i quaderni di Cico
 
 

 

 

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titolo: "HUMORESQUE"
collana
i quaderni di Cico
autore Francesco De Nigris
ISBN 978-88- 97424-15-4
€ 12,00 - pp.124 - © 2012 - in copertina,"Blue Song", by Sebastiano Bongi Tomà - il ramingo - (www.sbtphotographer.eu)


Il filo comune che lega i racconti di HUMORESQUE è l'esplorazione di due fondamentali istanze dell'essere umano, l'amore e la morte. L'amore per la musica, ad esempio, un amore dall'esito fatale...

E poi, l'amore omossessuale, nel secondo racconto; nel terzo, il ricordo di un fratellino defunto torna alla mente del protagonista; nel quarto, il protagonista si invaghisce di una ragazza appena intravista per strada e si mette a seguirla (sarà la ragazza, in realtà, ad adescarlo); nel quinto racconto, tre personaggi, poco più che conoscenti, si imbarcano per una vacanza, ma sono talmente male assortiti che non tardano a organizzarsi ciascuno per proprio conto, fino a quando uno di loro non scopre un passato comune dimenticato; nell'ultimo racconto, attraverso i turbamenti e la nostalgia di un maestro di musica - rievocati dall'osservazione dei suoi studenti e di una studentessa in particolare - assistiamo al tentativo maldestro di raddrizzare ciò che nella vita del narratore è andato storto.

leggi la recensione di Giuseppe Iannozzi e ne saprai molto di più

 

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Il titolo, HUMORESQUE, fa riferimento a una forma musicale, l'umoresca,
breve composizione senza regole strutturali predefinite,
divenuta una delle forme minori proprie del XIX° secolo e praticata da diversi compositori proprio perché adatta a rappresentare gli stati d'animo nella loro immediatezza, ed è questa, in sintesi, la caratteristica di questa antologia.

 

leggi la recensione di scrittorisommersi.com

leggi la recensione di Francesco D'Agostino su malgradopoi.it

leggi il commento di RECENSIONE LIBRO.IT

leggi l'intervista di RECENSIONELIBRO.IT a Francesco De Nigris

 

 

 

da LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO, 1° luglio 2012

 

 

 

Brano tratto da "HUMORESQUE"

(...)

Humoresque
(frammenti di un giorno di primavera)

(...)

Frammento V

C’era una targa: “CORALE J. S. BACH”. Entrò.
Questa parte della città, zona I67, non la conosceva. La sala prendeva luce dai finestroni situati in alto. C’erano tre file di panche e in fondo una pedana. Si guardò intorno e sedette all’ultima panca di destra. Era solo in sala, mentre la pedana si andava riempiendo. Quando il direttore arrivò cessò immediatamente il brusio che proveniva dalla pedana. Salutò, guardò a destra e a sinistra e si accomodò su una sedia di fronte al coro; disse qualcosa, poi si immerse nella partitura.
I ritardatari arrivarono che il maestro stava dando indicazioni. Era un prete, tozzo, lunghi capelli neri rovesciati sulla nuca, le mani candide come il colletto della camicia, mani grassocce, lo vedeva bene sotto il cono di luce al neon che lo investiva, mani, pensò, abituate a maneggiare spartiti più che paramenti sacri.
Il maestro accennò una frase e il canto si espanse nella sala, lo raggiunse e lo emozionò; credette di riconoscere un passaggio del “Gloria” di Vivaldi. Si alzò, decise di avvicinarsi.
Dal posto che occupava adesso, a pochi metri dai soprani, credette di riconoscere un volto, quando gli sguardi si incrociarono abbozzò un sorriso incerto. Era proprio lei. Quella donna, come le altre, aveva animato il suo universo fantastico, tempo addietro. L’aveva conosciuta in casa di amici e la piega glaciale delle sue labbra, il suo sguardo tagliente lo avevano affascinato. Era bastato poco per innescare quella che lui definiva “la sindrome da indifferenza”. Era sempre così, tutte le volte: il distacco, in una donna, lo illanguidiva, obbligandolo a percorrere, in rigorosa e prevedibile ascesa, una gamma di umori, dalla attenzione dissimulata al cauto interesse, alla spinta a muovere verso la donna, alla disillusione, alla malinconica rinuncia. Non era la distanza fisica, era quell’altra, quella che fa di un uomo e una donna mondi separati, a volte inconciliabili, quel muoversi in una terra di nessuno dai confini incerti che a volte un gesto o un’occhiata autorizzano a percorrere.
Il maestro fermò l’esecuzione, parlò a lungo, spiegò, mosse le mani, segnalò i respiri, sorrise e invitò i tenori a ripetere.
Fu tentato di rivolgere la parola alla ragazza ma si trattenne in tempo, fece solo un cenno ricambiato.
Si ritrovarono per strada alla fine della prova.
“Ho la macchina, si va?”
“Si va!”
Si diressero verso il mare, lo sguardo della ragazza era fisso sulla strada, protetto da un paio di occhiali scuri che la rendevano enigmatica. Lui detestava gli occhiali da sole, e a volte chi li portava. Imboccarono un viale che conduceva alla spiaggia.
Fissò l’attenzione su un grosso cane che li precedeva sul retro di un furgone, per eludere l’inquietudine e per non pensare.
“Dove sei stato tutto questo tempo?”
“Da nessuna parte.”
“Quegli amici li hai più rivisti?”
“Saltuariamente.”
“Come mai non ti sei più fatto vivo, non mi hai più cercata?”
“Non lo so, ma sai…”
“Sì?”
“Non sorridere, ti prego, quello che sto per dirti ti sembrerà sciocco…”
“Allora?”
“Tu mi incuriosivi e mi inquietavi… Perché sorridi? Avevo ragione a pensare che avrei detto una cosa sciocca.”
“No, affatto. è che faccio sempre questo effetto.”
Tacquero. Il furgone col cane se l’erano lasciato alle spalle.
“A cosa pensi?”
“A niente.”
La macchina filava, imboccarono un viale fiancheggiato da giganteschi ippocastani, sullo sfondo scorse una sottile stria azzurro brillante. La strada semideserta incoraggiava la velocità, alle spalle la città svaniva e il nastro brillante invadeva lo sfondo, il sole calava.
La macchina rallentò, infine si arrestò nei pressi di un chiosco, era chiuso. Una leggera brezza muoveva gli oleandri allineati lungo il marciapiede. Scesero, si avviarono verso la battigia, lui leggermente arretrato rispetto a lei. La osservava percorrendone con gli occhi il corpo.
Si fermarono a pochi passi dal mare, in silenzio, a fissarne la superficie leggermente increspata.
“Come va il lavoro all’Accademia?”
“Niente di speciale.”
“Ci vieni spesso al mare?”
“Quando ho bisogno di pensare.”
“Ci vieni da solo?”
“Sì. Mi siedo e ascolto il silenzio, il mare.”
“E a cosa pensi?”
“Oh, a tante cose e a niente in particolare. Il mare mi aiuta a sentire la nostalgia.”
“Davvero? è buffo.”
“Non direi. Quando sento arrivare la nostalgia, so che qualcosa di me mi sta lasciando.”
Lei sembrava distante, fissava un punto all’orizzonte; erano vicini, poteva sentirne l’odore, percepire il respiro della ragazza, che disse: “Continua.”
“Dico addio a vecchi pensieri, alle immagini di persone che forse non rivedrò mai più, a brandelli di sogni, faccio spazio al rimpianto per quei sentimenti che non hanno potuto esprimersi. Parlo al mare e lui mi risponde.”
“Ti parla? E di cosa?”
“Della sua sconfinata solitudine. Mi parla di quello che nasconde e custodisce, di quello che sottrae agli uomini e di ciò che restituisce. è come se abbandonasse le sue parole sulla spiaggia quando è deserta. Parla… parla, non smette mai.”
Tacquero e rimasero a lungo a fissare il mare.

(...)

 

Francesco De Nigris vive ad Andria(BT) e insegna educazione musicale
nella scuola media.
Ha pubblicato due romanzi:
Parole morte (Oppure, 2001) e Sotto un cielo senza angeli (Palomar, 2006).