i quaderni di Cico
 
 

 

 

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... e di Fabrizio Bianchini, leggi anche LA BANDA DEL GRANO, il suo primo indimenticabile romanzo divenuto un cult, e il sorprendente, tragicomico COSE SFIZIOSE


titolo: TENAX
collana i quaderni di Cico
autore
Fabrizio Bianchini
ISBN 978-88-97424-00-0
- € 12,00 - pp. 184
concept grafico di copertina di
Emidio Giovannozzi.


Macerata e dintorni, 1985.
Fabrizio Luciani, “Il Maestro”, è un giovane dj che vive un’esistenza borderline fra droga, alcool e relazioni sentimentali precarie al ritmo della dance degli anni ‘80.
Suoi compagni d’avventura sono “Il Papero” e “Il Marmista”, con i quali condivide l’assoluto vuoto di valori di cui si è circondato. La storia si snoda nell’attesa del concerto di Diana Est che si esibirà all’Imagine, la discoteca dove Fabrizio lavora.
Ma la vita del dj comincia a perdere colpi. Una dopo l’altra le fragili certezze su cui il protagonista puntella l’esistenza verranno meno, fino al tragico epilogo in cui “Il Marmista” verrà ucciso e “Il Papero” finirà in carcere.
Per Fabrizio, lasciato il giorno del funerale dalla donna
che ha scoperto di amare, sarà il momento
della resa dei conti con se stesso.



Tenax è supercollante in tutti i sensi... un bassorilievo minuto e profondo, in una scrittura sapiente e comunque lieve
la resa precisa di quella realtà che, anche solo ad averne sentito l'odore, ti s'imprime nella carne per sempre, proprio come un marchio un reportage molto più intimo e struggente di quanto le recensioni non dicano davvero un regalo ... per quanto amaro, avrei voluto non finisse più.

Giorgia Monti


 
Non c’è dubbio che sia uno dei principali autori italiani del Duemila, dotato di competenza narrativa scenica e di velocità. Chi abbia avuto la fortuna, e sono tanti, di leggerlo sin dagli esordi e di seguirne i passi, può dirlo. Oggi torna sulla ribalta di Cicorivolta con questo romanzo, TENAX, che sin dalle prime battute mostra l’etichetta di un inconfondibile Bianchini d.o.c.
 
 
Brano tratto da "TENAX"

Prologo

Il sangue.
Sulle mani. Addosso.
Per terra.
Il sangue.
Dappertutto.
Ho gli occhi spalancati.
Eppure.
Ogni cosa appare sfocata.
C’è nebbia?
Gambe corrono in ogni direzione. Tante, troppe gambe tutte uguali.
Gli incubi.
Il sangue.
Invece.
Quello è nitido. Reale.
Il sangue.
Continua a uscire.
Sgorga.
Apro la bocca. Le labbra si staccano a fatica.
Plop.
Voglio urlare e non ci riesco. C’è un ragno in gola, è enorme. Tesse la tela attorno alle corde vocali e si nutre di orrore.
Plop.
Il sangue.
Anche il sangue fa Plop. Quanto ce n’è in un uomo?
Milioni di suoni galleggiano attutiti nell’aria. È come se nelle orecchie sgorgasse acqua
(Il sangue sgorga
e fa Plop).

Una cascata d’acqua che non si ferma mai.
Plop.
Qualcuno urla.
La parola dottore. Arriva lontana e distorta.
Sono in tanti. Si divertono a ripeterla.
Quanti erano gli incubi?
Il sangue.
Alzo i palmi davanti agli occhi, le dita aperte.
Plop.
Rosso.
Il sangue.
Scorre giù in rivoli sottili fino ai polsi. Dentro le maniche.
Plop.
Tre incubi.
Una sirena. È lontana.
Il sangue.
Chiudo gli occhi. Li serro forte.
Il sangue.
Puzza.
E fa Plop.
Come le mie labbra.
Trattengo a stento i conati di vomito e rimango in ginocchio.
In attesa.
A capo chino.
In mezzo al sangue.


1

Succede sempre così. Quando arriviamo noi, in pista rallentano fino quasi a fermarsi e ci fissano. Siamo fichi. Soprattutto io.
Il Papero davanti, io in mezzo, e il Marmista con la busta dei dischi nuovi a chiudere la fila.
L’ordine d’ingresso non cambia mai, come la frase che mi rivolge il Papero con un ghigno mentre ammicca verso le ragazze che ballano sotto la consolle: - Maeftro, guarda quanta carne da macello.
Stasera Dumbo, il mio secondo, sta mandando Flesh for fantasy, di Billy Idol. Gli rivolgo un’occhiataccia di quelle che stenderebbero un toro. Lo sa che non deve bruciarmi le hit. Lui distoglie lo sguardo e china il viso. Emiliano, detto Dumbo per le orecchie, è un ragazzino di quindici anni che sogna di diventare un dj famoso, mi fa tenerezza.
Il Papero ha seguito la scena. Si ravvia i capelli biondi che gli cadono davanti agli occhi, indica Emiliano con il mento, poi unisce le dita e mi sventola la mano davanti in quello che è una sorta di marchio di fabbrica. – Perché non lo cacci via a calci in culo, quel pupaffo?
Ci penso io, Maestro? – interviene il Marmista, che non ha capito ma vuole rendersi utile.
Gli appoggio una mano sulla spalla e mi sembra di toccare il ferro. – Va tutto bene - lo tranquillizzo, con un sorriso.
Leonida Patrassi, detto il Marmista perché fabbrica lapidi nell’azienda di famiglia, è un armadio di quasi due metri. Una volta l’ho visto staccare da dietro la 500 color mattone del Papero e trascinarla verso il centro della strada per sfogare un’arrabbiatura. Qualsiasi altro essere al mondo che si fosse chiamato Leonida sarebbe stato oggetto di prese per il culo infinite; al Marmista questo non succede, anzi. Per tutti è Leo. Gli unici che possono permettersi di chiamarlo Marmista siamo io e il Papero. Ha appena pronunciato una delle poche frasi di senso compiuto che gli abbia sentito dire; di solito grugnisce. Ricorda vagamente Lou Ferrigno, quello di Hulk. Ha la capacità di ragionamento di una mosca ma è un dettaglio irrilevante, l’essenziale è che mi adori.
Intanto Emiliano è tornato alla scaletta che gli compete, canzoni vecchie che servono a scaldare l’ambiente in attesa che l’Imagine si riempia e DJ Pretty, il Maestro per gli intimi, inizi lo show. Adesso ha mixato da cani, il cretino; gli avrò ripetuto un milione di volte che deve contare le battute, e che i piatti sono dei vecchi Lenco a cinghia e il disco parte lento e bisogna fargli prendere velocità con le dita.
Una gomitata del Papero mi distoglie dai pensieri. Mi volto verso di lui e lo vedo gonfiare il petto. Giulia si sta avvicinando con una ragazza dalle poppe enormi che non conosciamo. Sono convinto che il Papero mi sia tanto amico solo perché gli permetto di rimorchiare alla grande. La seconda scelta è sempre per lui; la terza, quando c’è, tocca al Marmista. Mi va bene così. Non nutrirà nei miei confronti la devozione di Leo però sa rendersi utile, è bravo a reggere il gioco con le donne, e con quella esse blesa è proprio divertente. Si chiama Sandro Principi, ma è il Papero dalla notte dei tempi. Alto e magro come un chiodo, con un gran ciuffo di capelli biondi resi lisci dalla piastra, quando scende in pista calamita l’attenzione delle donne. Ha un’agilità e una leggerezza di movenze che gli invidio, e più di una ragazza gli ha detto che quando balla sembra John Travolta. Veste sempre con Clark’s, jeans a tubo e camicia nera. A vederlo qui, nessuno potrebbe immaginarlo con addosso una tuta da lavoro sporca d’olio di motore.
- Ciao, Fabrizio – urla Giulia sopra la musica, poi mi caccia cinque centimetri di lingua in bocca e mi accarezza i ricci scolpiti dal Tenax. Ci tiene a far vedere che è la mia ragazza.
Giulia ha ventiquattro anni, uno più di me, lavora come ostetrica all’ospedale di Macerata. Castana con gli occhi verdi, è piccolina ma dura come la roccia, e quando gode urla; è per questa peculiarità che il rapporto va avanti da due mesi. Un record, per me.
Adesso mi guarda estasiata. – Dove l’hai preso? È bellissimo. Proprio da fricchettone.
- Da Sisley, a Macerata, bella bimba. Oggi pomeriggio.
In effetti sono al top. Sopra alla solita maglietta a rete indosso questo giubbino rosa e viola dai bottoni dorati, un nuovo arrivo della collezione primaverile 1984 che ho pagato 99.900 lire. Dato che c’ero ho fatto un salto anche alla Bottega di Riccardo per acquistare l’ennesimo paio di Levi’s scoloriti a tubo. Che mi frega? Tanto, per mettere su quattro dischi qui a Tolentino, mi danno un milione al mese.
Faccio l’occhiolino a Giulia. – Bella bimba, tocca a me.
Intanto il Papero ha attaccato bottone con Poppe Enormi e le sventola davanti la mano. Mi pare di capire che le stia dicendo che qui dentro sono tutti dei pupazzi. Lei squittisce e sbatte le ciglia.
Prendo i dischi dalle mani del Marmista e salgo sulla consolle. Al mio arrivo, Dumbo si scansa con una sorta di inchino e mi porge le cuffie. Come al solito sgancio un auricolare e incastro il superstite fra orecchio e spalla. Quindi prendo il disco degli effetti speciali e scocco uno sguardo d’intesa a Romeo, l’addetto alle luci che ha la postazione a pochi metri dalla mia.
Sfumo la musica e per alcuni istanti è solo buio e silenzio. Poi, come il fragore dei tuoni e il ticchettio della pioggia invadono la pista e un fumo acre e giallognolo si alza attorno alla consolle, entrano in funzione le luci stroboscopiche.
In sottofondo ecco le prime note di Big in Japan, quasi coperte dagli applausi del pubblico.
Quando Marian Gold attacca a cantare, sono tutti in pista.
Leo si è piazzato davanti a me, con i gomiti appoggiati alla parte esterna della consolle. Mi dà le spalle e osserva il mio popolo ballare. È una specie di angelo custode. Quelli con un pisello fra le gambe che vogliono parlarmi devono chiedere il permesso a lui. Il Papero, invece, ha fatto sedere Poppe Enormi su un divano e ha iniziato le manovre di avvicinamento.

La serata scorre via alla grande. Il pubblico è entusiasta, Giulia balla e Dumbo mi guarda adorante e sospira in attesa che arrivi il momento dei lenti, quando toccherà di nuovo a lui. Oggi mi prende bene. Lavoro molto di equalizzatore, mi diverto a mandare due brani contemporaneamente in perfetta sincronia, ogni mixata è perfetta. Dev’essere merito dell’erbetta che ci siamo fumati prima di entrare.
Mentre la mia adorata Diana Est canta Le Louvre, il Marmista si volta di scatto. Ha il terrore negli occhi.
- Maestro!
Gli rivolgo uno sguardo interrogativo.
- Chiara… - farfuglia.
- Come?
- Chiara. Là.
Adesso la vedo. Sta al guardaroba. Per un momento è panico assoluto e cieco. Io e Chiara stiamo insieme da una decina di giorni. L’ho conosciuta qui giovedì dell’altra settimana, in quella che è la serata universitaria. Studia legge a Macerata ma è di Lecce; il fine settimana torna a casa, almeno così mi aveva garantito. Doveva essere una combinazione perfetta, perché di giovedì Giulia non viene mai. Chiara è una cavallona mora, alta almeno un metro e settanta, di quelle che malgrado le tette piccole non sai da che parte cominciare a mettere le mani, e ha un viso di una delicatezza e sensualità come non ne avevo mai visti; ogni volta che mi guarda ho paura di affogare in quegli oceani di tenebra che ha al posto degli occhi. Non me l’ha ancora data, e questo è un motivo più che valido per non rischiare di perderla. E voglio tenermi pure Giulia e le sue urla.
- Maestro…
Finalmente prende forma un barlume di lucidità.
Certo!
- Leo, manda il Papero da Giulia. Deve dirle che ho avuto un improvviso attacco di stomaco, che sto male da cani e bisogna che torno subito a casa. Domani le telefono.
- Vado.
- Aspetta. - Lo afferro per un braccio. Qualsiasi altro non avrebbe potuto raccontarlo con tutti i denti in bocca. – Poi corri da Chiara e fermala. Racconta la stessa storia pure a lei. Io arrivo subito.
Ho appena finito di parlare, che il Marmista ha già sollevato di peso il Papero dal divano dove stava avvinghiato con Poppe Enormi. In questi casi Leo sa essere ricettivo, per fortuna. Solo, ce la farà ad articolare la storia in maniera comprensibile?
- Finisci la serata tu – dico a Dumbo.
Gli occhi del ragazzino si illuminano. – Davvero? – Quasi mi strappa le cuffie dalle mani.
Annuisco. Speriamo che non combini troppi casini. Adesso devo farla bere a Rodolfo, il direttore di sala. Intanto è bene calarsi nella parte. Mi piego in due, porto una mano allo stomaco, e cerco di assumere un’espressione sofferente.
Mentre scendo dalla postazione, incrocio lo sguardo preoccupato di Giulia che sta parlando con il Papero. Le faccio cenno di restare dov’è e la saluto con un sorriso mesto. Lei mi manda un bacio in punta di labbra e torna a ballare.
Bene.
In lontananza, dalla parte dell’uscita, vedo le spalle del Marmista. Dietro a quella montagna di muscoli dovrebbe esserci Chiara.
Ottimo.
Ecco Rodolfo.
Niente da dire, è un gran personaggio. Avrà un trentacinque anni, e malgrado l’aspetto di una lattina con la barba, svolazza leggiadro per la discoteca con uno smoking rosa. Non l’ho mai visto parlare con una donna.
- Che succede? – fa, preoccupato.
Mi produco in una smorfia di dolore da premio Oscar. – Sto male da cani. Non ce la faccio.
- Ma sei pazzo? Di sabato? – Quando si innervosisce, comincia a gesticolare come un forsennato e la voce gli diventa stridula. – Il ragazzino non può reggere la serata.
Come a confermare le sue parole, Dumbo va fuori tempo. Adesso sono tutti fermi a guardare verso la consolle. Il pubblico dell’Imagine è così, non ti perdona nulla, e non c’è niente di peggio di vedere trecento persone che di colpo smettono di ballare e ti fissano immobili per tre, quattro interminabili secondi. Qualche volta è successo anche a me, in passato, quando non ero ancora DJ Pretty.
- Ecco, hai sentito? Hai visto? Cazzo! – Rodolfo sembra sull’orlo di una sincope.
- Credi che lo faccia apposta? – Mi piego ancora di più. – Non vedi in che condizioni sono? Non so nemmeno se ce la farò a guidare.
- Io ti faccio scalare la serata dallo stipendio.
- Rodolfo…
- Vaffanculo.
- Dài, che per domani sera ce la faccio.
- Vaffanculo!
Lo vedo allontanarsi sculettando, con la mano sinistra all’altezza del viso piegata ad angolo retto e le dita rivolte verso l’esterno. È andata. Rodolfo non manterrà la minaccia, lo conosco bene. Ma io resto un irresponsabile. Da qui alla chiusura dovrà sorbirsi un’infinità di persone che andranno a lamentarsi per l’incapacità di Dumbo. Scaccio il pensiero con una scrollata di spalle; il ragazzino non l’ho scelto io, mi è stato imposto proprio da Rodolfo perché è il nipote di uno dei soci. Potevano pensarci prima, può succedere che uno stia male.
L’ultimo ostacolo prima della salvezza si materializza dopo pochi passi. Ormai sono all’altezza del bar, a una manciata di metri dal corridoio dell’uscita.
- Fabri, quanto mi dispiace. Volevo farti una sorpresa.
Non puoi immaginare come ci sei riuscita bene.
- Accompagnami alla porta, – la mia voce è un rantolo.
Sono proprio bravo, dovevo fare l’attore.
- Maestro…
- Per favore, Leo. Sorreggimi.
Quando si dice che la classe non è acqua.
- Aspetta, ti aiuto anch’io.
Chiara mi prende sottobraccio. È bello sentire il suo contatto. Ci siamo visti solo tre o quattro volte, e tutto si è risolto con qualche bacio; quando ho provato ad allungare le mani mi ha sempre fermato. Non so perché, quando sto con lei ho l’impressione che del mio personaggio non le importi nulla, che stia provando a vedere se può innamorarsi di Fabrizio. Ma cosa potrà trovarci, in un Fabrizio Luciani qualsiasi?
Adesso basta con le paranoie. È colpa dell’erbetta e del fatto che mi sono calato nella parte del sofferente in fin di vita. Chiara, come direbbe il Papero, è carne da macello. Come tutte.
Siamo arrivati all’uscita. Rivolgo una smorfia di saluto ai due bestioni in doppiopetto blu e cravatta regimental che rispondono con un lieve cenno del capo. Non riesco ancora a capacitarmene, sono più grossi del Marmista. Uno di loro apre la porta.
- Fabri, ce la farai a guidare?
Mi lascio sfuggire un sibilo di dolore. – Ci proverò – rispondo, con una smorfia di rassegnato fatalismo.
Chiara mi abbraccia forte. – Non posso vederti così.
- Maestro, ti accompagno?
Il Marmista dirà sul serio? Vuoi vedere che alla fine si è convinto che sia vero?
- No, Leo, tranquillo.
- Senti, Fabri, ti porto io. Poi domani veniamo a prendere la tua macchina.
Non se ne parla proprio!
- Figurati, ormai sei qui, vai a divertirti… tu che puoi.
Lei mi afferra la mano.
- Fabri…
Mi sciolgo da quella presa calda e piacevole con delicatezza. – Stai tranquilla. Domani ti telefono… Leo, te la affido.
Do loro le spalle ed esco verso il parcheggio con un’andatura barcollante.
Meno male che veniamo sempre con tre macchine.
Per ogni evenienza.

(...)

 

 

Fabrizio Bianchini è nato a Macerata il 07/11/1961 e attualmente vive a Pollenza (MC).
Ha pubblicato il suo primo romanzo, “La banda del grano”, nel 2006 con Cicorivolta Edizioni, a cui è seguito, sempre con Cicorivolta, “Cose Sfiziose”. Con Edizioni Montag ha poi dato alle stampe “Fuochi a mezzanotte”, “In fondo al nero” e una raccolta di racconti suoi e di Alberto Cola dal titolo “Rotte Clandestine”. Ha scritto a quattro mani con Franco Forte, per Delos Books, un manuale, “Come partecipare ai premi letterari e vincere”.
Suoi racconti sono presenti in antologie edite, fra gli altri, da Fandango, Delos Books, Malatempora.