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titolo: "Il Crociato - La spada e l'usbergo"

collana:
Ciconauti
autore: Cesare Gianotti
ISBN 978-88-32124-48-4
€ 18,00 - pp.336 - © 2023 - in copertina,illustrazione originale e progetto grafico di Javier Guado.


Durante un soggiorno a Bamako, in Mali, il giornalista Thierry Vidal scopre in un negozio d'arte africana una insolita spada. Incuriosito la porta con sé in Francia e la fa esaminare da un famoso esperto d'armi antiche e medioevali. Scopre così che si tratta di un reperto autentico, appartenuto a un nobile cavaliere al seguito della VIIIª Crociata condotta da Luigi IX il Santo in Tunisia nel secolo XIII°. Ma come ha fatto la spada a finire in Mali? Con l'aiuto di un collega maliano, Thierry organizza una vera e propria spedizione in terra d'Africa che lo porterà alla verità riservandogli tuttavia non poche sorprese.

 

(continua)

 
 



(segue)

Nel contempo, a diversi secoli di distanza, il Cavaliere Cedric de la Riviere, crociato al seguito di re Luigi IX, è all'inseguimento di un criminale nascosto in una carovana che si sposta nel deserto del Sahara; accompagnato da un complice tunisino, il criminale è un nobile francese macchiatosi dell'assassinio di due soldati cristiani per impadronirsi di un forziere colmo di gioielli appartenuto alla crociata. Le vicende dei protagonisti, Thierry e Cedric, sono narrate a capitoli alterni e viaggiano parallele per poi avvicinarsi fino a congiungersi, drammaticamente, in una località sperduta del deserto del Mali.
La narrazione, fra paesaggi africani e tramonti di intensa bellezza, non si conclude interamente lasciando il lettore con un dubbio: che fine ha fatto il tesoro contenuto nel forziere?

Nel sequel, "Il Tesoro del crociato", si svelerà il mistero.


 
 

 

 


Brano tratto da: "
Il Crociato - La spada e l'usbergo"

 

PROLOGO

Da oltre venti giorni un finissimo pulviscolo trasportato da un caldo e incessante vento settentrionale avvolgeva la piccola città mineraria.
La polvere, che durante il giorno oscurava il sole tingendo il cielo di un giallo spettrale, impediva quasi di distinguere le basse costruzioni che si allungavano ai lati della carovaniera che collegava le grandi città dell'Impero con le oasi oltre il deserto. Al tramonto, poi, un lugubre chiarore purpureo, che sembrava provenire da estesi incendi all'orizzonte, avvolgeva tutte le cose creando un opprimente senso di angoscia.
Gli abitanti della città, simili a fantasmi, si muovevano furtivi lungo i muri proteggendosi la bocca con teli di lino avvolti intorno al capo e cercando di uscire di casa il meno possibile. Di notte, dalle fessure delle finestre sprangate non filtrava alcuna luce; l'oscurità per le strade era totale e la città sembrava completamente abbandonata. Di giorno, i sorveglianti berberi preposti al funzionamento della miniera impartivano secchi ordini agli schiavi neri che senza sosta salivano e scendevano le lunghe scale a pioli appoggiate ai bordi di profonde aperture scavate nel sottosuolo. Sparivano sotto terra per riemergere piegati sotto il peso di larghe lastre di sale. Le caricavano su lunghi carri che, una volta pieni, venivano trainati fuori dalle mura e scaricati in un'ampia radura.
Qui, centinaia di imperturbabili dromedari, ordinatamente accosciati uno accanto all'altro, attendevano pazientemente di essere caricati. Negli ultimi giorni, prima che sopraggiungesse improvvisa la tempesta di polvere, il loro numero era andato continuamente aumentando sino a superare il migliaio.
Molti altri erano attesi prima che la carovana annuale diretta verso le coste del grande mare settentrionale si mettesse in marcia. Ogni cinque giorni venivano nutriti con fieno secco che gli uomini prelevavano da enormi balle stivate in appositi locali. Lo biascicavano imperturbabili, senza perdere quell'aria di sufficienza che abitualmente mostravano verso il mondo circostante.
Mentre le lastre di sale venivano accatastate fuori dalle mura, una parte del carico, costituito da sacchi colmi di polvere d'oro, veniva custodita in magazzini fortificati all'interno delle mura, sotto lo stretto controllo di fidate guardie berbere. Lo stesso per i pani di rame di forma rettangolare, provenienti anch'essi dalle regioni meridionali dell'Impero, che venivano conservati in magazzini adiacenti a quelli che custodivano l'oro.
Da diversi giorni la popolazione era in preda a una grande agitazione; non si avevano più notizie della carovana proveniente dalle fertili regioni del meridione, quelle che si stendevano lungo le rive del grande fiume. Si trattava di una importante carovana che ogni due mesi trasportava le derrate alimentari necessarie alla sopravvivenza degli abitanti; c'era il timore che, per effetto della polvere che riduceva la visibilità a pochi passi, potesse smarrire la pista e perdersi nel deserto.
Le scorte di cibo si erano ormai talmente assottigliate da costringere le autorità a ordinarne il razionamento. Anche l'acqua nei due pozzi cominciava a scarseggiare, come sempre succedeva all'inizio della stagione calda, quando il livello della falda si abbassava sensibilmente.
L'acqua era sempre stato un grosso problema per la città e anche il secondo pozzo scavato di recente, oltre che confermarne la qualità scadente dovuta all'elevato contenuto in sale, non aveva risolto la cronica penuria del prezioso liquido.
La piccola città era sorta, alcuni secoli prima, in mezzo al deserto intorno ai consistenti giacimenti di sale, alimento indispensabile alla vita di persone e animali. Il prezioso minerale veniva estratto e trasportato verso i ricchi mercati delle oasi settentrionali e delle città meridionali per essere venduto a un prezzo molto remunerativo, uguale e a volte superiore a quello dell'oro. L'abbondanza del minerale era tale che quasi tutte le costruzioni erano state edificate con blocchi di sale, prelevato per lo più dai filoni dove il minerale era più impuro.
Povera d'acqua, la città era anche priva di alberi. Lì non esisteva un'oasi; lì non c'erano i lussureggianti palmeti in grado di fornire quei deliziosi frutti che da sempre costituivano un'essenziale fonte di nutrimento e si prestavano a essere conservati anche per un intero anno. Lì tutto veniva portato a dorso di dromedario e se una carovana tardava ad arrivare o veniva soppressa, l'intera popolazione rischiava di patire la fame.
Per questo esisteva, sin dai tempi della sua fondazione, una procedura di emergenza messa in piedi dai governanti berberi. Quando le scorte cominciavano ad assottigliarsi, veniva spedita verso le regioni di approvvigionamento una staffetta; si spostava su un dromedario veloce e resistente, capace di percorrere oltre quaranta miglia in un giorno, di camminare per tre giorni senza sosta e di restare anche una settimana senza dissetarsi.
Con questo sistema la città non era mai rimasta senza viveri, anche se aveva passato periodi difficili, a volte drammatici, come quando era stata ripetutamente attaccata dai guerrieri marocchini provenienti da occidente, che miravano a impadronirsi delle sue ricche miniere.


Finalmente il vento calò d'intensità e nel giro di un paio di giorni la tempesta si placò lasciando un sottile e impalpabile strato di polvere su tutte le cose. Ben presto le carovane ripresero ad arrivare, prima fra tutte quella con i rifornimenti alimentari. Si trattava di convogli di cento e più animali con carichi d'oro e di rame, ma non solo. C'erano anche pelli di serpente, di leopardo e di altri animali selvatici presenti lungo il grande fiume; e poi piume di struzzo e grosse zanne di elefante.
Nel grande spiazzo fuori le mura il numero degli animali si andò rapidamente ingrossando. Quando si stimò che tutti i carichi fossero giunti si cominciò a comporre la carovana. Gli schiavi assemblarono a due a due le lastre di sale e le caricarono sui dromedari, fissandole alla sella in modo che il peso venisse equamente distribuito da una parte e dall'altra. Caricarono in questo modo oltre mille animali.
Poi si passò a caricare i sacchi d'oro e di rame; le pelli vennero invece raccolte in grosse balle di cotone grossolanamente cucite con fili di fibre vegetali; due balle per animale. Infine si caricarono le derrate alimentari e le scorte d'acqua necessarie alla sopravvivenza della carovana per tutto il tempo richiesto per raggiungere le prime oasi oltre il deserto, dove sarebbero state ripristinate. Per oltre due mesi avrebbero dovuto fare affidamento su un solo pozzo d'acqua, oltretutto sfavorevolmente ubicato lungo la pista perché troppo vicino alla partenza, quando invece sarebbe stato molto più utile se si fosse trovato a metà cammino. Alla fine, quando tutti gli animali furono pronti, si contarono duemila dromedari che vennero affidati a duecento uomini che li avrebbero condotti attraverso le sabbie del grande Erg.
Come erano soliti fare ormai da molti anni, i proprietari delle merci avevano affidato la responsabilità della carovana al mercante più esperto della città, colui che per conto loro le avrebbe vendute nei vari mercati, sempre più su, sino al porto sul grande mare. Poi, con il ricavato, avrebbe acquistato altre mercanzie da riportare indietro e da vendere sui ricchi mercati dell'Impero. Tutti si fidavano della sua esperienza e della riconosciuta abilità di commerciante. Se le cose fossero andate nel verso giusto il guadagno sarebbe stato garantito per tutti. Erano consapevoli dei rischi che le loro merci correvano nell'attraversare il deserto e per questo si consociavano in modo da suddividerli fra tutti; ecco perché una simile carovana veniva organizzata una sola volta all'anno.
All'alba del giorno stabilito un'interminabile fila di animali e uomini si mise in marcia abbandonando il grande spiazzo fuori le mura. Per la prima volta mancava il gruppo di schiavi in catene che solitamente apriva il convoglio; la carovana che avrebbe dovuto portarli dalle lontane regioni montuose non era arrivata.
Laggiù, ai confini orientali dell'Impero, feroci tribù di predoni abbandonavano di tanto in tanto le montagne in cui vivevano per scendere a valle e razziare i villaggi indifesi lungo l'ansa del grande fiume. Catturavano giovani uomini, donne e ragazzi che venivano affidati, al pari di qualsiasi altra merce, al capo della carovana per essere rivenduti sui mercati oltre il deserto.


Uomini e animali si avviarono verso le marcate ondulazioni che si scorgevano all'orizzonte illuminate dai primi raggi del sole. Le raggiunsero e si infilarono in una larga valle dal fondo sabbioso, bordata da due lunghi cordoni di dune dorate che si prolungavano all'infinito.

 

CAPITOLO 1
AIGUES-MORTES (FRANCIA)
GIUGNO 1270


Mancava poco al tramonto quando il cavaliere affrontò la stretta curva sfiorando pericolosamente i grossi alberi che sorgevano al lato della strada; poi lanciò il cavallo a briglia sciolte giù per la discesa, verso le mura della città fortificata. Piombò sul ponte levatoio, che rimbombò sotto i colpi degli zoccoli della cavalcatura, mentre una folata di vento gli sollevava il mantello, lasciando intravedere la rossa croce cucita sulla casacca; passò fra le due guardie che si aprirono per non essere travolte e attraversò la porta principale.
Percorse la via centrale lastricata con rotonde pietre di fiume e giunse nella piazza antistante il castello reale. Tirò violentemente le redini costringendo il cavallo a un'impennata che per poco non lo sbalzò di sella; saltò a terra e si diresse verso l'ingresso, mentre una guardia protetta da una lucida corazza e armata di lancia si precipitava a sbarrargli la strada.
"Sono il cavaliere de La Rivière" disse l'uomo "e porto notizie urgenti per re Luigi."
L'armigero gli cedette il passo e i due entrarono nel castello.
Da una finestra al secondo piano Luigi IX, re di Francia, aveva seguito l'arrivo del cavaliere; si spostò verso il centro della sala e si aggiustò il mantello, preparandosi a riceverlo.
La guardia bussò con discrezione alla porta, poi entrò senza attendere risposta.
"Il cavaliere de La Rivière per Vostra Maestà" annunciò. Il re annuì congedandolo con un gesto mentre il cavaliere si precipitava nella sala inginocchiandosi ai suoi piedi.
"Sire, le truppe al comando del conte di Poitiers e Tolosa, fratello di Vostra Maestà, marciano a un giorno da qui. A Dio piacendo saranno ad Aigues Mortes domani nel primo pomeriggio."
Il re fece cenno al cavaliere di alzarsi poi, afferrandogli confidenzialmente entrambe le braccia, disse:
"Ben arrivato Cédric e grazie per le buone notizie che ci porti."


Jean François Cédric de La Rivière era un bell'uomo di circa quarant'anni. Di statura superiore alla media, dotato di un fisico slanciato e ben proporzionato, aveva il mento incorniciato da una corta barba che risaliva intorno alle labbra carnose e ben disegnate dando corpo a due folti e ben curati baffi dello stesso colore castano dei capelli, che portava lunghi sulle spalle in dolci ondulazioni.
Il particolare rapporto esistente fra il re ed il cavaliere de La Rivière risaliva a diciotto anni prima quando, nel corso della VII Crociata, re Luigi era stato catturato insieme a molti suoi luogotenenti durante la sfortunata battaglia di Mansura, sul delta del Nilo.

(…)

 

CAPITOLO 2
BAMAKO (MALI)
SETTEMBRE 2009


Il grosso jet A300 della Air France toccò terra con un secco stridio delle ruote del carrello, perse rapidamente velocità, si inserì in una pista laterale e rullò dirigendosi lentamente verso il terminal del Senou International Airport dove si arrestò con un brusco sussulto.
Appena messo piede sulla scaletta esterna Thierry Vidal fu investito da un vento secco, con una insopportabile sensazione di calore accentuata dal fresco dell'aria condizionata a cui il suo corpo era stato esposto durante le sei ore di volo.
Poco prima dell'atterraggio il comandante aveva informato i passeggeri che la temperatura al suolo era di 40° centigradi, il cielo limpido e l'umidità di poco inferiore al 40%. Sbrigate le formalità Thierry si avviò all'uscita, chiamò un taxi e si fece condurre all'Hotel l'Amitié della catena Sofitel, che si trovava in centro, non molto distante dal fiume Niger.
Quando fu in camera sollevò la cornetta, premette il tasto per ottenere la linea esterna e compose un numero. Dopo qualche istante si udì dall'altro capo della linea un "Allò?" a cui Thierry rispose con un "buon giorno Alphonse, qui è Thierry. Sono appena arrivato in albergo; ci vediamo fra un'ora."


Thierry Vidal era nativo di Aix-en-Provence. Laureato in scienze delle comunicazioni, si era dedicato al giornalismo diventando un apprezzato free-lance esperto di problemi africani ed in particolare di quei paesi che occupavano la fascia del Sahel.
Scriveva per importanti quotidiani e periodici francesi e non solo. I suoi articoli erano apparsi anche su riviste straniere di grande diffusione come Newsweek, The Economist, Time.
In anni passati aveva visitato il Senegal, il Burkina Faso, la Côte d'Ivoire, il Niger e la Nigeria; un anno prima, in occasione del suo primo viaggio in Mali, aveva trascorso un breve periodo a Bamako, per intervistare il Ministro dello Sviluppo del governo di quel paese.
Un giorno si trovava a passeggiare per la centrale Rue Pasteur quando era stato attratto dalla luminosa e accattivante vetrina di un negozio che esponeva oggetti d'arte. Aveva alzato lo sguardo all'insegna dove una scritta in caratteri eleganti informava che si trattava di "Art Malien". Attraverso la vetrina si scorgevano, appesi al muro di fronte, alcuni quadri di varie dimensioni tutti incorniciati. Incuriosito aveva aperto la porta ed era entrato.

(…)


 


Cesare Gianotti
, nato a Ivrea nel 1940, dal 1946 al 1970 ha vissuto in Libia. Laureato in Scienze Geologiche, rientrato dalla Libia, ha trascorso per lavoro sedici anni nell'Africa sub-sahariana, di cui quattro in Costa d'Avorio e dodici in Nigeria. Vive quasi sempre a Minorca (Baleari-Spagna). Ha pubblicato "Il Crociato - La spada e l'usbergo" (prima edizione, Albatros 2011). Da Cicorivolta Edizioni ha pubblicato i romanzi: Una storia siciliana (d’altri tempi)” (2013), “Prima di morire”(2015), "Calma piatta a Flamingos' Bay", "Il tesoro del Crociato" (2023).