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Brani
tratti da "VEDERE"
In
ospedale
Ed eccomi
qui un anno dopo.
Me ne sto ai piedi del letto a fissare il viso angelico del mio unico
amore, per nulla deturpato dal passare degli anni.
Cathline dorme. Cathline non si sveglia. Cathline è in coma.
Arriva linfermiera, quella anziana, che da tempo sostiene di dover
andare in pensione. E invece eccola ancora qui.
Come andiamo? mi domanda, senza badare alla mia risposta.
Al solito. Lei come sta? Ci sono miglioramenti?.
Ovviamente mi riferisco alla mia fidanzata. Anche se stento ad ammetterlo,
ormai ho quasi smesso di sperarci. Ormai la vivo più come una domanda
di routine. Al solito pure lei. Nessun segnale di ripresa.
Dietro una tendina grigia si sente la voce di una donna che legge una
favola a un bambino. O forse a una bambina? Non lo so, a dire il vero
non ho mai guardato oltre quel sottile telo di stoffa. Ma non importa.
Manca poco alla fine dellorario delle visite, e quel poco tempo
che resta voglio dedicarlo alla mia amata.
Come se mi avesse letto nel pensiero ecco che arriva quellanatra
starnazzante in camice bianco a segnalare che restano ancora 5 minuti
e che poi saremmo dovuti andar via.
Per tutti questi istanti preziosi guardo il viso della mia Cath, le sopracciglia
arcuate, le palpebre abbassate, le labbra carnose di un color rosa scuro,
che danno limpressione di aver ancora molti baci da ricevere e donare.
E Dio solo sa quanti ne riceverebbe dal sottoscritto qualora dovesse un
giorno riaprire gli occhi. I capelli castani scendono fluenti fin poco
sotto le spalle. Il resto del corpo è nascosto dal lenzuolo e solo
le braccia escono dalla coperta. Le prendo una mano. La stringo e cerco
di trasmetterle tutto il mio amore per lei in quel casto contatto che
ormai è ricco di significati. A lato, sul comodino, cè
un vaso con allinterno una dozzina di rose. Una è più
rossa delle altre. Si capisce subito che è quella di oggi. Ogni
giorno da quando lei è qui io le porto una rosa.
Tante volte si è riempito quel vaso, e altrettante volte lho
dovuto svuotare.
Chiudo gli occhi e dopo pochi secondi torna la vecchia a rompere le palle,
come suo solito. Lascio la mano vellutata della mia bella addormentata.
Le stampo un bacio sulle labbra. Un ultimo sguardo al suo viso, che non
rivedrò fino a domani se non nei miei sogni.
La guardo e mi sforzo di vederla. Ma non mi riesce. Non più.
Esco dalla stanza e come al solito la civetta, afflitta da frustrazione
per la totale mancanza damore nella sua vita, mi lancia unocchiataccia,
come se invece che aver baciato la mia ragazza avessi molestato un bambino.
Ma ormai non mi importa più nulla di quello che pensa lei. Non
mi importa più del pensiero di nessuno.
Scendo in strada con ancora nelle narici il profumo dei capelli di colei
che nella sua non-vita è la mia unica ragione di vivere.
È incredibile lo stacco dalla realtà che provo ogni volta
che esco dallospedale.
In un certo senso è come se dentro a quelle mura vivessi i miei
unici 5 minuti di vita reale della giornata. Sarà per la persona
che ho là dentro, o per suggestione, non ne ho idea.
Mi incammino verso casa, ma ci sarà una tappa prima. Oggi è
mercoledì, e il mercoledì vuol dire bevuta con Mark.
Guardo il semaforo. È rosso. Sbatto le palpebre. Guardo il semaforo.
È verde.
L'incontro
Ho lasciato
lospedale da circa 10 minuti. Sto camminando sul marciapiede pieno
di gente che esce in questo momento dal proprio posto di lavoro. Nessuno
di loro ha in viso unespressione felice, benché sia venerdì.
Camminare diventa difficile. Mi arrivano spallate da ogni dove. Io proseguo
imperterrito senza guardare in faccia nessuno.
Sono quasi arrivato al bar dove ci eravamo dati appuntamento con Mark
e i suoi amici.
Passo dopo passo, a testa china, proseguo la mia avanzata, inarrestabile,
finché non mi sento strattonare per la camicia.
Mi volto convinto che si tratti di un barbone. Non potevo essere più
lontano dalla verità.
Non appena il mio viso si gira di quel tanto che basta per guardare da
sopra la spalla vedo una strana luce. Tutto intorno a me è sparito.
Ci sono solo questa luce abbagliante e lei. La ragazza rossa.
Era da mercoledì scorso che non la vedevo, ma ancora non me lero
dimenticata. E ora eccola qui.
Questa volta non sorride, sembra quasi preoccupata.
Chiudo gli occhi per un secondo e la luce misteriosa è sparita.
Ma lei no.
Mi trascina per un braccio dentro a un vicolo. Alla nostra sinistra migliaia
di persone ci passano vicino senza degnarci di uno sguardo. Meglio così.
Lei mi spinge contro un muro. Mi fissa negli occhi, e poi comincia a parlare.
Ho poco tempo prima che arrivino e mi trovino qui. E se possibile
vorrei evitarlo, almeno ancora per un po.
Prima che arrivi chi?.
Non si sono accorti ancora di nulla. Per fortuna ti limiti ad aprire
gli occhi un attimo, altrimenti mi avrebbero già scoperta da un
pezzo.
Chi ti avrebbe scoper
Lei mi zittisce con una mano sulla bocca.
Per favore non parlare. Potrebbero sentirti. A breve aprirai gli
occhi definitivamente, e tutto ti sarà più chiaro. Lunica
cosa che possiamo fare ora è sperare che quando succederà
la prima persona che ti troverai davanti sia io.
Aspetta, non ci sto capendo nulla. Aprire gli occhi? Di che
Unaltra volta mi zittisce.
Adesso devo scappare. Tornerò presto a controllare che tutto
vada bene. Tu aspettami.
Io chiudo gli occhi. Quando li riapro lei è sparita.
Resto fermo per altri cinque minuti.
Oggi di certo è stata una giornata movimentata. Prima le voci in
ospedale, e ora questo. Una ragazza che mi preleva dal marciapiede facendomi
discorsi che non stanno né in cielo né in terra, per poi
andarsene così, in un secondo.
Non può essere una coincidenza. Mi è successo qualcosa.
Sto impazzendo.
Dopo alcuni istanti mi rendo conto di avere il fiatone. Cerco di calmarmi
respirando a pieni polmoni.
Dopo un paio di minuti sono tornato in me, almeno per quanto sia lecito
sostenere di esserlo mai stato. Riprendo il mio cammino verso il bar.
Sono in ritardo.
Dopo cinque minuti eccomi davanti alla porta. La spalanco e mi trovo davanti
Mark, Eric e Tommy in avanzato stato di ubriachezza.
(...)
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Mattia
Zadra, studente diciannovenne curiosamente
allergico alla scuola e con idee anarchico-rivoluzionarie nella capoccia,
dopo aver tentato una carriera come lanciatore di coltelli (finita in
malo modo), si è tuffato anima e corpo nelledonismo più
sfrenato trascurando tutto e tutti, soprattutto se stesso.
Nel
maggio 2009 impara lalfabeto e decide di scrivere un libro sperimentale
fatto solo di vocali. Manco a dirlo il lavoro non sortisce i frutti sperati
e si rivela un fiasco totale. Nonostante ciò, Mattia decide di
riprovarci e questa volta usa pure le consonanti...
Alla
fine del 2013 ha pubblicato da Cicorivolta il suo secondo romanzo dal
titolo "DAMN".
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