i quaderni di Cico
 
 

 

 

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*La traduttrice, Federica Pistono,
è laureata in Lingua e Letteratura araba presso l’Università degli Studi L’Orientale di Napoli, ha conseguito un diploma di master in Traduzione letteraria ed editoriale dall’Arabo presso la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici di Vicenza.
Ha inoltre conseguito il Diploma in Lingua araba presso l’Istituto di Lingua Araba dell’Università Statale di Damasco nonché il Diploma in Lingua araba presso lo Yemen Language Center di Sana'a.
Per Cicorivolta Edizioni ha tradotto,
di Ghassan Kanafani, il romanzo
L'altra cosa (Chi ha ucciso Layla al-Hayk?), i racconti Uomini e fucili e i tre romanzi brevi, o racconti lunghi, L’Innamorato, Susine di aprile e Il cieco e il sordo, contenuti nell’opera dal titolo “
L’Innamorato”, tutti pubblicati per la prima volta in Italia tra il 2011 e il 2012. Nel 2012, ha inoltre tradotto e pubblicato, da Cicorivolta, “Primavera nella cenere e altri racconti” e la raccolta “Il tuono”, tratti dall’Opera di Zakaryya Tamer.

 

titolo: "L'oasi del tramonto"
collana i quaderni di Cico
autore Bahaa Taher
(traduzione dall'arabo e nota introduttiva di Federica Pistono*)
ISBN 978-88-97424-41-3
© 2012 - € 14,00 - pp. 348 -in copertina, illustrazione originale di Ilaria Grimaldi (www.ilariagrimaldi.it).


La storia, ambientata negli ultimi anni del XIX secolo, narra la vicenda del Governatore dell’oasi di Siwa, il maggiore Mahmud 'Abd al-Zahir, pseudonimo di un personaggio realmente esistito. Come punizione per le sue implicazioni nella fallita rivolta urabista del 1882 contro l'invasione inglese dell’Egitto, Mahmud è nominato Governatore della splendida quanto remota oasi di Siwa, sede di un insediamento berbero nel cuore del deserto. Mahmud è accompagnato nella sua avventura dalla moglie irlandese Catherine, una studiosa di archeologia volitiva e determinata che, incurante di infrangere tabù millenari e di scatenare sul capo del marito la collera dei Siwani, persegue con pervicacia l’obiettivo di scoprire il sepolcro di Alessandro Magno, passato a Siwa per cercare dall’Oracolo di Amon la conferma della propria discendenza da Zeus*.

(*dalla Nota introduttiva di Federica Pistono)

L'oasi del tramonto è, attualmente, l'ultimo romanzo di Bahaa Taher,
vincitore dell'International Prize for Arabic fiction nel 2008.

 
 

leggi : Federica Pistono e Bahaa Taher. Intervista alla traduttrice e curatrice de "L'oasi del tramonto" (Cicorivolta edizioni)

 
leggi anche l'intervista di Giuseppe Iannozzi a Federica Pistono

 

Nota del traduttore

L’oasi del tramonto è, attualmente, l’ultimo romanzo di Bahaa Taher, vincitore dell’International Prize for Arabic fiction nel 2008.
La storia, ambientata negli ultimi anni del XIX secolo, narra la vicenda del Governatore dell’oasi di Siwa, il maggiore Mahmud ‘Abd al-Zahir, pseudonimo di un personaggio realmente esistito. Come punizione per le sue implicazioni nella fallita rivolta urabista del 1882 contro l’invasione inglese dell’Egitto, Mahmud è nominato Governatore della splendida quanto remota oasi di Siwa, sede di un insediamento berbero nel cuore del deserto.
Gli abitanti dell’oasi, caratterizzati da usi e costumi tanto antichi quanto singolari, nonché da una lingua incomprensibile, sono stati assoggettati dagli Egiziani solo recentemente, dopo secoli di indipendenza, e sono divisi tra loro in due clan rivali in perenne conflitto.
La nomina a Governatore di Siwa è sinonimo di una morte quasi certa: i due precedenti Governatori sono stati infatti assassinati dai Siwani, che mal sopportano la dominazione degli Egiziani, dai quali si sentono colonizzati e ai quali oppongono, quindi, una fiera resistenza.
Mahmud è accompagnato nella sua avventura dalla moglie irlandese Catherine, una studiosa di archeologia che spera di trovare nell’oasi le tracce di Alessandro Magno, passato a Siwa per cercare dall’Oracolo di Amon la conferma della propria discendenza da Zeus.
Mentre lo sguardo di Catherine sul deserto e sull’oasi è filtrato dal prisma della storia antica e dal desiderio di affermazione come archeologa, Mahmud è consumato dai rimorsi e dal rimpianto del proprio passato. L’ufficiale non riesce, infatti, ad assolversi per il comportamento tenuto, anni prima, durante l’inchiesta volta ad accertare le responsabilità dei militari accusati di simpatie e collusioni con i ribelli, così come non può perdonarsi la durezza di cuore che ha allontanato da lui il grande amore della sua vita, la schiava Ni‘ama. Mahmud è tormentato dai fantasmi del passato, si considera quasi un traditore, arriva al punto di desiderare la morte.
Giunta nell’oasi dopo un periglioso viaggio attraverso il deserto, la coppia inizia una vita difficile: Mahmud e Catherine sono infatti circondati da un’invalicabile barriera di ostilità che li isola dagli abitanti del luogo, i rapporti con i quali sono assolutamente gelidi. Le sole persone con cui i due scambiano qualche parola sono i soldati della guarnigione di Mahmud e, in particolare, Ibrahim, il fedele attendente del Governatore. Compito principale di quest’ultimo è la riscossione delle imposte, esageratamente elevate, richieste dal governo egiziano. Come gli Egiziani sono vessati dagli Inglesi, così i Siwani sono oppressi dagli Egiziani, contro i quali tramano continue rivolte.
Mentre Mahmud è impegnato nel difficile duplice braccio di ferro, tanto con i Siwani quanto con il governo del Cairo, al quale chiede una riduzione delle imposte per l’oasi, Catherine continua le sue ricerche, convinta di essere sulle tracce del sepolcro di Alessandro Magno. Nell’isolamento dal mondo, la passione di Catherine per le antichità si trasforma in una vera ossessione, che la porta a violare le tradizioni dell’oasi e la pone in aperto conflitto con i Siwani, aggravando così la già problematica posizione del marito.
Duramente messo alla prova dalle difficoltà e dalla solitudine, il matrimonio di Mahmud e Catherine entra in crisi e si disgrega rapidamente.
Nel dramma si introducono persone che potrebbero favorire la riconciliazione dei coniugi e la loro integrazione a Siwa: l’anziano Shaykh Yahya, un capo del clan dei Gharbiyin, l’unico a mostrare disponibilità verso il Governatore e sua moglie, la bella nipote di lui, Malika, che vorrebbe stringere amicizia con Catherine, la sorella minore di quest’ultima, Fiona, giunta a Siwa per tentare una cura alla tubercolosi in un luogo dal clima salubre e caldo.
Tuttavia nulla sembra poter fermare il meccanismo della tragedia che, ormai innescato, procede inarrestabile verso la catastrofe: l’approccio amichevole della giovane Malika è frainteso da Catherine e si conclude nel sangue, le condizioni di Fiona peggiorano, precipitando verso l’inevitabile epilogo.
Mahmud e Catherine, dopo la morte del loro amore, soccombono, ciascuno a suo modo, ai propri incubi e alle proprie ossessioni.

Il romanzo è ricco di spunti e di elementi che stupiscono e affascinano il lettore.
Il primo dato che balza agli occhi è il continuo intreccio di epoche diverse: il presente, ossia l’ultimo decennio dell’Ottocento, caratterizzato, in Egitto, dalla dominazione britannica; un passato recente, risalente a una quindicina di anni addietro, al tempo della fallita rivolta capeggiata da Ahmad ‘Urabi contro l’invasione inglese dell’Egitto, periodo sovente evocato nelle amare riflessioni di Mahmud; l’epopea di Alessandro Magno, con le guerre e le conquiste del re macedone, i suoi vizi e le sue virtù, epopea che rivive costantemente nei discorsi e nei soliloqui di Catherine; il periodo faraonico, infine, sempre presente come un fondale su cui si staglia l’azione dei personaggi.
Il passaggio da un’epoca all’altra è continuo, la narrazione è contrassegnata da salti temporali che trasportano improvvisamente il lettore dal presente al passato, e viceversa, senza mai fargli perdere di vista, comunque, il filo conduttore della vicenda.
Un secondo elemento che colpisce il lettore è sicuramente la descrizione dell’oasi di Siwa e dei suoi abitanti.
L’oasi è splendida, un ambiente naturale fantastico, caratterizzato da immensi palmeti verdeggianti, da oliveti rigogliosi, da giardini fioriti, da fonti zampillanti e laghi blu che scintillano al sole, circondati dalla sabbia gialla del deserto. In quest’oasi meravigliosa sorgono due villaggi, Shali e Aghurmi. Shali è una città fortificata, arroccata su un’altura, si erge come una piramide sul verde dei palmeti. Il viaggiatore che visita Siwa, oggi come ieri, rimane stregato dalla bellezza dell’oasi, ma anche dalla descrizione che Taher ci propone.
Gli abitanti ci vengono presentati prima dal punto di vista antropologico e sociologico, quindi da quello umano e personale. Appartengono a una tribù berbera proveniente dal Maghreb, parlano una lingua propria, possiedono tradizioni antichissime, talvolta crudeli, come quella di segregare per mesi la vedova dopo la morte del marito. Inevitabile l’incomprensione con gli Egiziani, portatori di una cultura diversa e considerati dai Siwani alla stregua di colonizzatori. Il carattere fiero e bellicoso di questi abitanti li spinge, infatti, non solo a continue ribellioni agli Egiziani, ma anche a incessanti conflitti fra le due tribù dell’oasi, gli Sharqiyin (gli “Orientali”) e i Gharbiyin (gli “Occidentali”).
La storia della vita di Mahmud e Catherine a Siwa è, dunque, la storia di un rapporto impossibile, di un contatto irrealizzabile tra due mondi diversi, tra i quali non passa alcuna comunicazione.
Molto interessante risulta l’analisi psicologica dei personaggi, condotta da Taher con una semplicità stupefacente nel descrivere le situazioni più complesse dell’animo umano.
Mahmud, l’ufficiale ribelle, è il protagonista assoluto, l’archetipo dell’uomo battuto dagli eventi e dalle circostanze. Non ancora quarantenne, bello, affascinante, proveniente da una ricca e altolocata famiglia del Cairo, ha un carattere naturalmente incline alla malinconia e all’introspezione. Nella sua giovinezza, è stato travolto dalla passione politica che lo ha portato ad aderire a una loggia massonica prima, e a invischiarsi nella rivolta urabista, poi. Dopo il fallimento della rivolta, è stato costretto, davanti a una commissione di inchiesta, anticamera della Corte marziale, a ritrattare le proprie convinzioni, a negare la propria partecipazione alla rivolta. Prosciolto, ha continuato la sua carriera di ufficiale, senza però riuscire a perdonare se stesso per quello che considera un tradimento dei propri ideali e della propria patria. Allo stesso modo, si tormenta per non aver saputo legare a sé il grande amore della sua vita, una schiava, compagna dell’infanzia e della giovinezza.
Mahmud, come altri personaggi di Bahaa Taher, è un perdente, un uomo che non riesce ad accedere alla stabilità e alla pace del cuore, che non sa venire a patti con il mondo, troppo preso dal suo universo interiore, dal quale non trova scampo né rifugio. Resta dunque un personaggio “irrisolto”, un enigma inaccessibile perfino a se stesso, con il suo innamoramento finale per la moribonda cognata Fiona. Indagando il suo lato oscuro, il lettore scende con lui negli abissi insondabili dell’animo umano, scoprendo che esistono livelli della nostra coscienza per giungere ai quali non è stata ancora trovata una chiave di lettura.
Se Mahmud è un personaggio tragico, un uomo triste e introverso, sua moglie Catherine sembra contrapporsi a lui in modo speculare, costituire il suo esatto contrario. Volitiva e determinata, sicura della propria superiorità intellettuale e culturale, certa della validità delle sue ipotesi, persegue con pervicacia l’obiettivo che si prefigge, quello di scoprire il sepolcro di Alessandro Magno, incurante di infrangere tabù millenari e di scatenare sul capo del marito la collera dei Siwani. Il dubbio di sbagliare non la sfiora mai, non si rende conto della realtà che la circonda, non capisce di irritare i locali con il suo abbigliamento maschile, il suo modo di fare disinvolto, e soprattutto con le sue ricerche nei templi dell’oasi, che gli abitanti interpretano come abominevoli pratiche magiche. Ma Catherine non ha occhi neppure per vedere le angosce di Mahmud, per capire le difficoltà in cui si dibatte, e si ritrova così ad assistere, impassibile e indifferente, alla disgregazione del suo matrimonio, come già era naufragato il suo primo matrimonio con il connazionale Michael. Neppure le sofferenze della sorella Fiona, sfiorata dalla morte, scalfiscono la durezza di Catherine né la distolgono dalla sua ossessione, la tomba di Alessandro Magno.
Quando la giovane siwana Malika tenta amichevolmente di avvicinare la donna, quest’ultima scambia una semplice profferta di amicizia per un approccio omosessuale. Non appena si accorge do provare una forte attrazione per la ragazza, Catherine non esita a colpirla, condannandola a una fine tragica.
Anche Catherine, dunque, non solo è inadatta ad accedere alla serenità e alla pace interiore, divorata dall’ansia di ottenere fama e gloria con una scoperta importante, ma è una sorta di monade, incapace di spostare lo sguardo da sé agli altri.
Indimenticabile il personaggio di Malika, la giovane e bellissima siwana che cerca, con risultati catastrofici, di conquistare l’amicizia di Catherine. Fin dalla prima apparizione, si presenta come un simbolo della gioventù e della bellezza, pur segnata dall’amaro destino di un insopportabile matrimonio con un arrogante vegliardo. Ma Malika è anche il simbolo della trasgressione: dopo la morte del decrepito marito, viola il divieto, imposto nell’oasi alle vedove, di uscire di casa, e vaga travestita da uomo. è proprio in questi panni che si presenta a casa di Catherine, segnando così la propria rovina.

Il romanzo, dunque, ruota intorno ai grandi temi delle passioni umane: l’amore, il coraggio, il tradimento, la paura, la violenza, l’ossessione che diventa pazzia.
Tutti gli stati d’animo dei protagonisti sono indagati da Bahaa Taher con rara profondità, anche se in modo diretto e immediato. Dietro le parole semplici dei personaggi, si coglie una complessità umana che turba, possiamo intravedere forze oscure che strappano, via via, ai personaggi le loro certezze quotidiane.
Lo stile è piano e scorrevole, il ritmo della storia spesso incalzante, cosicché il libro, pur corposo, si legge d’un fiato.
La tecnica narrativa è quella del racconto a più voci, ciascuna delle quali riferisce le vicende dal proprio peculiare punto di vista. Si alternano, così, le voci di Mahmud e di Catherine, ma anche quelle di due capi dell’oasi, Shaykh Yahya e Shaykh Saber, e, addirittura quella dello spirito di Alessandro Magno.

La lingua è l’arabo classico per la quasi totalità del romanzo, anche se l’antico idioma adoperato dall’Autore per i dialoghi dei Siwani conferisce a questi passi la freschezza e la spontaneità del linguaggio delle antiche popolazioni berbere, beduine e dell’Egitto rurale che, pur rimanendo ai margini delle grandi città, sopravvivono e conservano ancora oggi i loro tratti culturali e tradizionali specifici.

Federica Pistono

 

 

Bahaa Taher

Fra gli scrittori contemporanei più apprezzati sia in Europa sia nel mondo arabo, Bahaa Taher nasce nel 1936 a Giza, da una famiglia originaria di Karnak, nell’Alto Egitto. Il padre è un professore di arabo, la madre, pur non avendo compiuto studi regolari, rappresenta, per il futuro scrittore, una fonte inesauribile di storie sull’universo dell’Alto Egitto.
Al Cairo, negli anni degli studi liceali e universitari, Taher vive, come i giovani della sua generazione, la lotta contro il colonialismo inglese e la monarchia egiziana, condividendo gli ideali che infiammano l’Egitto all’inizio degli anni ‘50: l’indipendenza dall’occupante straniero, un nazionalismo arabo ispirato ai principi di libertà e di giustizia sociale, la necessità di una più equa distribuzione della ricchezza, l’adesione alla causa palestinese.
La rivoluzione nasseriana degli Ufficiali Liberi, nel ‘52, soddisfa solo in parte queste istanze. Se, infatti, sul piano internazionale, il regime nasseriano assume posizioni decisamente anti-imperialistiche, con azioni come la nazionalizzazione del Canale di Suez, l’appoggio ai rivoluzionari algerini in lotta per la liberazione del loro paese dalla dominazione francese, la lotta per la liberazione della Palestina, sul fronte interno mostra ben presto il proprio carattere autoritario, l’intrinseca brutalità, la morsa soffocante in cui schiaccia ogni opposizione.
In quest’atmosfera di lacerante contrapposizione si forma la nuova generazione di intellettuali egiziani.
Dopo la laurea in Storia nel ‘57, Taher inizia a lavorare come traduttore al Ministero dell’Informazione. Nel ‘59 è assunto da Radio Cairo, per divenire in seguito vicedirettore del secondo canale, dedicato alla cultura.
Nel 1964 scrive il suo primo racconto, Al-Khutuba (Il fidanzamento), seguito da altri, che sono pubblicati su diverse riviste. La prima raccolta è pubblicata nel 1973, con il titolo del primo racconto.
Dal punto di vista letterario, Taher appartiene a quella che è chiamata “la generazione degli scrittori degli anni ‘60”.
Alla fine degli anni ‘60, Taher collabora, infatti, alla rivista letteraria “Galleria 68”, che rappresenta la voce del ‘68 egiziano, il punto d’incontro di questa generazione di scrittori e intellettuali accomunati dalla volontà di un rinnovamento sociale e da una critica severa alle limitazioni delle libertà civili imposte dal regime nasseriano.
Con la presidenza di Sadat, negli anni dell’Infitah, dell’apertura all’America e al capitalismo, questi scrittori, che nel periodo nasseriano erano stati considerati alla stregua di corrotti esistenzialisti borghesi, diventano ora, agli occhi del regime, dei comunisti e dei sovversivi.
Negli anni ‘70, Sadat comincia a perseguitare gli intellettuali in rivolta contro la sua politica filoamericana e non più filo palestinese. Questo clima pesante induce Taher a trasferirsi in Svizzera, dove lavora come traduttore a Ginevra presso le Nazioni Unite. Nel 1995 torna in Egitto, al Cairo, dove partecipa da protagonista alla vita letteraria e culturale del suo paese. Nel 1998 lo scrittore riceve, al Cairo, il premio “Nagib Mahfuz”. In Italia gli sono assegnati a Castel Goffredo il premio “Giuseppe Acerbi”, nel 2001 e, a Cagliari, il premio “Francesco Alziator”, nel 2008. Sempre nel 2008 gli viene conferito, ad Abu Dhabi, l’Arabic Booker Prize per il romanzo Wahat al-ghurub (L’oasi del tramonto, 2007).
Nel 2012 è nominato Presidente onorario al Festival del cinema Egiziano ed Europeo, nella sua prima edizione di Luxor.

Opere

Bahaa Taher ha pubblicato raccolte di racconti, come Il fidanzamento (al- Khutuba, 1973), Ieri ti ho sognato (Bi ‘l-amsi halamtu bi-ka, 1980), Io, il re, sono giunto (Ana al-malik gi’t, 1985 ), Sono andato a una cascata (Dhahabtu ilà al shallal, 1998), e i seguenti romanzi: A oriente del palmeto (Sharq al-nakhil, 1985), Ha detto Doha (Qalat Duhà, 1985), Punto di luce (Nuqtat al-nur, 2001) e L’oasi del tramonto (Wahat al-ghurub, 2007).

Opere in italiano

Zia Safia e il monastero
Traduzione e Postfazione di G. Margherita, Roma, Jouvence, 1993 ( Khalati Safiya wa al-dayr, 1991).

L’amore in esilio
Traduzione e Postfazione di P. Viviani, Nuoro, Ilisso, 2008 (al-Hubb fi al-manfà, 1995).

Sono stati tradotti in italiano diversi racconti pubblicati in diverse antologie.