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Brano
tratto da "TENAX"
Prologo
Il sangue.
Sulle mani. Addosso.
Per terra.
Il sangue.
Dappertutto.
Ho gli occhi spalancati.
Eppure.
Ogni cosa appare sfocata.
Cè nebbia?
Gambe corrono in ogni direzione. Tante, troppe gambe tutte uguali.
Gli incubi.
Il sangue.
Invece.
Quello è nitido. Reale.
Il sangue.
Continua a uscire.
Sgorga.
Apro la bocca. Le labbra si staccano a fatica.
Plop.
Voglio urlare e non ci riesco. Cè un ragno in gola, è
enorme. Tesse la tela attorno alle corde vocali e si nutre di orrore.
Plop.
Il sangue.
Anche il sangue fa Plop. Quanto ce nè in un uomo?
Milioni di suoni galleggiano attutiti nellaria. È come se
nelle orecchie sgorgasse acqua
(Il sangue sgorga
e fa Plop).
Una cascata dacqua che non si ferma mai.
Plop.
Qualcuno urla.
La parola dottore. Arriva lontana e distorta.
Sono in tanti. Si divertono a ripeterla.
Quanti erano gli incubi?
Il sangue.
Alzo i palmi davanti agli occhi, le dita aperte.
Plop.
Rosso.
Il sangue.
Scorre giù in rivoli sottili fino ai polsi. Dentro le maniche.
Plop.
Tre incubi.
Una sirena. È lontana.
Il sangue.
Chiudo gli occhi. Li serro forte.
Il sangue.
Puzza.
E fa Plop.
Come le mie labbra.
Trattengo a stento i conati di vomito e rimango in ginocchio.
In attesa.
A capo chino.
In mezzo al sangue.
1
Succede sempre
così. Quando arriviamo noi, in pista rallentano fino quasi a fermarsi
e ci fissano. Siamo fichi. Soprattutto io.
Il Papero davanti, io in mezzo, e il Marmista con la busta dei dischi
nuovi a chiudere la fila.
Lordine dingresso non cambia mai, come la frase che mi rivolge
il Papero con un ghigno mentre ammicca verso le ragazze che ballano sotto
la consolle: - Maeftro, guarda quanta carne da macello.
Stasera Dumbo, il mio secondo, sta mandando Flesh for fantasy,
di Billy Idol. Gli rivolgo unocchiataccia di quelle che stenderebbero
un toro. Lo sa che non deve bruciarmi le hit. Lui distoglie lo sguardo
e china il viso. Emiliano, detto Dumbo per le orecchie, è un ragazzino
di quindici anni che sogna di diventare un dj famoso, mi fa tenerezza.
Il Papero ha seguito la scena. Si ravvia i capelli biondi che gli cadono
davanti agli occhi, indica Emiliano con il mento, poi unisce le dita e
mi sventola la mano davanti in quello che è una sorta di marchio
di fabbrica. Perché non lo cacci via a calci in culo, quel
pupaffo?
Ci penso io, Maestro? interviene il Marmista, che non ha capito
ma vuole rendersi utile.
Gli appoggio una mano sulla spalla e mi sembra di toccare il ferro.
Va tutto bene - lo tranquillizzo, con un sorriso.
Leonida Patrassi, detto il Marmista perché fabbrica lapidi nellazienda
di famiglia, è un armadio di quasi due metri. Una volta lho
visto staccare da dietro la 500 color mattone del Papero e trascinarla
verso il centro della strada per sfogare unarrabbiatura. Qualsiasi
altro essere al mondo che si fosse chiamato Leonida sarebbe stato oggetto
di prese per il culo infinite; al Marmista questo non succede, anzi. Per
tutti è Leo. Gli unici che possono permettersi di chiamarlo Marmista
siamo io e il Papero. Ha appena pronunciato una delle poche frasi di senso
compiuto che gli abbia sentito dire; di solito grugnisce. Ricorda vagamente
Lou Ferrigno, quello di Hulk. Ha la capacità di ragionamento di
una mosca ma è un dettaglio irrilevante, lessenziale è
che mi adori.
Intanto Emiliano è tornato alla scaletta che gli compete, canzoni
vecchie che servono a scaldare lambiente in attesa che lImagine
si riempia e DJ Pretty, il Maestro per gli intimi, inizi lo show. Adesso
ha mixato da cani, il cretino; gli avrò ripetuto un milione di
volte che deve contare le battute, e che i piatti sono dei vecchi Lenco
a cinghia e il disco parte lento e bisogna fargli prendere velocità
con le dita.
Una gomitata del Papero mi distoglie dai pensieri. Mi volto verso di lui
e lo vedo gonfiare il petto. Giulia si sta avvicinando con una ragazza
dalle poppe enormi che non conosciamo. Sono convinto che il Papero mi
sia tanto amico solo perché gli permetto di rimorchiare alla grande.
La seconda scelta è sempre per lui; la terza, quando cè,
tocca al Marmista. Mi va bene così. Non nutrirà nei miei
confronti la devozione di Leo però sa rendersi utile, è
bravo a reggere il gioco con le donne, e con quella esse blesa è
proprio divertente. Si chiama Sandro Principi, ma è il Papero dalla
notte dei tempi. Alto e magro come un chiodo, con un gran ciuffo di capelli
biondi resi lisci dalla piastra, quando scende in pista calamita lattenzione
delle donne. Ha unagilità e una leggerezza di movenze che
gli invidio, e più di una ragazza gli ha detto che quando balla
sembra John Travolta. Veste sempre con Clarks, jeans a tubo e camicia
nera. A vederlo qui, nessuno potrebbe immaginarlo con addosso una tuta
da lavoro sporca dolio di motore.
- Ciao, Fabrizio urla Giulia sopra la musica, poi mi caccia cinque
centimetri di lingua in bocca e mi accarezza i ricci scolpiti dal Tenax.
Ci tiene a far vedere che è la mia ragazza.
Giulia ha ventiquattro anni, uno più di me, lavora come ostetrica
allospedale di Macerata. Castana con gli occhi verdi, è piccolina
ma dura come la roccia, e quando gode urla; è per questa peculiarità
che il rapporto va avanti da due mesi. Un record, per me.
Adesso mi guarda estasiata. Dove lhai preso? È bellissimo.
Proprio da fricchettone.
- Da Sisley, a Macerata, bella bimba. Oggi pomeriggio.
In effetti sono al top. Sopra alla solita maglietta a rete indosso questo
giubbino rosa e viola dai bottoni dorati, un nuovo arrivo della collezione
primaverile 1984 che ho pagato 99.900 lire. Dato che cero ho fatto
un salto anche alla Bottega di Riccardo per acquistare lennesimo
paio di Levis scoloriti a tubo. Che mi frega? Tanto, per
mettere su quattro dischi qui a Tolentino, mi danno un milione al mese.
Faccio locchiolino a Giulia. Bella bimba, tocca a me.
Intanto il Papero ha attaccato bottone con Poppe Enormi e le sventola
davanti la mano. Mi pare di capire che le stia dicendo che qui dentro
sono tutti dei pupazzi. Lei squittisce e sbatte le ciglia.
Prendo i dischi dalle mani del Marmista e salgo sulla consolle. Al mio
arrivo, Dumbo si scansa con una sorta di inchino e mi porge le cuffie.
Come al solito sgancio un auricolare e incastro il superstite fra orecchio
e spalla. Quindi prendo il disco degli effetti speciali e scocco uno sguardo
dintesa a Romeo, laddetto alle luci che ha la postazione a
pochi metri dalla mia.
Sfumo la musica e per alcuni istanti è solo buio e silenzio. Poi,
come il fragore dei tuoni e il ticchettio della pioggia invadono la pista
e un fumo acre e giallognolo si alza attorno alla consolle, entrano in
funzione le luci stroboscopiche.
In sottofondo ecco le prime note di Big in Japan, quasi coperte
dagli applausi del pubblico.
Quando Marian Gold attacca a cantare, sono tutti in pista.
Leo si è piazzato davanti a me, con i gomiti appoggiati alla parte
esterna della consolle. Mi dà le spalle e osserva il mio popolo
ballare. È una specie di angelo custode. Quelli con un pisello
fra le gambe che vogliono parlarmi devono chiedere il permesso a lui.
Il Papero, invece, ha fatto sedere Poppe Enormi su un divano e ha iniziato
le manovre di avvicinamento.
La serata
scorre via alla grande. Il pubblico è entusiasta, Giulia balla
e Dumbo mi guarda adorante e sospira in attesa che arrivi il momento dei
lenti, quando toccherà di nuovo a lui. Oggi mi prende bene. Lavoro
molto di equalizzatore, mi diverto a mandare due brani contemporaneamente
in perfetta sincronia, ogni mixata è perfetta. Devessere
merito dellerbetta che ci siamo fumati prima di entrare.
Mentre la mia adorata Diana Est canta Le Louvre, il Marmista si
volta di scatto. Ha il terrore negli occhi.
- Maestro!
Gli rivolgo uno sguardo interrogativo.
- Chiara
- farfuglia.
- Come?
- Chiara. Là.
Adesso la vedo. Sta al guardaroba. Per un momento è panico assoluto
e cieco. Io e Chiara stiamo insieme da una decina di giorni. Lho
conosciuta qui giovedì dellaltra settimana, in quella che
è la serata universitaria. Studia legge a Macerata ma è
di Lecce; il fine settimana torna a casa, almeno così mi aveva
garantito. Doveva essere una combinazione perfetta, perché di giovedì
Giulia non viene mai. Chiara è una cavallona mora, alta almeno
un metro e settanta, di quelle che malgrado le tette piccole non sai da
che parte cominciare a mettere le mani, e ha un viso di una delicatezza
e sensualità come non ne avevo mai visti; ogni volta che mi guarda
ho paura di affogare in quegli oceani di tenebra che ha al posto degli
occhi. Non me lha ancora data, e questo è un motivo più
che valido per non rischiare di perderla. E voglio tenermi pure Giulia
e le sue urla.
- Maestro
Finalmente prende forma un barlume di lucidità.
Certo!
- Leo, manda il Papero da Giulia. Deve dirle che ho avuto un improvviso
attacco di stomaco, che sto male da cani e bisogna che torno subito a
casa. Domani le telefono.
- Vado.
- Aspetta. - Lo afferro per un braccio. Qualsiasi altro non avrebbe potuto
raccontarlo con tutti i denti in bocca. Poi corri da Chiara e fermala.
Racconta la stessa storia pure a lei. Io arrivo subito.
Ho appena finito di parlare, che il Marmista ha già sollevato di
peso il Papero dal divano dove stava avvinghiato con Poppe Enormi. In
questi casi Leo sa essere ricettivo, per fortuna. Solo, ce la farà
ad articolare la storia in maniera comprensibile?
- Finisci la serata tu dico a Dumbo.
Gli occhi del ragazzino si illuminano. Davvero? Quasi mi
strappa le cuffie dalle mani.
Annuisco. Speriamo che non combini troppi casini. Adesso devo farla bere
a Rodolfo, il direttore di sala. Intanto è bene calarsi nella parte.
Mi piego in due, porto una mano allo stomaco, e cerco di assumere unespressione
sofferente.
Mentre scendo dalla postazione, incrocio lo sguardo preoccupato di Giulia
che sta parlando con il Papero. Le faccio cenno di restare dovè
e la saluto con un sorriso mesto. Lei mi manda un bacio in punta di labbra
e torna a ballare.
Bene.
In lontananza, dalla parte delluscita, vedo le spalle del Marmista.
Dietro a quella montagna di muscoli dovrebbe esserci Chiara.
Ottimo.
Ecco Rodolfo.
Niente da dire, è un gran personaggio. Avrà un trentacinque
anni, e malgrado laspetto di una lattina con la barba, svolazza
leggiadro per la discoteca con uno smoking rosa. Non lho mai visto
parlare con una donna.
- Che succede? fa, preoccupato.
Mi produco in una smorfia di dolore da premio Oscar. Sto male da
cani. Non ce la faccio.
- Ma sei pazzo? Di sabato? Quando si innervosisce, comincia a gesticolare
come un forsennato e la voce gli diventa stridula. Il ragazzino
non può reggere la serata.
Come a confermare le sue parole, Dumbo va fuori tempo. Adesso sono tutti
fermi a guardare verso la consolle. Il pubblico dellImagine è
così, non ti perdona nulla, e non cè niente di peggio
di vedere trecento persone che di colpo smettono di ballare e ti fissano
immobili per tre, quattro interminabili secondi. Qualche volta è
successo anche a me, in passato, quando non ero ancora DJ Pretty.
- Ecco, hai sentito? Hai visto? Cazzo! Rodolfo sembra sullorlo
di una sincope.
- Credi che lo faccia apposta? Mi piego ancora di più.
Non vedi in che condizioni sono? Non so nemmeno se ce la farò a
guidare.
- Io ti faccio scalare la serata dallo stipendio.
- Rodolfo
- Vaffanculo.
- Dài, che per domani sera ce la faccio.
- Vaffanculo!
Lo vedo allontanarsi sculettando, con la mano sinistra allaltezza
del viso piegata ad angolo retto e le dita rivolte verso lesterno.
È andata. Rodolfo non manterrà la minaccia, lo conosco bene.
Ma io resto un irresponsabile. Da qui alla chiusura dovrà sorbirsi
uninfinità di persone che andranno a lamentarsi per lincapacità
di Dumbo. Scaccio il pensiero con una scrollata di spalle; il ragazzino
non lho scelto io, mi è stato imposto proprio da Rodolfo
perché è il nipote di uno dei soci. Potevano pensarci prima,
può succedere che uno stia male.
Lultimo ostacolo prima della salvezza si materializza dopo pochi
passi. Ormai sono allaltezza del bar, a una manciata di metri dal
corridoio delluscita.
- Fabri, quanto mi dispiace. Volevo farti una sorpresa.
Non puoi immaginare come ci sei riuscita bene.
- Accompagnami alla porta, la mia voce è un rantolo.
Sono proprio bravo, dovevo fare lattore.
- Maestro
- Per favore, Leo. Sorreggimi.
Quando si dice che la classe non è acqua.
- Aspetta, ti aiuto anchio.
Chiara mi prende sottobraccio. È bello sentire il suo contatto.
Ci siamo visti solo tre o quattro volte, e tutto si è risolto con
qualche bacio; quando ho provato ad allungare le mani mi ha sempre fermato.
Non so perché, quando sto con lei ho limpressione che del
mio personaggio non le importi nulla, che stia provando a vedere se può
innamorarsi di Fabrizio. Ma cosa potrà trovarci, in un Fabrizio
Luciani qualsiasi?
Adesso basta con le paranoie. È colpa dellerbetta e del fatto
che mi sono calato nella parte del sofferente in fin di vita. Chiara,
come direbbe il Papero, è carne da macello. Come tutte.
Siamo arrivati alluscita. Rivolgo una smorfia di saluto ai due bestioni
in doppiopetto blu e cravatta regimental che rispondono con un lieve cenno
del capo. Non riesco ancora a capacitarmene, sono più grossi del
Marmista. Uno di loro apre la porta.
- Fabri, ce la farai a guidare?
Mi lascio sfuggire un sibilo di dolore. Ci proverò
rispondo, con una smorfia di rassegnato fatalismo.
Chiara mi abbraccia forte. Non posso vederti così.
- Maestro, ti accompagno?
Il Marmista dirà sul serio? Vuoi vedere che alla fine si è
convinto che sia vero?
- No, Leo, tranquillo.
- Senti, Fabri, ti porto io. Poi domani veniamo a prendere la tua macchina.
Non se ne parla proprio!
- Figurati, ormai sei qui, vai a divertirti
tu che puoi.
Lei mi afferra la mano.
- Fabri
Mi sciolgo da quella presa calda e piacevole con delicatezza. Stai
tranquilla. Domani ti telefono
Leo, te la affido.
Do loro le spalle ed esco verso il parcheggio con unandatura barcollante.
Meno male che veniamo sempre con tre macchine.
Per ogni evenienza.
(...)
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