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"Angeli caduti"

Racconti? si può!

Laura Costantini
intervista Beppe Iannozzi

(L’intervista è stata pubblicata online, in prima battuta, su www.scrivendovolo.com)

 

Laura ZG Costantini*


Ho iniziato a leggere la raccolta “Angeli caduti” di Beppe Iannozzi (Cicorivolta Edizioni) con un atteggiamento misto di diffidenza e curiosità. Conoscevo in parte la scrittura di Iannozzi, avendolo letto, anche a livello narrativo, sul web e mi chiedevo se avrebbe retto, con il suo stile peculiare, un intero volume. Soprattutto di racconti. Perché, diciamolo, le antologie monomarca qui in Italia non sono ben viste, soprattutto se l’autore non è il bestsellerista di turno. Ma ho letto, con attenzione. E ho scoperto che il livello è alto, la volontà è quella di sperimentare, stupire, sconcertare il lettore. Spesso i finali lasciano a chiedersi quale sia il messaggio e sembra di vedere l’autore sogghignare tra le righe perché forse, proprio come nella vita reale, non c’è. Oppure è inintelligibile. Lo stile spazia da passaggi altamente poetici a un compiaciuto gusto per la volgarità e su tutte le storie grava come una coltre di piombo una visione oscura e priva di speranza del futuro. Molti tra i racconti appaiono in bilico tra fantascienza e distopia, con atmosfere che rimandano ai passaggi più cupi della Strada di McCarthy. Ma sul sottofondo scorre potente una vena ironica che pone l’autore nel ruolo di narratore onnisciente che si fa beffe del lettore e del suo sconcerto. E l’insistenza per gli aspetti più bassi dell’umana fisicità, con cessi incrostati di merda e piscio e bocche sdentate ricettacolo di colonie di scarafaggi, sembrano un invito a non prendere troppo sul serio gli apocalittici scenari che ci vengono proposti.

Queste le impressioni. Ma vediamo se Iannozzi è d’accordo.

1. La quarta di copertina ci avverte che saremmo davanti a una “testimonianza fra le più dinamiche e intense della nostra narrativa contemporanea”. Il lavoro delle quarte di copertina è quello di magnificare i contenuti ma, secondo te, che dobbiamo aspettarci dalla narrativa contemporanea, a parte Iannozzi?

E’ fuor di dubbio che scopo delle quarte di copertina è di rendere appetibile il lavoro di un autore al più vasto bacino di lettori. Questo accade per tutti i libri, siano essi pubblicati da un grande editore o meno. Il mio lavoro rifugge da qualsiasi etichetta e dal semplicismo. Personalmente mi annoio a morte quando mi tocca di leggere romanzi il cui plot è da cliché. Sono dell’opinione che della tanta narrativa che oggi viene sfornata non rimarrà alcunché: ahinoi, siamo di fronte a una proliferazione incontrollata di libri-fotocopia. Di ciò se ne può rendere conto chiunque: entri in libreria e vieni azzannato alla giugulare da romanzetti su improbabili vampiri. Siamo invasi da vampiri, zombie, pseudo-romanzi storici su l’Impero Romano e il Medioevo. In ogni caso penso che sì, siamo ben vicini al livello di saturazione, i lettori sono sempre più scontenti di dover spendere per delle storie scritte a tavolino e male per giunta.
C’è della narrativa, talvolta della Letteratura che merita d’esser letta con profonda attenzione. Antonio Scurati, Michele Mari, Giuseppe Culicchia, Diego Cugia, Pietrangelo Buttafuoco, Isabella Santacroce, ad esempio, sono autori di tutto rispetto che, in un questo particolare momento storico-sociale, sanno dare un significato sincero alla narrativa italiana, questo perché riescono a evadere dai facili stereotipi che un certo mercato editoriale tende a imporre. C’è sostanza e stile nelle loro storie.
Quel lettore che volesse affrontare la lettura di Giuseppe Iannozzi, di certo non si troverà a contatto con degli stereotipi pseudo-letterari, né gli sarà tanto facile etichettarmi.

2. Ventuno racconti, due tempi, 229 pagine. Angeli caduti è una raccolta corposa. In Italia si legge poco e si vende meno, soprattutto le antologie. Perché allora questa scelta?

Gli italiani leggono poco. Colpa è del sistema scolastico ma anche delle famiglie che non tengono in nessun conto la cultura, per cui non fanno degli sforzi per instillare nei propri figli l’amore per i libri. Una generazione che rinnega la cultura, poco ma sicuro che è una generazione destinata alla sconfitta e alla schiavitù, per sua scelta costretta a sottostare alle idee altrui, a credere obbedire e combattere o nel nome del fascismo o in quello dello stalinismo.

Nel 1958, Dino Buzzati vinceva il premio Strega con la raccolta “Sessanta racconti”. Oggi a portare a casa il premio sono librettini di nessun valore. L’ultimo premio Strega, meritato al cento per cento, risale al 1990, “La chimera” di Sebastiano Vassalli.

“Angeli caduti” è una raccolta di racconti: la loro peculiarità è di far vivere intere vite nello spazio ridotto di poche pagine. Molti racconti, inizialmente, erano stati concepiti per essere dei romanzi. C’è voluto non poco lavoro per ridurre a una misura essenziale le storie. A mio avviso, scrivere un buon racconto è più difficile che non scrivere un romanzo, di seicento o mille pagine anche. In un romanzo lo scrittore può allungare la storia, può anche perdersi all’interno di essa, e soprattutto può permettersi di commettere un certo numero di errori di diversa natura, e di divagazioni superflue; il racconto invece deve arrivare al lettore bell’e confezionato, rinunciando a tutto ciò che è superfluo.

“Angeli caduti” accoglie e raccoglie vite e ritratti di vite, di persone, che, in un modo o nell’altro, hanno cercato di essere felici combattendo il sistema, il Grande Fratello che li avrebbe voluti inquadrati obbedienti e sottomessi. Tutti i personaggi che sono in “Angeli caduti” sono delle persone che lottando per la felicità sono cadute nell’oscurità più profonda del proprio Io.


3. Amore ostinato. Bevi il sangue di Cristo. Vendetta senza futuro. Racconti brevissimi, quasi istantanee senza un passato o un futuro, flash su un eterno presente comunque negativo. Dov’è la speranza in Angeli caduti?

Perché parlare di speranza in una società che, storicamente parlando, ha offerto a noi tutti dolore e soprusi? No, non c’è la speranza in “Angeli caduti”: c’è invece una evidente filosofia esistenzialista, si nasce si vive si muore da soli. Esiste un Passato rarefatto nei miei racconti, il Futuro è invece meno di una ipotesi.
Talvolta i miei scritti sono dei propri e veri flash, delle fotografie, o meglio delle polaroid sbiadite: per i protagonisti di queste storie non c’è alcun possibile orizzonte, la loro esistenza è breve e insignificante e si conclude in una tragedia esistenziale. Non è possibile parlare di speranza per chi ha perso tutto e davanti a sé trova soltanto un grembo vuoto e sterile. Bevi il sangue di Cristo, Vendetta senza futuro, Amore ostinato, sono polaroid del tempo storico che viviamo. In Bevi il sangue di Cristo, incontriamo un ragazzo che ama i Clash. La sua vita è quella del tipico borderline, che rifiuta di stare (di essere) sotto padrone. Disegno di una sconfitta sociale, in questa storia breve viene evidenziato il divario socioculturale esistente fra vecchia e nuova generazione. In Vendetta senza futuro, un corpo fascista uccide brutalmente la figlia di due poveri genitori. Il padre decide di vendicarsi; sa che per riuscirci dovrà morire nell’impresa, ma questa è l’ultima cosa che lo preoccupa. Amore ostinato è il ritratto di una coppia che non è mai riuscita a comunicare. Il loro rapporto è fumo di una sigaretta, null’altro che questo.

4. Oggi in una raccolta non manca mai il tema della violenza sulle donne. Non hai fatto eccezione, ma La morte di Bocca di Rosa è forse il più spietato e violento dei racconti. E sembra quasi compiacersi dello scempio compiuto su un corpo di donna. Che hai da dire a tua discolpa?

Credo di non dover dire alcunché a mia discolpa perché sono innocente, in una accezione puramente artistica. Ho subito l’influenza di autori quali Donatien Alphonse François de Sade, Octave Mirbeau, August Strindberg, Arthur Schnitzler, David Herbert Lawrence, Henry Miller, Charles Bukowski, ma anche di Léo Malet e Truman Capote, e di tanti altri. Bocca di Rosa è un racconto violento, di un sadismo asettico, che non concede alla trama una sola briciola di poesia. Soltanto il titolo è poesia, fa difatti chiaro riferimento alla Bocca di Rosa di Fabrizio De André. E’ un racconto contro la violenza sulle donne, come ben specifico in una nota, prima che il lettore sprofondi nel panico. La nota si è resa purtroppo necessaria perché, diversamente, qualcuno avrebbe potuto fraintendere. Il sadismo che c’è in questo racconto, come in altri, è asettico: non c’è compiacimento. Non è stato facile scrivere Bocca di Rosa né altri racconti dove le donne sono vittime degli uomini, ma soprattutto di una società maschilista. Ho cercato di essere il più distaccato possibile dagli eventi narrati, senza incorrere nel tragico errore di dimostrare della pietas in qualità di narratore; se lo avessi fatto, avrei reso invalido il corpo stesso della storia. Lo scrittore deve essere ‘al di là del bene e del male’. Se non ne è capace, allora meglio che cambi mestiere, o che scriva romanzi d’amore usa & getta, i classici Harmony da edicola.

5. Ho notato che non c’è un racconto dove una figura femminile spicchi per una qualche qualità, a meno che non sia decisamente negativa. È un caso?

Non c’è neanche nessun racconto dove una figura maschile spicchi per una qualche qualità pienamente positiva.

6. In Anima meccanica, uno dei racconti migliori a mio parere, Pat è lo stereotipo della femmina che fa carriera inginocchiata sotto le scrivanie. Sono queste le nemiche di chi oggi ha fame di lavoro?

Pat è una creatura che fa gli interessi del padrone e che se la fa con il padrone, e, più in generale, con chiunque possa darle un calcio nel sedere. E’ una donna in carriera ma di quelle che lavorano soprattutto inginocchiate sotto le scrivanie; ciò non significa che tutte le businesswoman giochino sporco. Le donne in carriera che giocano sporco sono parte di un problema più grande. Sarebbe semplicistico e stupido pensare che siano esse le (uniche) nemiche, la causa precipua della fame di lavoro. Sono invece il sintomo disgraziato che, tra gli ingranaggi che muovono il mercato del lavoro, uno o più ingranaggi girano solo perché si prostituiscono. Anima meccanica è una chiara accusa contro quel sistema che ci invita a prostituirci per ottenere il lavoro, o anche solo un tozzo di pane nero. E temo che, oggi, il tema trattato in Anima meccanica sia più che mai attuale.

7. In Frate Tiresia il Peccatore tocchi l’apice della sconsacrazione dando a una bambina una diabolica consapevolezza. Femmina, anche lei.


Ne “Il signore delle mosche”, il grandissimo William Golding sottolinea che “l’uomo produce il male come le api producono il miele”. Per Golding una anima che sia lasciata a sé, sceverata di modelli di vita, non può che sviluppare una naturale indole pronta a sbranare il suo prossimo. Ingenuamente si pensa che i bambini siano innocenti; e lo sono, ma sin tanto che sono all’interno di una società civile. Non sono poche le gang di minorenni, sparse per il mondo, che ogni giorno trafficano in droga, rubano, uccidono e stuprano. Queste gang sono terribili, in alcuni casi più pericolose di altre. Sono costituite da ragazzini che vivono in contesti sociali difficili e violenti; hanno presto imparato che per sopravvivere devono sopraffare il più debole e non gli importa di sapere chi hanno di fronte, se una povera nonna o un avanzo di galera. Si muovono sempre in gruppo e attaccano. Non hanno pietà. Sono nati nel male e purtroppo hanno fatto del male l’unica religione da adorare perseguire e riconoscere.

Daisy, la piccola protagonista di Frate Tiresia il Peccatore, per tutta la sua breve esistenza, ha avuto accanto a sé soltanto dei modelli negativi con i quali rapportarsi. Jean-Jacques Rousseau pensava che gli uomini fossero fondamentalmente buoni per natura, io invece no: au contrarie, penso che gli uomini sono per loro natura portati a produrre il male piuttosto che il bene, ne consegue che è l’educazione a fare l’individuo. Ho scelto di incarnare il male nella figura di una bambina quasi angelicata: una provocazione! Siamo stati abituati a pensare che il femmineo sia il modello angelicato per eccellenza, da qui la scelta e la necessità di portare agli occhi dell’accorto lettore che l’uomo è, in primis, un mammifero, un animale sociale che forma la sua anima secondo gli input che la società gli fornisce.

8. In Istantanea affermi “pensare, un brutto vizio che credeva di aver perso con il passare degli anni sempre uguali a sé stessi”. Perpetuiamo sempre gli stessi errori?

Purtroppo sì, gli errori di ieri sono quelli di oggi, tali e quali. Le prime civiltà risalgono, più o meno, a 8.000 anni fa. Subito l’uomo ha cercato il Potere per sottomettere i suoi simili; e così ha inventato le religioni, ottimo strumento per schiavizzare. Nel nome dei propri dèi, nel corso dei millenni, gli uomini hanno massacrato e annientato chiunque osasse levare un ‘se’ o un ‘ma’. Non dico niente che non sia già stato detto da altri e in maniera più esaustiva. Il punto è che ancora oggi, nel 2000 dopo Cristo, il mondo è scosso da guerre di religioni. I fedeli di tutte le religioni vogliono il potere, quello assoluto. Tutti pensano che il loro dio sia quello vero. Il problema non è se esista o meno un dio, nascosto chissà dove nello spazio infinito; il problema è qui, da noi, sulla Terra, su questo minuscolo pianeta che ospita più dèi inventati di sana pianta che non esseri dotati di raziocinio. In Istantanea il tema che porto è quello dell’Eterno ritorno, in una chiave nietzschiana. Ieri ci siamo illusi d’aver sconfitto il fascismo, ma questo è oggi più che mai vivo; ogni giorno dobbiamo combattere contro fascisti neri e rossi. In Istantanea la Fabbrica è il luogo deputato dove tutto ha inizio e fine. La Fabbrica conduce il gioco e manovra gli operai, perché la Fabbrica è un essere pensante, una orribile creatura partorita dal niccianesimo. Friedrich, operaio che si ribella allo strapotere della Fabbrica, verrà prima umiliato e malmenato dalla polizia, e infine sarà costretto a boxare contro sé stesso, contro il suo stesso corpo di carne e sangue.

9. Hai reinterpretato Shakespeare (Giovani per sempre), William S. Burroughs (La ragazza del Poeta), il mito di Dorian Gray (Angeli meccanici) e la sofferenza esistenziale della star del grunge (Kurt). Hai ricreato Van Gogh (Vincent il Vecchio) per poi dissacrare Cristo (Il Messia Nero). Uccidere i propri miti è un espediente letterario per renderli più vicini?

Ho reinterpretato Shakespeare e W.S. Burroughs, ma anche la figura di Dorian Gray oltreché il dolore esistenziale di Kurt Cobain e Vincent Van Gogh. Questi ultimi, Kurt e Van Gogh, sono stati loro malgrado versati nel grembo più nero del dolore. I loro contemporanei non li hanno compresi, non a fondo; Van Gogh, in particolare, era un uomo troppo grande e immenso perché la società del suo tempo potesse amarlo.

Dissacrare? Non esiste nessuna prova storica dell’esistenza di un uomo chiamato Gesù Cristo. Sappiamo con certezza che un uomo di nome Maometto è realmente esistito, mentre il poco che sappiamo di Cristo si trova nei Vangeli, e ogni autore dei Vangeli ci consegna una immagine diversa di quello che i fedeli dicono essere il Figlio di Dio. La Sindone, il lenzuolo funerario in cui sarebbe stato avvolto il corpo di Cristo, non ci dà alcuna indicazione sicura. Gli esami operati con il C14, ci dicono che il telo risalirebbe a un periodo compreso tra il 1260 e il 1390. La Sindone, nel corso dei secoli, è stata più volte trafugata, ha subito diversi lavori di rappezzamento per conservarla, è andata persa ed è stata ritrovata; il lino che è giunto a noi è qualcosa che è stato più e più volte rimaneggiato nel corso dei secoli. Non è possibile dissacrare Cristo perché non v’è alcuna prova storica che sia esistito un uomo di nome Cristo.

Il Messia nero, muovendosi su più piani spazio-temporali, grazie a una forte commistione di elementi leggendari, sociologici, politici, religiosi, traduce il lettore in un mondo futuro (o parallelo) dove la società è nettamente divisa fra derelitti e pochissimi Preti al potere. In un desolato paesaggio postatomico, un po’ à la Richard Matheson, il Messia, l’Unto del Signore è tornato sulla Terra per portare agli uomini la sua Verità, una Verità che è però terribile. Il Messia è un figlio di Dio, questo sì, ma la sua anima è corrotta. Come questo sia potuto accadere è nascosto tra le pieghe del tempo, tra leggenda, storia e fantasia. Cristo è tornato tra gli uomini per soggiogarli. Il suo scopo precipuo è quello di dominare quel poco che è rimasto dell’Umanità. Ne il Messia nero c’è molta ironia, e, sì, mi faccio beffe del lettore e del suo sconcerto. Uccidere i miti di una società è un divertente espediente per renderli (più) umani, vale a dire degli esseri sofferenti, vittime delle loro proprie pulsioni e passioni, siano esse positive siano esse negative.

10. La tua scrittura si colloca al di fuori di qualsiasi corrente letteraria in auge. Consiglieresti a un esordiente di percorrere la stessa difficile pista?

La mia scrittura è sempre stata lontana dalle correnti letterarie in auge, soprattutto da quelle che vanno di moda. Oggi non si scrive; perlopiù si buttano giù dei lavoretti studiati a tavolino per un minimalismo squallido, povero di sostanza e di stile, non vedo dunque perché dovrei abbracciare una corrente letteraria. Se vendessi la mia penna al miglior offerente, con tutta probabilità, non faticherei molto e presto diventerei uno dei tanti, uno che sforna romanzetti che domani nessuno più ricorderà. E come dargli torto! In ogni caso non ho la presunzione di pensare che dei miei scritti rimarrà qualche traccia. Ho deciso di pubblicare dopo tanto tempo, alla veneranda età di quaranta anni, e mi sono detto fuori da qualsiasi genere. La mia scrittura non è inquadrabile, è fusion, tanti generi che si mischiano e che collaborano per dar corpo a una trama.

A un esordiente che voglia fare un po’ di soldi, consiglierei di scrivere un thriller condito con tanto tanto sesso e tanto tanto sangue. Se poi si tratta di una signorina esordiente, poco ma sicuro che farà faville nel mondo dell’editoria; tutti faranno a botte per averla in catalogo. Ma di loro non resterà traccia alcuna, non nella storia della Letteratura: si godranno il loro momento di successo, e se saranno furbi non scialacqueranno i soldi guadagnati (non con il sudore della fronte) in lifting e droga.

11. Cosa leggi? Cosa apprezzi? Cosa non hai ancora trovato in un libro?

Leggo di tutto, anche le istruzioni per la carta igienica. La conoscenza rende liberi, sarei dunque uno stupido se mi rifiutassi di leggere un romanzo d’amore solo perché non è il genere che prediligo.

Alcuni autori che apprezzo li ho già precedentemente citati: il marchese de Sade, Octave Mirbeau, August Strindberg, Arthur Schnitzler, David Herbert Lawrence, Henry Miller, Charles Bukowski, Léo Malet, ma anche Omero, Quinto Orazio Flacco, Catullo, Ovidio, Euripide, Sofocle… e ancora, Boccaccio, Cervantes, Shakespeare, Giuseppe Gioachino Belli, Verlaine, Apollinaire, Gabriele d’Annunzio, Giovanni Arpino, Dino Buzzati, Cesare Pavese, Beppe Fenoglio, Giuseppe Tomasi di Lampedusa… Gogol’, Bulgakov, H.P. Lovecraft, Oscar Wilde, George Orwell, William Faulkner, Ernest Hemingway, Jack Kerouac, William S. Burroughs, Julio Cortázar… Virginia Wolf (a mio avviso la più grande scrittrice di tutti i tempi), W.B. Yeats, Ezra Pound, John Fante… Impossibile elencare tutti gli autori che mi sono piaciuti e che ancor oggi sono per me un punto di riferimento

Oggi seguo con particolare attenzione Jonathan Carroll, Carlos Ruiz Zafón, T. Coraghessan Boyle. Sono autori che non stanno dietro ad alcun cliché o moda; quando leggo un loro romanzo non so mai dove andranno a parare e già solo questo fatto mi provoca una sorta di orgasmo. Amo poi in particolar modo Umberto Eco, Sebastiano Vassalli, Aldo Busi, Antonio Scurati, Pietrangelo Buttafuoco, Alessandro Barbero, Gianpaolo Pansa, Enzo Bettiza, Isabella Santacroce e altri ancora.

Apprezzo l’originalità, disprezzo la banalità. Un libro deve riuscire a spiazzarmi.

Penso che la letteratura, nel corso dei secoli, ci abbia consegnato il meglio di sé: il problema è che, purtroppo, oggi si tende a ignorare gli autori, i classici. I miei maestri sono stati i classici e non manco mai di compulsarli, di rileggerli. Chi si spara in vena soltanto Stephen King e fac-simili, a mio avviso, si fa una cultura fatta di vuotezza e ripetitività. Shining è diventato un Capolavoro ma grazie alla trasposizione cinematografica operata da Stanley Kubrick. Il King migliore è morto da tanto tanto tempo, con la “Metà oscura”.

Jonathan Carroll e T.C. Boyle, in particolare, mi hanno cambiato la vita: nelle loro storie ho trovato molte cose che un libro moderno (attuale) dovrebbe saper accogliere affinché lo si possa definire tale. Ma chi non ha letto niente di questi autori non può capire.

 

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*Laura Costantini è nata a Roma nel 1963. Giornalista prima per la carta stampata e oggi per la Rai, ha pubblicato numerosi romanzi (tutti scritti a quattro mani con la sua socia di penna, Loredana Falcone) tra cui “Viole(n)t Red” (Bietti Media 2009), “Fiume pagano” (Historica Edizioni, 2010), “Carne innocente” (Historica Edizioni 2012). Per Las Vegas ha scritto “Il destino attende a Canyon Apache” (2012).



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