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titolo:
"Via
delle Tofane e altre cronache"
collana temalibero
autore Paolo D'Amato
ISBN 978-88- 95106-68-7
€
10,00 - pp.120
- © 2010 - in
copertina illustrazione originale di Simone
Pieralli
POCHE
ORE
Un uomo si fa carico di accompagnare suo zio, rimasto solo e gravemente
ammalato, negli ultimi istanti di vita. Il nipote osserva il congiunto
mentre affronta la morte e riflette sulla meschinità e legoismo
di chi rimane.
CLIZIA
Lamore mercenario ai tempi di Internet: un uomo in cerca di divertimento
fa un incontro inaspettato.
UNA BAMBOLA DARIA
Lomicidio di una giovane escort non è opera di
un rapinatore né di un maniaco. Ma di un innamorato
AUTOPSIA
Lindagine di un medico legale, per una volta, ha dei risvolti gustosi.
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Brano
tratto da Via delle Tofane
PROLOGO
imputato del reato di cui allarticolo 527 del Codice Penale perché,
trovandosi a bordo della sua autovettura Volkswagen modello Golf, targata
PA 760049, al posto di guida, alle ore 16 e 50 circa del 27 luglio 1994,
in Palermo, via delle Tofane, con le pudenda scoperte, compiva atti osceni;
del reato di cui allarticolo 610 del Codice Penale, perché
ponendosi con la sua autovettura Volkswagen modello Golf, targata PA 760049,
trasversalmente allautovettura condotta da De Rosa Paola, costringeva
questultima ad arrestare il moto del proprio mezzo, impedendo allo
stesso di ripartire; del reato di cui allarticolo 594 del Codice
Penale, perché offendeva lonore e il decoro di De Rosa Paola
pronunciando la frase: Fattelo mettere nel sedere e ti dò
cinquantamila lire. In Palermo, 27 luglio 1994.
Vorrei
morire. In questo momento non desidero altro. Mi fissano tutti. Lo stesso
giudice, una ragazza poco più che trentenne come me, solleva più
volte lo sguardo. Ma anche tutti i presenti, che si trovano lì
per i motivi più disparati, mi osservano ostili.
Quegli occhi puntati addosso su di me vogliono dire solo una cosa: Porco!.
Anche il pubblico ministero, Gloria, unamica di famiglia, si volta
verso di me incredula. Lho incrociata mezzora fa, allingresso
della pretura. Tutto immaginavo tranne che me la sarei ritrovata davanti
come pubblico ministero!
Le ho mentito dicendole che ero lì per annotare la mia presenza
a qualche processo come praticante procuratore. E ho sperato che non incrociasse
mio padre che doveva essere nei paraggi insieme al mio avvocato.
Ora Gloria parlotta con il giudice. Riesco a percepire solo due parole:
Lo conosco! - riferite con un certo imbarazzo. Poi firma un foglio
e sparisce.
Avrebbe potuto avvicinarsi e chiedermi qualche chiarimento. Ma evidentemente
non cè nulla da chiarire. Anche lei parte dal presupposto
che quella maledetta carta che mi accusa di orribili nefandezze sia la
Bibbia! Si dilegua per evitare di compromettersi, per non farsi infettare.
Mi sembra di sognare. Sono di fronte al plotone desecuzione, senza
alcuna speranza. Il processo si è concluso ancor prima diniziare
ed il verdetto è stato unanime: Porco!. Quegli sguardi
non lasciano dubbi. I fucili sono tutti puntati su di me e gli stessi
carnefici mi guardano con odio. Forse immaginano di colpirmi in punti
non letali per prolungare la mia agonia
Ma cosa vado elucubrando? Questa storia allucinante rischia di farmi impazzire.
Debbo mantenere la calma. Pensare a cose positive. A chi è dalla
mia parte.
Mio padre ha voluto esserci per forza. Anche se lui ed io siamo soltanto
vicini di casa e non conviventi, lufficiale giudiziario non si è
fatto troppi problemi, tre mesi fa, a consegnare a lui la notifica della
richiesta di rinvio a giudizio nei miei confronti.
E stato in quel momento che, per la prima volta, mio padre
e io con lui, poche ore dopo è venuto a conoscenza di quella
farneticante accusa che hanno appena finito di ripetere qui in aula. Ma
si è ripreso subito, e ha guidato le mie scelte successive, suggerendomi
a chi chiedere consiglio e a quale avvocato rivolgermi.
Mio padre che, solo due mesi prima, era venuto a prendermi in banca per
dirmi che aveva scoperto di avere il Parkinson. Se lera diagnosticato
da solo, dal momento che è neurologo. Ed io, per tutta risposta,
non gli avevo nemmeno dato la soddisfazione di rimanerne sconvolto, non
sapendo di preciso cosa fosse il Parkinson, a quellepoca.
Ho paura. Non immaginavo che potesse essere così facile rischiare
di finire in galera. E quindi morire. Perché io mi ammazzerei senza
pensarci due volte se questa storia dovesse finire male!
Hanno voglia a dirmi che in carcere non ci andrei comunque, che sono incensurato,
che non ci sono prove concrete a mio carico.
Non me ne frega niente di essere innocente! Non me ne frega niente di
capire cosa è successo e perché! Non me ne frega niente
di farla pagare a qualcuno per le sofferenze che sto patendo. Io sono
già stato giudicato colpevole e condannato alla peggiore delle
pene: vivere in mezzo alla gente!
E inutile che tentino di consolarmi. Se sapessi che qualcuno è
accusato di questi stessi reati, io lo eviterei, ne diffiderei. Non mimporterebbe
nulla di conoscere il verdetto finale: per me sarebbe solo una persona
da cui stare lontano e basta.
Ecco perché so di essere già stato condannato. Di aver già
perso, insomma. Lo dimostra il fatto che io non abbia mai avuto il coraggio
di parlarne con nessuno. Che ne provi vergogna. Il resto non conta.
Debbo restar calmo. Respirare. Se mi faccio vedere nervoso è peggio.
Sento però il viso che mi si gonfia, mi manca laria. Ma non
è colpa della cravatta.
Ho accanto a me lavvocato De Santis, dicono che sia uno dei migliori
penalisti della città, ma la sua presenza non è sufficiente
a rassicurarmi.
Siamo in prima linea. Cerco di guardarmi attorno con circospezione.
(...)
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