oggetti d’arredo o stoviglie. Una specie di alfabeto morse casereccio.
Corro in ripostiglio e prendo un’altra pallina da tennis. La tecnica che ho in mente consiste nella produzione di un singolo rumore. Perciò altri suoni estranei dovranno essere ridotti al minimo, o azzerati. Mi posiziono davanti alla parete e ripeto lo stesso movimento che in precedenza era stato del tutto involontario. Quattro rimbalzi esatti e poi stop. Pronti… via…pop…pop…pop… e pop.
Mi fermo e ascolto. Passa un minuto, ne passano due e poi anche un terzo. Alla fine ecco la risposta tanto attesa. Dall’altra parte, flebili e quasi indecisi, altri quattro rimbalzi del tutto simili ai miei…pop…pop…pop…e pop.
Splendido, fantastico, eccellente. Ora devo cercare la riprova cambiando il suono. Mi guardo attorno, poi saltello leggero in cucina e torno con due mestoli di latta. Ecco, blam e blam… cozzano fra loro e producono il suono che per me significa: “Ti sono amico, puoi parlare con me.”
Passano ben più di cinque minuti senza alcun esito, tanto che penso di aver rovinato tutto con questa variazione, ma all’improvviso sento la risposta e quasi mi lascio scappare un grido di entusiasmo. Blam e blam… suono uguale prodotto da oggetti simili. Questo significa che il mio vicino ha capito il meccanismo e forse anche la simbologia che ci sta dietro.
Mi rendo conto che il tempo trascorso prima della risposta è stato necessario per trovare l’oggetto adatto e mi prenderei a pugni per non averlo capito al volo.


10.
Andiamo a meraviglia, io e lui. Abbiamo ripetuto la stessa sequenza di suoni, pallina e mestoli, per tutta la mattinata, variando il numero di rimbalzi e di percussioni. Il mio amico - oramai penso di poterlo considerare tale - si sta appassionando. Proseguiamo per tutto il pomeriggio, fino a tarda sera.
A un certo punto, dopo la mia ennesima sequenza e la sua pronta risposta, lo sento sbuffare, o meglio quasi grugnire di soddisfazione, e adagiarsi sul divano. Passano due ore di silenzio quasi totale.
Siccome non posso vederlo e non so con certezza cosa stia facendo, ho sempre paura che si svegli e che, volendo riprendere il gioco, mi trovi impreparato. Così non mi sposto di un centimetro dalla posizione, pronto per riprendere non appena si ripresenterà l’occasione.
Passa ancora un’ora, ne passano due, poi un altro paio, fino a quando non vedo il grigio dell’alba rischiarare la stanza. Ho le ossa indolenzite, i piedi mi fanno male, ma sono fiero di aver obbedito alla regola che mi sono dato. Immobilità e dinamismo allo stesso tempo. Silenzio assoluto pronto al balzo…anzi al rimbalzo, ah ah ah! Certe volte mi riconosco un umorismo esilarante che quasi mi spaventa.
Attenzione. Qualche cosa si muove in casa sua. Forse si sta svegliando, forse dorme, sogna e si rigira.

11.
“Ciao, sono io. Sono all’aeroporto di Francoforte. Sarò a casa per stasera intorno alle dieci, sempre che la neve non ci blocchi qui tutti quanti, sapessi come viene giù! Se non mi rispondi significa che stai facendo il solito bagno mattutino. Mi pare che questa volta ci metti un’eternità però, deve essere più di un’ora ormai che sei a mollo. Mi raccomando, fatti trovare bello e sbarbato che questa sera si mangia indiano.”
Il messaggio s’interrompe e la segreteria riavvolge il nastro. Quando ha squillato il telefono ho capito subito che era mia moglie. Non si dimentica mai di telefonare per controllarmi, sapere come sto, perché le manco. Anche lei mi manca certe volte, in alcuni giorni, quelli più piovosi, ma di sicuro non adesso. Perché ho da fare con il mio vicino, devo dialogare con lui. Oggi devo avanzare, progredire nella comunicazione prima che torni mia moglie, e anche senza sottovalutare l’incognita sempre presente del rientro inaspettato della compagna del mio nuovo amico.
Confido che la lite sia stata piuttosto aspra, tanto da trattenerla lontano da casa ancora per un poco.
Intanto devo trovare un nuovo codice, una nuova sequenza che mi aiuti a superare questo gradino. Mi avvicino con la faccia al muro, il mio naso sfiora l’intonaco. Ci metto la mano sopra e sento il freddo della calce sul palmo della mano. Faccio il tentativo. Tamburello con le dita, come se fossi impaziente. Le dita producono una scarica ritmica veloce ma netta, ed era quello che volevo. Mi metto in ascolto. Dall’altra parte lo sento muoversi, alzarsi dal divano e spingersi verso la parete. Lo avverto tastare il muro, come se volesse cercare il punto dal quale è arrivato il suono. Mi pare chiaro che se non ci fosse una parete di mezzo ci staremmo guardando negli occhi. Un minuto d’attesa interminabile ed ecco la sua risposta. Mi sorprendo perché è imprecisa, difettata, non proprio netta come la mia. Come se avesse difficoltà a coordinare le dita nella ripetizione del gesto. Riprovo tamburellando, ma questa volta con un ritmo leggermente più lento. Ed ecco che il mio vicino ripete la sequenza, anche in questo caso con una sorta di indecisione, direi probabile imbarazzo, che avverto dal suono più debole e cauto. Rafforzo la mia idea che forse la sua mano ha qualche cosa che non va, segno di una lite violenta o di un incidente domestico causato da un impeto di rabbia.
Mi siedo lentamente, con la schiena appoggiata alla parete e penso. Penso a noi due e alla barriera che ci divide e che si sta assottigliando sempre più. Un leggero sentimento di paura mi attraversa, provocandomi un brivido sudato alla schiena.

12.
No so, forse mi sono distratto o forse sto davvero invecchiando. Ma improvvisamente mi accorgo che c’è qualche cosa di diverso. Qualche cosa è cambiato nell’ambiente in cui vivo. Un elemento si è aggiunto. Mi guardo attorno e non capisco da dove provenga una tale fastidiosa sensazione. Mi alzo e mi aggiro per le stanze osservando i mobili, soprammobili, annusando l’aria. Niente, tutto è ordinato come io stesso conosco e so. Eppure l’idea che ci sia una sensazione nuova in casa persiste e non mi piace. Non mi va di perdere il controllo della situazione. Esco sul terrazzo. La tela cerata m’impedisce di vedere quello adiacente, dove vivono i nostri vicini. Sto per rientrare, poi abbasso gli occhi ed eccola! Ecco la cosa nuova che prima non c’era e che adesso c’è. E’ una specie di carta da gioco, di tarocco, ma diversa dal solito. Mi abbasso e la raccolgo. Il formato è lo stesso delle carte, ma i simboli non corrispondono. C’e’ un numero, il 65, e un disegno che rappresenta un bambino che piange. In basso a sinistra una scritta: ‘o chianto – il pianto.
Sto per gridare, ma mi trattengo. C’è una fessura che non avevo mai notato prima ai bordi del terrazzino. Una feritoia quasi invisibile che comunica con il terrazzo adiacente e dunque con l’appartamento del mio vicino. E lui, sfruttando questo passaggio ha voluto parlare con me, mandarmi un messaggio. Il cui significato è chiarissimo. Lui è triste, piange, si sente solo!

13.
Giro e rigiro la carta fra le mani. Eppure i disegni mi sono famigliari. Li ho già visti da qualche parte, e “da qualche parte” per me significa qui in casa. Furtivamente entro nello sgabuzzino, mi siedo e guardo tutto quanto, ogni cosa fin nei minimi dettagli. La soluzione è qui dentro, ne sono certo. Ci metto due ore, forse anche di più, ma alla fine, con gli occhi che mi bruciano dallo sforzo, trovo quello che cercavo. Non si tratta dello stesso oggetto, ma di qualche cosa di molto simile, almeno nel significato. Tempo fa, mia moglie mi portò in regalo da Napoli la tombola e su ogni casella c’era rappresentata la smorfia napoletana abbinata al numero. Eccitato come un bambino ho ritagliato tutte le caselle e le ho disposte sul pavimento. Le osservo una ad una e infine scelgo quella adatta. Raggomitolato sul terrazzo infilo nella fessura il tassello con il nr.5: ‘a mana – la mano. Voglio aiutarlo e spero che lui capisca.
Il cielo s’annuvola e il vento comincia a farsi freddo sebbene sia soltanto mezzogiorno. Ho intenzione di aspettare qui fino a quando non avrò ricevuto risposta, costi quel che costi. Alzo il bavero della giacca e chiudo gli occhi. Sento la carta ancora prima di vederla. Il 31: ‘o padrone ‘e casa – il padrone di casa. Forse vuole dirmi che sua moglie non c’è e che lui ora è il capo, non so. Gli rispondo con il tassello nr.70: ‘o palazzo. Vorrei sapesse che io, invece, sono il padrone di tutto quanto. Mi pare un’ottima risposta, condita con un pizzico di cinismo ironico. La terza sua carta quasi mi fa sganasciare dalle risate e devo ingoiare tutta la mano per non farlo. Raccolgo e bacio la carta nr.66: ‘e ddoie zetelle – le due zitelle. E’ vero, siamo proprio come due vecchie comari che si scambiano pettegolezzi e non posso far altro che rispondere con il 19: ‘a resata – la risata.

14.
Nemmeno me ne sono accorto che stiamo praticamente dialogando. Sicuramente siamo seduti vicini, divisi solo da una ringhiera e da una cerata. Avverto la sua presenza, ma non è ingombrante, non è fastidiosa. Mi viene in mente solo un vocabolo per definirla, anche se non c’entra niente: ludica.
Sento il fruscio della carta in arrivo e guardo scivolare da sotto la tela il nr.80: ‘a vocca – la bocca. Ha fame, penso, magari ha il frigo vuoto e non vuole uscire a fare la spesa. Prendo il tassello nr.86: ‘a puteca – la bottega e quello mi risponde con la carta nr.46: é denare – il denaro. E’ un problema allora, senza soldi non si va da nessuna parte e men che meno si mangia.

Trattengo un sospiro di smarrimento. Sono ad un punto morto. S’è fatto pomeriggio inoltrato e siamo ancora qui fuori, con il freddo che comincia a entrare nelle ossa e la conversazione piantata a metà. Sento che c’è bisogno di progredire ancora, salire un altro gradino nella scala della comunicazione, evitando sempre di rivolgerci la parola. Squilla il telefono. Questa volta rispondo, ma non è mia moglie. E’ mia suocera che mi chiede se ho notizie del suo arrivo. Non ho alcuna voglia di parlare con lei, così riattacco senza nemmeno scusarmi. Me ne torno sul terrazzo e il telefono ricomincia a squillare. Parte la segreteria e contemporaneamente un rosario di insulti e maledizioni. Mia suocera non perdona facilmente. Tento un’ultima carta con il mio amico, vorrei in qualche modo presentarmi, ma cercando di farlo sorridere. Avanzo il tassello nr.22: ‘o pazzo e subito dopo il 23: ‘o scemo. Dall’altra parte una sola risposta, per me incomprensibile. Il nr.59: é pile – i peli.

15.
Me ne sto disteso sul divano a guardare la carta nr.59. Cosa avrà voluto dirmi? Che è molto peloso? E che m’importa! Forse significa che ha freddo e ha bisogno di una coperta, ma mi sembra un’interpretazione troppo fantasiosa. Mi mordicchio le unghie, mi gratto gli avambracci fino a spellarmi, ma non mi viene in mente niente. Ho bisogno di cambiare qualche cosa nello schema del nostro rapporto e si sta facendo tardi. Un’ora, un’ora soltanto e mia moglie varcherà quella soglia e io dovrò smettere di comunicare con lui.
Credo che mi mancherà.
Devo vederlo, forse è questo. Devo trovare un modo per vedere qualche cosa di lui, senza che lui noti me. Torno vicino alla parete della sala, la scruto, la palpo e l’annuso. C’è un quadro molto grande e pesante, che se ne sta appeso chissà da quanto. Rappresenta una donna, una femmina molto procace. Non che questo abbia mai attirato la mia attenzione, piuttosto mi incuriosisce il chiodo al quale sta appeso. E’ molto grosso, non ha le solite dimensioni e inoltre è piantato molto in basso, cosicché la cornice è facile da spostare. Sollevo il quadro e lo tolgo dalla sua sede. Sul muro rimane un’ombra più chiara, una sorta di negativo. Mi arrampico su uno sgabello e metto il dito nel foro. E’ profondo e potrebbe quasi trapassare la parete. Cerco e trovo un cacciavite abbastanza lungo e mi metto a lavorare. I mattoni rossi sono teneri e non ci metto molto ad arrivare dall’altra parte. Con la lingua a penzoloni dallo sforzo, mi alzo sulle punte dei piedi e sbircio.

16.
(...)



Gli altri titoli sono: Intro! - Canaja scuria (Ragazzi difettosi) - La solita mattanza - La solita mattanza - Lotus -Piccoli sinistri tra amici - Storia del killer - Una storia da una storia - Una giornata tipo - Me e Monsieur N. - Certe cose dentro - Il Raccontapalle

 

 

Renzo Brollo vive a Gemona del Friuli (Udine). Dal novembre 2003 è redattore della rivista on-line Dadamag (www.dadamag.it). Si interessa da sempre di vita, storie e letteratura. Suona nel gruppo dei bakan (www.bakan.it). Su internet pubblica con lo pseudonimo di Tapenoon. Ha pubblicato Racconti Bigami (Cicorivolta 2006), Se ti perdi tuo danno (Cicorivolta 2007), Mio fratello muore meglio (Cicorivolta 2010), Metalmeccanicomio (Cicorivolta 2014).