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titolo
"ROSSO
TAMIGI "
collana
i quaderni di Cico
autore
Michele Lazzerini
ISBN
9788897424048
-
€ 12,00 - pp. 143
- in
copertina, "Improbabili soluzioni", acrilico e olio
su tela di Andrea
Tarli
Questo
è un romanzo dinseguimento, o di rincorsa, dove il tempo
insegue le tracce del tempo appena passato. In questo romanzo cè
Lola, la prostituta baby morta prima di diventare donna vera. In questo
romanzo, ci sono Vittorio e Garibaldi, un avvocato di larghe vedute
e un detective sentimentale, solitario e curioso della solitudine degli
altri, squattrinato ma dal grande cuore. E poi, in questo romanzo, scritto
per immagini argute, sezionate da una punteggiatura eversiva del tutto
personale, cè la degenerazione della dolce vita, donne
e uomini autentici al di là della costruzione letteraria: un
duplice omicidio, un intrigo internazionale che parte dalla provincia,
lo zampino della mafia che cerca di condizionare le sorti di un intreccio,
tra mondanità e destino, che lautore vorrebbe al servizio
della giustizia e del bene che trionfa. Ma in questo romanzo, il colpo
di teatro è in attesa dietro langolo...
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Brano
tratto da ROSSO
TAMIGI
Nella
grotta non era più entrata. Ci andava da bambina con Oscar e mamma,
destate, per sfuggire alla canicola e ai tuffi degli ospiti di Enrico,
abitualmente di casa. La piscina laveva voluta per questo, lui.
Un fatto di carattere. È sempre stato un tipo vitale, Enrico; mondano,
tanto da farsi la piscina per ricevere la gente. Nel periodo estivo poteva
organizzare anche tre party a settimana, di sicuro almeno dieci al mese
e sempre per lo stesso motivo: ricevere.
La casa è la solita da quarantanni. Il tetto mai rifatto,
gli esterni mai imbiancati, gli interni enormi mai abitati. E lui se ne
vantava: faceva tanto fattore, si sentiva un signore di campagna.
Susanna mal sopportava il postino. Non la persona ma la figura, ne era
spaventata. Erano bambini, lei e suo fratello, quando zia Dora annunciò
loro la morte di mamma. Si era uccisa. Nella sua camera in albergo, da
sola; unoverdose di farmaci, dissero i giornali. Eppure doveva essere
una vacanza con babbo Enrico, a Parigi, perché era lì che
il loro amore sarebbe rinato, lo dicevano a tutti. Un telegramma e mamma
Laura finiva di esistere.
Il portalettere consegnò a Susanna il solito pacchetto contenente
lennesima scatola di scarpe; sotto il coperchio, un sandalo da femmina
con la fibbia azzurra e il tacchetto a punta fine. Uno solo. Luomo
rifiutò la mancia e lei gli porse un Martini; il sandalo lo mandava
suo fratello, e chi sennò? Per Oscar era un modo per non chiudere
con una storia; la fine definitiva di un rapporto gli era infatti insopportabile.
A volte cenerentola gli lasciava la scarpa su richiesta esplicita, altre
volte Oscar rubava. Una maniera di essere romantico, tutto qui.
E sua sorella le conservava tutte, nella loro vecchia camera dove avevano
dormito assieme per anni; in un solo lettone e con la luce sempre accesa.
Il babbo non cera mai e di loro due si occupava zia Dora, la sorella
di mamma. Compativa quelluomo assente, mentre i figli lo odiavano.
Li accomunava un pensiero subdolo, langoscia di un sospetto agghiacciante:
non era da mamma morire così.
Il postino la scrutava. Ammirava la folta pettinatura bruna lasciata cadere
sulle spalle e la generosità della scollatura; giudicava lo spessore
dei fianchi e la linea dei polpacci. Il sesso per Susanna non era interessante,
non più. Il suo primo uomo era stato Oscar, perché soltanto
a lui avrebbe dato la propria verginità. Tra gli ultimi, il suo
professore al terzo anno di Lettere Antiche; nel mezzo, alcune esperienze
più o meno significative. Le sarebbe bastato un cenno per farsi
scopare, un sogno per il portalettere e poi? Cosa le sarebbe rimasto poi?
Preferiva provocarli gli uomini; magari ricevendoli in casa seminuda,
con addosso il solo accappatoio di spugna blu: quello di Oscar
Non si riteneva lesbica. Una volta uscì con una casalinga del Forte
e quando al cinema questa le mise le dita tra le cosce, lei rispose con
un morso sulla lingua: da quella volta mise da parte ogni tentazione o
velleità nei confronti del sesso debole.
Salutò il postino. E tornò al sandalo di Oscar. Il solito
trentasette di buona fattura, un sandalo italiano acquistato a Londra,
valutò. Il fratellino ammirava, nelle donne, il piede magro con
la caviglia sottile, ma la coscia doveva avere volume. Le sue amanti erano
perlopiù mostruose. Non importava che avessero un petto da balia
o il culo da matrona; gli piacevano semmai rotonde in basso e sottili
sopra. Gliene venne in mente una che avevano ospitato per un periodo breve:
Rossana.
Ebbene
pareva dipinta da Modì, con quel suo collo lungo e
sottile, la faccia ovale e il busto minuto. Ne conservava ancora lo Chanel
sinistro, un trentotto questa volta.
Cosa ci faceva Oscar a Londra
Lì viveva lassassino,
con la moglie nuova. Era stato generoso con i figli. La villa in Italia,
ad esempio, e due rendite dignitose dove per dignitoso sintendano
non meno di duecentocinquantamila allanno. I soldi li aveva fatti
il padre di Enrico, rilevando tanti anni prima la fabbrica di un ebreo
deportato e morto in un lager tedesco; e poi dandosi alla finanza, la
più spregiudicata, quella dei capitali allestero e le società
off-shore. Era un doloroso teorema il loro, tutto da dimostrare.
Per questo Oscar era a Londra: il vecchio doveva avvertire il brivido
freddo del suo fiato sul collo. Forse non sospettava neppure dessere
oggetto di rancori, sperava in cuor suo dessere amato. La moglie
nuova era una piccola inglese, che aveva conosciuto in Italia mentre cenava
alla Darsena, un ristorantino dove la sera lei raggranellava
qualcosina facendo pianobar. Sandy aveva una voce discreta, dai toni arroganti
e una presenza delicata; Enrico lascoltava ammirato dal suo tavolo,
il più accostato sulla destra. Fu subito intesa.
(...)
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