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da Fuori le Mura il primo settimanale on line di Roma
Condividere per vivere: Intervista a Renzo Brollo
lunedì, 30 agosto 2010
di Flavio Camilli

Renzo Brollo, autore dei romanzi Se ti perdi tuo danno e Mio fratello muore meglio (leggi anche la recensione di Fuori le Mura), risponde a cinque domande per Fuori le Mura, che mai come in questa occasione sembrano non essere abbastanza.
"C'è qualcosa dentro al mio corpo che gironzola tra le ossa e i nervi. […] Il legame non può essere superficiale. Il nostro non era vivere per vivere, ma condividere per vivere, che è diverso. Ci sembrava di essere due ali ai lati di un corpo comune, che sollevavamo insieme. Trasportavamo la nostra creatura fin dove volevamo noi. […] La sua morte è stata la cosa peggiore che potesse capitarmi. […] Lui deperiva senza che io potessi fare niente, senza che nemmeno lo sapessi." (Mio fratello muore meglio, pp. 87)


Ciao Renzo, bentrovato.
Leggendo Mio fratello muore meglio non ho potuto fare a meno di notare alcune corrispondenze tematiche con il precedente Se ti perdi tuo danno. L'incipit di quest'ultimo recitava: "Dio è un ologramma" e tutto il romanzo oscillava tra il considerare le esistenze umane dominate dal caso e tra l'intravedere, invece, un qualche disegno superiore. In Mio fratello muore meglio ritroviamo quest'interrogativo in rapporto al misterioso avvenimento che da il via al racconto.
In entrambi i casi, e aldilà dei risultati, i tuoi personaggi sembrano essere costantemente mossi da una tensione verso Dio, o più precisamente verso l'idea dell'esistenza di uno scopo nelle loro sofferenze, senza tuttavia riuscire a venirne a patti.
Come scrittore, credi più in una letteratura di domande, in cui il testo possa essere occasione di indagine e catarsi sia per chi scrive che per chi legge o in una letteratura di risposte, in cui l'autore pone un problema e propone una soluzione o suggerisce una strada da seguire?

Ciao Flavio, grazie a te per l'ospitalità.
In effetti il tema divino è comune ai due romanzi (solo a questi due, le storie successive che ho scritto e sto scrivendo hanno tutt'altro respiro e tematica), ma non ho mai preteso di sollevare questioni e dare risposte (in me vive una profonda curiosità di scoprire cose che non conosco, senza peraltro volerle poi insegnare agli altri). In realtà in Se ti perdi tuo danno i ragionamenti sul cinismo di un possibile Dio giocherellone sono il frutto di una, chiamiamola così, personale terapia del dolore. Scrivere di Luigi, della sua morte e del recupero della sua salma, ragionando con l'ottica sghemba di un cinico e irriverente impresario di pompe funebri, mi ha aiutato a "digerire" un mio personale sentimento e un dolore che nonostante il tempo non era mai guarito. In Mio fratello muore meglio invece Dio entra in maniera laterale, come pretesto per raccontare la vita del povero Giovanni, costretto a recitare la parte del mistico pur non essendolo o non essendone capace. Poi, volevo esaltare il ridicolo passaparola di paese, in grado di trasformare un evento piccolo in un mistero, attirando a sé altre persone.


Altri temi ricorrenti nei tuoi scritti sono la morte e il dolore, sempre raccontati in modo molto discreto ma soprattutto funzionale al ritrovamento di un qualche equilibrio o ad un cambio di prospettive da parte dei personaggi. Succedeva allo sprezzante protagonista di Se ti perdi tuo danno e anche a Giovanni. Credi davvero che, ti cito, "quando uno soffre non è mai una brutta cosa. Significa che non ci guadagna niente", oppure c'è, in questo concetto, una qualche "patina" letteraria e retorica e nella realtà il dolore è dolore e l'unica cosa che scaturisce da esso è un'assenza, una sottrazione di vita più che un suo accrescimento?
La frase che hai citato era funzionale al racconto. Ovvero Giovanni andava convinto che la sua era una reale esperienza mistica. In realtà io odio provare dolore, anche se lo considero tuttavia inevitabile. In sostanza sognerei un mondo privo di pene e sì, sono una persona piuttosto vulnerabile da questo punto di vista. Temo il dolore, veder soffrire chi mi sta accanto, i miei famigliari. Ammetto d'essere apprensivo. Diciamo che scriverne mi aiuta a vincere certi miei blocchi e fobie.

Non posso fare a meno di constatare come, in modi differenti, non dimentichi mai di analizzare i personaggi nei loro rapporti con il prossimo e con la propria famiglia. Personalmente credo molto che rapportarsi con l'altro sia un potente mezzo di definizione dell'identità e che, di conseguenza, chi rifiuta il resto del mondo e il confronto è condannato ad essere un "uomo a metà".
Anche Giovanni, all'inizio recluso nel dolore per la morte del fratello, nonostante le difficoltà che incontra riesce ad emergere a suo modo dall'impaccio in cui si trova solo quando viene a contatto con altri personaggi, siano essi lo strafottente Lorenzo, il burbero messo comunale o la dolce Angela.
Come nascono i personaggi secondari dei tuoi romanzi? E qual è la differenza, in quest'ottica, tra i due romanzi?

In Se ti perdi tuo danno ogni personaggio aveva una sua importanza, era una storia corale dove si affrontavano più storie contemporaneamente e per questo ho voluto raccontarla a più voci, utilizzando tutti i punti di vista, senza spersonalizzare la scrittura. Era a tutti gli effetti una storia in movimento, il viaggio di ritorno di una salma, il viaggio di un impresario di pompe funebri con il suo carro funebre, il viaggio intimista di una vedova e di tutti gli altri personaggi. Mio fratello muore meglio invece è, all'opposto, fisicamente statico e incentrato tutto su Giovanni, che è un vero e proprio catalizzatore di sentimenti, buoni e cattivi. È un buco nero dentro al quale ci finisce di tutto e tutti gli altri personaggi sono funzionali alla sua sopravvivenza all'interno della storia. La casa di Giovanni è il luogo dove tutto succede e quel che deve accadere, accadrà dentro le mura. Tuttavia, il bestiario di personaggi che fanno da rosario al "crocefisso" laico che è Giovanni ha una sua connotazione, ispirata alla realtà. Mi sono divertito a caratterizzare persone comuni che si incontrano dappertutto.

Leggendoti ho notato che ti trovi molto a tuo agio con una modalità di narrazione, il romanzo, che dà la possibilità di indagare con la dovuta calma la situazione e la psiche dei protagonisti. Molto spesso uno scrittore ha una propria forma congeniale mentre sembra che tu riesca a risultare efficace anche nelle short stories che pubblichi sul tuo blog, I ricordi della mangusta, oppure negli "status" sul profilo di facebook, spesso aforismi sintetici ma eloquenti. Considerando anche l'esperienza di Racconti bigami, quale delle due forme preferisci sia scrivere che leggere?
Dipende molto dalle storie che voglio raccontare. Ci sono alcune storie che tengo da parte, sentendole più capaci d'essere approfondite, e che poi userò come plot per i romanzi. Scrivere sul blog e su facebook mi libera dalla tensione quotidiana e mi tiene in esercizio. Passo la maggior parte del tempo a fantasticare e ragionare sulle parole e sui loro molteplici significati e possibili utilizzi. Sono armi a doppio taglio le parole, perché i loro significati possono essere usati in contesti diversi, assumendo tutt'altro aspetto. È un vizio che ho sempre avuto. Se non scrivo leggo moltissimo, faccio parte dello staff di Mangialibri per i quali pubblico recensioni, perché ogni libro, anche quelli brutti, hanno qualche cosa da raccontare e recensire significa sforzarsi di scrivere qualche cosa di buono rispetto magari ad un racconto pessimo. Racconti Bigami era una raccolta di racconti scritti nell'arco di tre anni, acerbi e surreali, quando ancora non immaginavo nemmeno di potermi spingere oltre il racconto. Anche oggi scrivo racconti, ma l'approccio è più maturo (almeno spero).


Un'ultima domanda. Da tempo il mondo dell'editoria è spesso smosso da qualche polemica. Prima l'abolizione delle tariffe agevolate per la spedizione di libri, un colpo abbastanza duro per la piccola editoria, poi la legge Levi sul prezzo del libro, ora, il "caso Mondadori" che solleva una querelle etica secondo me non banale e su cui molti autori hanno manifestato pareri discordanti.
Facendo tu parte della scuderia Cicorivolta, il cui motto è "Libertà, uguaglianza, diversità" ti chiedo innanzitutto di raccontarci qualcosa in più sulla tua esperienza con un editore non certo grande ma, ci pare, entusiasta e poi, se credi, di dirci la tua sulla questione dell'etica dello scrittore. Se, secondo te, un autore debba comportarsi come un impiegato e fregarsene degli errori e delle magagne del proprio datore di lavoro o se invece il fatto che l'editoria sia un veicolo per la diffusione di opere d'arte, l'etica può e deve trovare spazio nelle valutazioni di uno scrittore o di un lettore. Quanto ha senso non scrivere per Mondadori, non leggere Mondadori?
Si tratta di un problema falso o reale?

Il mondo dell'editoria è sconfinato, pieno di corridoi laterali e deviazioni e piani sovrapposti. Cicorivolta è davvero una casa editrice coraggiosa, perché ospita al suo interno romanzi di buona qualità che si scontrano con la difficoltà di distribuzione ma, nonostante questo, Paolo Brunelli spinge e indaga sulla scrittura dei propri autori, interrogandoli, scandagliando la loro vita per trovare conferme alle storie scritte. Questo secondo me è un segnale di fiducia nelle opere pubblicate e negli autori, perché presuppone una voglia di percorrere assieme (autore ed editore) un percorso che non si limita alla sola pubblicazione di un'opera. Ho seguito alcuni autorevoli pareri degli autori Mondadori, rispettandoli sia nella decisione di lasciare la casa editrice sia nel rimanerci. Apprezzo e ammiro però chi ha scelto di andarsene, considerando le proprie opere non come semplici manufatti da distribuire ma come parti vitali "prestate" all'editore e poi condivise con i lettori. I libri non sono merci, anche se hanno un prezzo ed un mercato a tutti gli effetti. Gli scrittori non svolgono un lavoro impiegatizio vero e proprio, ma creano qualche cosa che dovrebbe trascendere le leggi del mercato. Quello che non riesco però a sopportare è la possibilità che queste cose possano accadere. Se le leggi servissero per rendere giusta ed equa la vita di un cittadino il problema non si sarebbe nemmeno posto. Le case editrici ragionerebbero di più sull'arte e meno sui guadagni. È una cosa che stento a comprendere, un po' come il business del calcio. Un gioco che diventa un mestiere e soprattutto una fucina di soldi. Non me lo spiego e quindi non ci riesco a ragionare sopra.


Se posso, un consiglio in chiusura. Nonostante abbia apprezzato davvero la sensibilità con cui ti approcci ai tuoi personaggi, seguendo le tue esigenze di scrittore e non logiche di mercato (non c'è molta azione, né sesso, né facile retorica) Mio fratello muore meglio è un romanzo introspettivo, riflessivo, forse in alcuni frangenti un po' statico. Non credi che un personaggio che si presenta tramite le proprie azioni e non solo attraverso i propri pensieri possa lasciare al lettore più spazio? Per certi versi Mio fratello muore meglio, nella sua dettagliata analisi dell'animo di Giovanni chiude numerose porte all'interpretazione, forse in virtù della paura di non caratterizzazione del personaggio.
Accetto la tua critica e capisco il tuo punto di vista. "Mio fratello muore meglio" è stata per me una specie di sfida. Avevo questa storia in testa, almeno una parte di essa, e volevo raccontarla fino in fondo. Sapevo che sarebbe stata una storia critica, perché priva di violenza, sesso, movimenti veloci e spostamenti, eppure continuavo a ricevere segnali esterni che mi spingevano a continuare. Coincidenze o richiami che io interpretavo positivi. Una volta scritta la prima bozza ho lasciato la storia per parecchi mesi ferma a decantare. Quando l'ho riletta, quasi dimenticandomi certi passaggi, ho capito che Giovanni aveva molta forza dentro, che andava incanalata e migliorata. Ho aggiunto una certa aria noir alla sua casa, tagliando certi ragionamenti che appesantivano il tutto, ma rimane pur sempre una storia su di lui, sulle sue paure, sui suoi vuoti che si riempiono di cose assurde. Le peripezie del povero Giovanni si creano e scoppiano come bolle nell'ambito delle quattro mura casalinghe e nelle vie del paese, per una precisa volontà di chiudere nel borgo di provincia i pregi e i difetti di un bestiario che, se ci fai caso, esiste per davvero.


Ti ringrazio per la tua disponibilità e ti faccio in bocca al lupo per la tua carriera.
Grazie a te per la tua attenta analisi e la curiosità con la quale hai affrontato il libro.

 

MIO FRATELLO MUORE MEGLIO