i quaderni di Cico
 
 

 

 

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Se la scelta è un luogo d'impurità, e la non-scelta è un luogo di purezza, non indulgenza o comprensione ricercano gli attori delle vicende narrate in questo libro. Essi rappresentano, attraverso la singolarità dei propri conflitti e legami, simbolo e approfondimento della teoria per la quale ogni conflitto umano (tra scelta e non-scelta) è riconducibile alla sessualità, che funge da ponte fra il centro dell'uomo e il principio del mondo. Alcuni degli individui rappresentati in queste storie vivono sul filo della nevrosi, ovvero “coscienza della perdita”, che concede a essi, rispetto agli altri, una lucidità salutare, inaccessibile all'uomo di massa, ovvero “collettivo”. E' dunque un libro sul bene e sul male di vivere, e sulla ineluttabilità del tempo. Se il male consuma e stimola l'intelligenza e apre le porte dell'inconscio all'attrazione del baratro, il bene riflette la salute della follia. Tutto questo permetterà di accedere, ognuno con i propri limiti, ad alcune delle leggi universali nelle quali si inscrive la più alta comprensione dell'esistenza. (Paolo West)

titolo:IL PREZZO DEL RISCATTO
collana i quaderni di Cico
autore Francesca Boari
ISBN 978-88-95106-14-4
© giugno 2008 - € 10,00 - pp. 107
in copertina,
illustrazione originale di Simone Pieralli, elaborazione di Phab Postini


dalla Prefazione di Eugenio Borgna (psichiatra fenomenologo e saggista Feltrinelli)

(...)

Nel primo dei due romanzi, così diversi e nondimeno così legati l'un all'altro da correnti carsiche luminose anche nei momenti di più dolorosa oscurità, gli orizzonti tematici si dischiudono alla luce della speranza; e la grazia inarrivabile dello stile riscatta anche le ombre possibili e fatali dell'esistenza: facendone rinascere illuminazioni stregate e stupefatte nella magia della scrittura di un'aerea leggerezza e di una acuta originalità.
Nel secondo dei due romanzi si vengono delineando i molteplici (indicibili) volti della sofferenza umana: il mistero dell'angoscia che è sempre angoscia della morte, il mistero della solitudine che regna invisibile nei cuori delle persone senza che esse ne abbiano la lacerante coscienza, il mistero (gli enigmi insanabili) che stanno a fondamento di azioni ferocemente distruttive solo apparentemente libere e in realtà condizionate da avvenimenti crudelmente segnati nella loro tragica evoluzione.
Anche dinanzi ad azioni, che oltrepassano ogni possibile comprensione umana, l'autrice non si arena nel deserto così arido e così improblematico della condanna radicale, e assoluta, ma cerca disperatamente di cogliere in esse, e di rivelare a ciascuno di noi, una qualche scheggia di straziata contemplazione e di impossibile decifrazione: nel vortice di una tensione emozionale umbratile e creativa, palpitante e viva.
Sono due romanzi di una struggente bellezza che la scrittura femminile rende ancora più preziosa e incancellabile.

 

 
 

(Brani tratti da "E CONTINUO A PARLARE CON TE" - IL PREZZO DEL RISCATTO -)

(...)

7.
Da lontano ti ho guardata camminare. Lo sguardo perso nel vuoto, accostata ad una sconosciuta.
Ad un certo punto hai girato il viso. E ho rivisto il tuo sguardo cattivo. Perché, vedi, quando si è davanti alla perdita di qualcuno che amiamo, la memoria ci gioca un brutto scherzo. Sembra volere restituire al presente soltanto la versione buona di chi abbiamo amato, nascondendo la verità che potrebbe farci sentire in colpa.
Di quale verità parlo?
Non nasciamo buoni, no, siamo da sempre anche cattivi, capaci di mentire, di tradire, di odiare, di offendere. E allora ho incominciato a sfogliare anche quelle pagine che la tua malattia sta strappando giorno dopo giorno, sto cercando di attaccare i pezzi, soprattutto quelli che rischiano di andare perduti se non li afferro subito e li ripongo dove è giusto che stiano. Voglio riuscire ad amarti completamente senza il bisogno di nascondere quello che di te non mi è piaciuto, ciò che mi ha ferito, che di te non ho condiviso.
Si ama veramente solo quando si è capaci di perdonare senza che sia l’altro a chiedere.
Stasera viene tuo nonno a cena. Non ne posso più di quel vecchio che sbava mentre mangia.
Ma mamma il nonno ci ha sempre aiutato. Non pensi a quante volte il papà ha avuto bisogno di lui e poi non ti ricordi i pomeriggi da Marus a comperare i vestiti per noi, e la casa dove abitiamo ce l’ha regalata lui. E poi, mamma, ci ha voluto bene. Ludovica ed io eravamo felici, la domenica, quando ci portava al cinema e a mangiare la pizza da Gastone. Adesso è vecchio, come dici tu, ma è ancora presente nella nostra vita.
E questi pranzi e queste cene tutti insieme io li vorrei per mio figlio. La vorrei la famiglia che voi ci avete dato. Nonostante tutto, la vorrei.
La sera, quando mi siedo davanti a Marcello, soli, ripenso alle sere del mercoledì, alle patate con il rosmarino, al salame e ai bomboloni con la crema e la marmellata. E poi torna alla mente la tua cattiveria, quando più di una volta gridavi la tua stanchezza davanti a quel vecchio che per me era così importante. Dicevi al papà che eri stanca. Ma stanca di cosa, mamma, di fare i solitari, di andare alle tue riunioni a pretesto religioso, di andare a fare spese, alle nostre riunioni a scuola? Oppure stanca di non essere altro che una moglie, una madre?
Desiderosa di essere solo una donna, a prescindere da noi, corteggiata, amata solo perché sei tu.
Ma le nostre scelte hanno sempre un prezzo, un prezzo alto. Nessuna è senza dolore. Il problema esiste quando ci sembra di non essere state noi a farle, quelle scelte. Che qualcosa è uscito dal nostro controllo in un momento in cui eravamo distratte da un’idea, lontane dalla realtà. E così anziché entrare in una dimensione precipitiamo in un’altra, che da un giorno all’altro si rivela nella sua distanza dalle nostre attese, speranze. Ed eccoci improvvisamente estranei dentro una vita che smettiamo di affermare, lentamente, senza consapevolezza. Incomincia la rabbia contro chi ci sta intorno, a cui tentiamo di addossare ogni responsabilità. Poi quando comunicare non ci interessa più, ci mettiamo in disparte. E così il tempo passa sopra noi. Realizziamo un senso di inutilità sia verso noi sia verso chi pensiamo di amare. E niente odora più, niente si muove più, solo il tempo sopra noi segna i passaggi inevitabili. Ma a quel punto neppure il tempo è più nostro. Depressione, angoscia, disperazione, malinconia, comunque la si voglia clinicamente definire, tutto dipende da questo.

8.
Sono tornata. Ho indossato come gli altri la maschera dell’abbronzatura, ho messo due gocce di Chanel N.5 e sono venuta da te. Sei dimagrita ancora, mentre l’estranea che ti sta accanto è ingrassata. Ho sofferto lontana da te e adesso scopro che soffro ancora di più davanti a te. Dico all’estranea che può andarsene. Lontana lei e la sua avidità, vicine per qualche istante noi. Sole. Non dici più niente. Il tuo corpo mi sembra ancora più rigido. Sei vestita senza cura, sudata, pallida. Hai le gambe ricoperte di peli lunghi e neri. Perché non ti radono? Perché non ti mettono lo smalto? Non ti truccano e ti vestono come una signora? Tu sei la mia signora e loro perché ti trascinano lungo le strade della nostra città così ridotta a cosa, a fare parlare di come eri e di cosa sei, di una malattia che può conoscere solo chi vive indirettamente. Perché continuo ad essere arrabbiata? E soprattutto perché non faccio io quello che gli altri non fanno?
Mi sento in colpa. Ho trascorso due mesi al mare, lontana da te. Ho subito giudizi tra i più terribili da tutti su come educo non educo mio figlio. Non ho incontrato amore. E non sono riuscita a difendermi. Ho subito come un panno steso su un filo di ruggine immobile. In silenzio. Ho guardato da lontano gli altri. Non ho invidiato nemmeno per un secondo la loro realtà. Club, circoli, carte, Dolce e Gabbana, Gucci, Berlusconi, Prodi, il mutuo per la terza casa. Non mi interessa. Sono contro. Tutto mi sembra falso, convenzionale fino alla nausea. Non reggo. Sprofondo nel colore grigio del mare d’estate.
Antonio è tornato a casa. Per lui non è successo niente. Mi rinfaccia la mia incapacità di adattarmi, non mi difende abbastanza di fronte ai giudizi degli altri. Per loro non valgo niente, sono anomala, socialmente poco adatta. Mi dice di non pensare al passato, di guardare oltre. Di amarlo senza paura. Ma io sono congelata dentro. Vorrei stendermi nuda davanti ai suoi occhi e succhiare il sesso di uno sconosciuto che dice di amarmi. Vorrei rotolare tra le sue braccia e godere senza rimorso solo perché lo desidero. Vorrei tornare ad amare il mio corpo e smettere di mostrare una pelle grigiastra inodore. Vorrei…
E non riesco più a dire voglio. Non riesco ad alzarmi dal letto ed essere felice di aspettare.
Non c’è nei miei occhi, nel mio sguardo, quella luce contagiosa di un tempo. Mi hanno rubato i sogni, mi hanno tolto i veli e sono rimasta nuda, disarmata davanti al silenzio dei miei morti. Non riesco più ad amare neppure loro. Non mi rispondono, hanno altro da ascoltare. E tu? Perché continui a fissarmi senza voce? Ti domando di urlare e continui a non dire niente. E se smettessi anche di parlare con te? Cosa ne sarebbe di quello che resta di noi? Io questa solitudine non l’ho scelta.
E tu?
Dimmi, come fa a passarti sopra la pelle tutto, perché non ti accorgi che ti stai bruciando le mani a forza di fumare, che ti crescono lunghi e orribili peli neri sulle gambe. Come puoi essere tanto indifferente e non sentire questa voce che ti implora in silenzio, senza invadenza, di dire una parola. Una sola. Buona notte, mamma. Dormi bene. E che tra il sonno e la veglia non ci sia che una pausa. Se così vuoi, così sia.

(...)

 

(Brani tratti da "LA CASA DEI SILENZI" - IL PREZZO DEL RISCATTO -)

Seduto mi domando se ho saputo amarti abbastanza e quanto di ciò che ho provato per te hai potuto capire. Non vedo ormai più niente e tutto ciò che arriva è solo una grande risata dal fondo della camera.
Nel buio intenso di questa soffitta, osservo le lancette dell’orologio e so bene che si fermeranno prima che faccia luce.
Aspetto e ti vedo nuda di fronte a me.
Mi guardi e sorridi.
Sono sicuro che ti stai facendo le solite domande. Infastidito dalla prevedibilità dei tuoi gesti, a volte ho voluto lasciarti. Per ritornare.
Era autunno quando ti incontrai di nuovo, sotto i portici dei grandi magazzini.
La luce era confusa, tra il bianco e il grigio. E anche il tuo viso era grigio. Ti ho invitato a prendere un caffè in una nuvola di fumo dove, nelle prime ore del mattino, fanno colazione i tranvieri.
“Hai il viso magro” e tu non dicevi niente e sorridevi.
Quella mattina abbiamo parlato anche di Calvino. Lezioni americane. Tu tremavi e continuavi a guardarti intorno. Tenevi in mano almeno dieci giornali: viaggio negli Stati Uniti. Non eri felice.
Hai mai creduto vero quello scenario dentro il quale questa dichiarazione d’amore per te si è mossa a passi lenti, a circuire la tua attenzione, ad ingoiare la tua giovinezza, a sorpassare gli entusiasmi e a mutarli troppo in fretta in cadute verso il basso?
La prima volta che appoggiai le labbra sul tuo seno giovane e bianco di luce, avvertii una strana sensazione, regressione involontaria all’infanzia, il profumo del latte, il basilico in estate, il rosso intenso dei pomodori. Quando le stagioni erano ancora stagioni.
Un voluttuoso mescolarsi di sensazioni olfattive e visive che mi portava lontano nell’armonia ospitale della riconciliazione con me stesso.
Adesso, intendo proprio ora, in questi minuti che precedono la fine, ho come la sensazione che il tempo danzi come quando i bambini si stringono in un cerchio e si muovono sul suolo cercando un equilibrio.
Un invito al pentimento, al rimorso, al rimpianto... dovrei in questi istanti amare la vita come allora, sull’erba verde d’estate assieme a te e al profumo delle fragole sciolte al sole... forse dovrei ritornare, ma che dico...
Mi tolgo i pantaloni e li appoggio sul pavimento. C’è cattivo odore. Una forza distruttiva incontrollabile mi ronza intorno insieme con un inequivocabile senso di morte, di lacerazione, di un vano dolersi alla ricerca di una terra senza male e alla guarigione di un’anima straniera. Ostinato restare, stupido ed inaccettabile attaccamento alle cose del mondo che amo, amo, amo!
Mi passa davanti un’esistenza intera vissuta all’ombra di me stesso, per essere sempre il protagonista di una scena dalle cornici erose dai vizi simili a quelli di un’attrice di Hollywood, del cui successo però si legge solamente sui rotocalchi stropicciati sopra il tavolino del barbiere.
Abbiamo fatto l’amore alcuni giorni fa e ti ho lasciato un forte odore di sesso tra le lenzuola.
Non c’è luce, ora al di fuori di questo ricordo, dentro il quale tu respiri sul mio ventre sudato di piacere di una polvere che profuma d’infanzia.
Il nostro è stato sempre un gioco d’incastri in cui è mancato il tassello centrale.
Sottile mancamento, abbandono leggero nel vuoto (un ragno d’enormi dimensioni sta salendo sulla mia gamba e decido di non fermarlo perché mi fa compagnia). Fluire rapido d’istanti in cui niente si distingue più.
Cercare, cercare, cercare.
Follia.
Sentirsi vivere
Mentre tu ti senti sola, continui ad avere voglia di vomitare, di piangere e urlare con rabbia contro gli ostacoli appoggiati a caso sulla tua strada, opporre un’inutile resistenza all’inevitabile procedere del tempo, come se nulla mai debba accadere oltre a noi. Eppure sei anche certa che tra non molto ti alzerai la mattina e tornerai a sorridere.
Perciò ti dico di accelerare questo momento in cui la disperazione dovrà lasciare il posto alla nostalgia e alla malinconia, alle chiacchiere sulla vita e alla tristezza delle sere trascorse davanti alla televisione nell’attesa del sonno. Ecco cosa diventeranno le tue lacrime tra poco. E’ inevitabile.
Per adesso non ti rimane che annegare la mia assenza nelle lenzuola inumidite del nostro ultimo amplesso, quel saluto così informale, nella bottiglia di cerasuolo rimasta alla polvere, sopra la credenza dove accumuli ricordi.
E se a volte il dolore dovesse diventare insopportabile tu balla e canta forte.

(...)

 
Francesca Boari è nata a Ferrara nel 1966.
Educatrice, scrittrice, insegnante di storia e filosofia, ha pubblicato
Il prezzo del riscatto (romanzi brevi, Cicorivolta 2008), “Aldro” (romanzo ispirato alla vicenda giudiziaria e di cronaca sul caso Aldrovandi, Corbo 2009), Piovono sassi dal cielo (romanzo, prima e seconda edizione, Cicorivolta 2013 e 2014), Ragazzi cari vi odio, vi amo (diario epistolare per una nuova grammatica dell’agire, scritto a quattro mani con Andrea Bonvicin, Cicorivolta 2014),Un dentro tanto grande (romanzo, Cicorivolta 2016), "E così sia" (Lettera al padre, Cicorivolta 2018). Ha organizzato eventi e convegni a Ferrara sul tema dell’adolescenza, in collaborazione con la Clinica di psichiatria e l’Università.