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Chi è Giuseppe Iannozzi?

intervista a cura di Chiara Demma


1) Chi è Giuseppe Iannozzi?

Difficile dire chi sono: nella più parte dei casi, un amico. Ma non nego che so essere anche nemico di me stesso, e per gli altri. Un tempo parlavo di me, maggiormente: oggi mi vengo a noia, da solo. Trovo che non sia né intelligente né interessante parlare di me. Sono uno dei tanti, ma animato da un forte narcisismo, dall’arroganza anche; però non ne ho mai fatto mistero.

2) Cosa hanno rappresentato per te gli anni della scuola?

Probabilmente niente, ma con il senno di poi. In verità ricordo poco di quegli anni, se non che ero perennemente con la testa fra le nuvole. Ma per finta.

3) Ti sei mai sentito diverso rispetto ai tuoi compagni?

No. Semmai ho guardato ai miei compagni con sospetto, spesse volte pensandoli da me diversi, inferiori. E’ quello che si può dire un errore di gioventù, ma che ripeterei.

4) Credi al male di vivere degli artisti?

Sì, credo che gli artisti spesse volte amano farsi del male. Ma lo stesso brutto vizio ce l’ha pure chi artista non è. Il male di vivere temo sia radicato in molti, senza che ci sia bisogno di andare incontro all’arte e alle sue velleità. L’artista soffre perché non viene riconosciuta la sua arte, o perché viene interpretata male; ma più spesso perché creando toglie qualcosa a sé stesso. Creare significa privarsi di un po’ di sé stessi per darlo in pasto al pubblico, o alle ortiche. Creare significa perdere molto della propria vita, significa accorciarla la vita nel tentativo – spesse volte fallimentare – di eternare sé stessi nelle opere create.


5) Credi in Dio? La tua famiglia è cattolica, praticante? Quanto ha influito la figura di Dio nella tua vita?

No, non credo in un dio.
Non mi sono mai preoccupato troppo delle credenze, o dei pregiudizi, della mia famiglia: sono liberi di credere in ciò che preferiscono.
Non credendo in dio, la sua figura non ha influito su di me se non in maniera molto astratta. Sono una di quelle persone che usa dio, che dice il suo nome, ma non invano: se dico dio è perché me ne servo. Mi dovrebbe esser grato, dio, a me.
Credo però in quello che viene detto suo figlio, in Gesù: ma in una misura molto laica umana e terrigena. Credo non sia da escludere l’ipotesi che centinaia di anni fa un uomo di nome Gesù fu fra di noi per filosofeggiare. Sì, per me Gesù un filosofo, non migliore non peggiore di tanti altri prima e dopo di lui.

6) Eros e letteratura… coppia vincente?

Tutta la letteratura è piena di eros. Quella contemporanea in una misura esagerata, inutile. Molti libri che oggi si stampano sono puro onanismo. Se fossero volgari, perlomeno sarebbero un minimo interessanti; ed invece così riescono a far scalpore solo per il tempo di una moda, poi vengono dimenticati. Troppi malfatti epigoni di Henry Miller e Charles Bukowski, troppi che pensano che scrivere figa e cazzo equivalga a far letteratura.

7) Il lavoro che maggiormente ti ha gratificato? E la vincita?

Non c’è un lavoro che mi ha gratificato… maggiormente. Ma i lavori che mi hanno dato anche di che mangiare mi hanno gratificato di più rispetto a quelli che sono stati presi d’assalto da vuote ammirazioni.
Ritengo sia già un gran bella vittoria poter dire che sto in piedi grazie alle mie sole gambe, senza stampelle. Non esser mai sceso a compromessi con nessuno e per nessuna ragione: questa la ri-vincita migliore e che vorrei replicare per gli anni a venire.

8) La collaborazione o l’intervista che ti ha lasciato dentro qualcosa?

Ho intervistato molti personaggi. Intervistare è sempre un’esperienza eccitante, per me; lo è un po’ meno per chi subisce i ferri delle mie domande.
L’intervista che mi ha lasciato qualcosa dentro… quella di chi non ha avuto il coraggio di rispondermi se non attraverso il silenzio più assoluto: una simile risposta, una di silenzio, la tengo in gran conto.

9) Chi può definirsi scrittore?

Chiunque brandisca una penna o una matita. I più poveri, i meno liberi, ancor oggi sono costretti a scrivere le loro proprie memorie con il sangue. Ma conoscere la grammatica non fa dell’uomo uno scrittore. Il più delle volte l’uomo che ha dalla sua solo la grammatica è sterile, inadatto a creare: di onanisti che si piangono addosso il mondo ne è pieno.

10) Quando hai scoperto d’esser un artista?

Io non mi sono mai detto né artista né poeta né altro: è sempre stato qualcun altro a dir di me, in vari modi. Sinceramente avrei preferito essere un pastore e vivere tra pecore e capre, in montagna, lontano dalle ripetute e durevoli scoregge degli uomini. Mi sono solo e sempre detto arrogante, narcisista, democratico tiranno in alcuni casi. Sì, sono dell’opinione che sarebbe stato meglio esser detto pastore o pecoraio.

11) Quando hai cominciato a scrivere il tuo primo pezzo?

Ero giovane e con molte fisime che mi ronzavano in testa: parliamo di tanti e tanti anni fa. Il mio primo pezzo non è più tra le mie mani… perso chissà dove. Non è un gran danno, tranne per lo sfortunato che un domani dovesse trovarselo fra le mani.

12) Torino, è la città che ti ha cullato e che continua a scorrere nel tuo sangue: quanto ha influito sul tuo talento, sui tuoi romanzi?

Torino ha influito molto su me, sulla mia scrittura. Scrittori quali Cesare Pavese, Beppe Fenoglio, Primo Levi, Nico Orengo, Mario Soldati, Guido Ceronetti, e molti altri ancora, hanno sicuramente contribuito a formare quelle che sono oggi le mie idee intorno alla Letteratura e alla scrittura.
Torino è una città fascinosa e che affascina: ha nel suo cuore tanta storia e cultura, e non sempre è facile capirla l’Augusta Taurinorum. E’ una Parigi in miniatura, o meglio è la Piccola Parigi: da vivere. Le storie che racconto sono perlopiù ambientate a Torino anche quando faccio muovere i miei personaggi tra le vie di Roma o tra quelle della più lontana Los Angeles. Più che sul mio talento – che è sempre in dubbio -, Torino influisce ogni giorno sulla mia vita, quindi anche sulla mia scrittura.

13) Il lavoro più complesso e più lungo che hai composto?

Complesso non lo è, lungo sicuramente: un romanzo fantasy che scrissi parecchi anni or sono, e che non ho mai fatto leggere ad alcuno. E’ un lavoro che spero rimanga nel cassetto, per sempre: quando lo scrissi ero eccitato, molto. Oggi mi fa solo un po’ pena… Però, con tutte le sue imperfezioni, quel fantasy scritto in età giovanile mi è caro, forse proprio perché mi induce a provar della pena.

14) La donna ti ispira? Se avessi poteri soprannaturali, quale delle dee passate ameresti?

Sì, sicuramente. Anche per le mie storie è importante la donna. Il fascino muliebre serve alla trama della vita e della morte in egual misura.
Di dee che appartengono al passato ce ne son tante: ma non erano dee, erano soltanto giovani e io ero un coglione a trecentosessanta gradi. Le dèe del tempo che fu oggi sono tutte sposate, con figli o divorziate. Una è morta; e spero che un giorno il ricordo che ho di lei possa morire completamente: il passato è sempre fastidioso, sia esso innocuo o di dolore. Guardo al futuro: il passato lo posso raccontare per tradurlo in qualche cosa di concreto nel tempo presente, con un racconto ad esempio. E’ poco, ma è meglio di niente.

15) Cosa ti aspetti dal pubblico? E Dai tuoi ammiratori?

Niente né dal pubblico, né dagli ammiratori – che ti assicuro sono assai pochi. E spero che il poco pubblico che mi segue non si aspetti grandi cose da me.

16) Oltre alla letteratura, quale arte abbracci?

Mi piace dipingere, disegnare: quando non scrivo, disegno. Ma sono una schiappa quando si tratta di fare dell’arte digitale. Sono vecchio, inutile negarlo: amo troppo i carboncini, gli acquerelli, i colori a olio.
Qualche volta mi spreco a stuprare la chitarra per due accordi appena: solitamente così nascono delle ballate, le loro parole…

17) Ammiri gli artisti interamente autodidatti? O li rimproveri?

Perché mai dovrei rimproverarli? Semmai li ammiro, per la forza, per il coraggio di non appoggiarsi a scuole, a idee spartane vecchie di secoli, che solo mortificano l’inventiva dell’artista.

18) Sei un autodidatta?

Sono un meticcio: per metà autodidatta, per metà formato da… In verità, non è importante chi ha contribuito a formare quella parte dell’Ego che è mio.

19) Ti consideri Narciso e Drella (un po’ dracula e cenerentola)?

Non è che mi consideri: sono un narcisista dichiarato. Drella era uno dei nickname di Andy Warhol. Io l’ho adottato per molto tempo, perché so anche essere dracula e ingenuo in tempi diversi. Il problema è soltanto quando sono dracula e cenerentola allo stesso tempo.

20) Il mondo della letteratura attraversa un periodo oscuro, negativo: è vero? Se sì, come mai? e cosa, eventualmente, dovrebbe cambiare?

Le arti, il mondo delle arti è in crisi da parecchio tempo. Praticamente da quando l’uomo ha iniziato a pensare all’arte e a farla – a crearla dal nulla, spesse volte a solo favore del più totale e assoluto Niente, quasi con la presunzione di dar concretezza al Niente, che è per sua natura impalpabile.
Oggi manca la qualità, soprattutto. Resisterà la qualità: l’inutile sarà dimenticato com’è giusto che sia. E’ sempre stato così, e sempre così sarà.
Si dovrebbe cominciare a pensare all’arte come a qualcosa che sia di qualità anche: sarebbe un buon inizio per non finire nell’oblio.

21) In quali valori credi?

Non ho una scala di valori dove un valore è più importante di un altro. Non ho una scala. Mi piace pensare a me stesso come a un’anima salva, così tanto da escludere anche l’anarchia. Credo solo in ciò che vedo e che può essere dimostrato attraverso il raziocinio.

22) Riesci a vivere della tua sola arte?

Nell’immediato non ho intenzione di ridurmi a essere un pezzente. Pochi riescono oggi a vivere grazie alla loro arte.
Oggi, per essere dei falliti, basta dichiararsi artisti a tempo pieno. Io non lo sono a tempo pieno: la pancia mi piace avercela piena, poi magari scrivo che “ce l’ho piena”.

23) Il tema preferito nei tuoi scritti?

Mi piace affrontare tanti temi nei miei scritti, spesse volte adottando stili diversi.
Non ho un tema preferito, o un’ossessione.

24) L’amore… esiste?

Sì, è fumo d’una sigaretta. In questa forma volatile esiste.

25) Hai sogni?

Finché vivo avrò dei sogni, come tutti. E’ inevitabile che sogni. E’ inevitabile che puntualmente non si realizzino: così è (quasi) per tutti, quindi non vedo perché dovrebbe essere diversamente per me.
Ho molte aspirazioni e tentazioni, soprattutto tentazioni.
Il mio sogno più grande: un’isoletta cubana, una macchina per scrivere, una donna. La variante: uguale quasi, ma in Canada, tra le montagne. Chiaramente, se il sogno si avverasse, sarei troppo felice per sentire la necessità di torturare la macchina per scrivere.

26) Cosa ti fa arrabbiare e cosa commuovere?

Ultimamente tutto mi fa incazzare, come una iena. La morte provocata per mano umana mi fa incazzare; ma non sarà con la mia incazzatura che l’uomo smetterà d’essere stupidamente uomo.
Le donne mi commuovono sempre, perché ben più intelligenti dei maschi. Mi piacciono le donne: stanno coi piedi ben piantati a terra sempre, anche quando su impossibili tacchi a spillo. Anche quando sculettano.

27) Esiste ancora il divario tra nord e sud? Come consideri il sud Italia… credi anche tu alle leggende dei veli neri, delle lupare e compagnia bella? Scriveresti mai un romanzo ambientato interamente in Sicilia?

Un divario tra Nord e Sud? Ieri forse sì, ma per ragioni economiche, di risorse terrigene. Oggi l’Italia è tutta nella merda: i più poveri sempre più poveri.
La mafia purtroppo è una realtà, ma non è un’esclusività dell’Italia del Sud, come poteva essere ieri. Alla mafia locale – italiana -, oggi si sono aggiunte quelle importate dall’Ovest, dagli ex paesi comunisti, dalla Cina. Ma c’è purtroppo da fare i conti anche con gruppi terroristici d’Oltralpe.
Conosco troppo poco la Sicilia per poter scrivere un romanzo in essa ambientato. Ma mi piacerebbe ambientarci una storia.

28) Se tu non fossi un artista, cosa ti piacerebbe essere? Che lavoro vorresti fare?

Me la godrei un mondo a non fare niente, tra i monti canadesi, o al sole su un’isoletta cubana.

29) Per riuscire nella tua arte, nel tuo talento che hai portato avanti davvero con lode, quali sacrifici hai compiuto?

Ho speso soldi, molti soldi per comprarmelo il poco di talento che ho. Se ne è valsa la pena? Probabilmente no: avrei fatto bene a tenermi i soldi in tasca… a quest’ora potrei forse già essere vicino al mio sogno.

30) Hai gli anni di Cristo, e come mai già, ti senti vecchio, vissuto?

Oddio! Non amo parlare della mia età.
Mi sento vissuto perché ho visto abbastanza del mondo, provando nausea.


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