i quaderni di Cico
 
 

 

 

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... e di Michele Lazzerini, leggi anche GRANDE AMORE CERCASI e ROSSO TAMIGI

titolo "Comarmo"
collana i quaderni di Cico
autore Michele Lazzerini
ISBN 978-88-97424-43-7
- € 12,00 - pp. 155 - in copertina,“concretamente”, by Sebastiano Bongi Tomà - il ramingo - (www.sbtphotographer.eu)


A Genova Nervi in una sera di pioggia due uomini muoiono uccisi. Forse è la mala che regola i conti, oppure è la mafia o, ancora, si tratta di una torbida e inconfessabile faccenda.

Comarmo un romanzo immaginato ne “La città vecchia”, nella Genova dei caruggi, a Porto antico, a Boccadasse.


Nello scenario “faberiano” del “se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo” la polizia indaga e l'ispettore Comarmo, sbirro anomalo e di sinistra, tra un interrogatorio e l'altro attende giustizia per i fatti del G8 e, nelle notti insonni sotto la luna chiara di Zena, pensa a una donna di cui mai si sarebbe dovuto innamorare.

 


 
 

 

 

Brano tratto da Comarmo

Fine dicembre. Genova Nervi.

Piove. Le sere di pioggia fermano il tempo e i fari delle auto in coda non hanno pietà; ti fanno male, ti fanno, illuminano il dolore e lo riflettono sull’asfalto. Saranno state le diciannove, forse più tardi, l’impazienza dei clacson era assordante. I cellulari squillavano sui cruscotti accesi e i lumini rossi delle cicche disegnavano saette dietro i parabrezza spazzolati al ritmo del radio giornale. Lassù il semaforo appeso segnava via libera e qualche stronzo aveva ancora voglia di dire la sua: nonostante le sirene, nonostante la radio già dicesse di loro. Carmine Lo Tullo, ventisei anni, catanese, incensurato. Paolo Rovelli, cinquant’anni a novembre: genovese, incensurato e medico di famiglia. Il loro sangue seguiva la scia e qua e là ristagnava al largo delle pozzanghere.
I militi della croce rossa ne protessero i corpi con delle lenzuola, i vigili urbani si gettarono nella mischia. L’elmetto bianco, la mantella blu raso; a fischiare il fischio, a sventolare la paletta. Poi le prime transenne. Per circoscrivere il delitto con la pietà di mestiere; per limitare i curiosi, la carta stampata, le telecamere che tra poco sarebbero scese sulla scena della cronaca nera e avrebbero dato del filo da torcere al senso del privato. Ma delitto è pubblico dominio; e cronaca è libero arbitrio.
Una foto, due lenzuola e un titolo: MAFIA D’OCCIDENTE.
Merda!
Era rimasto sulla strada, sino a due ore fa, ed era sorpreso di come la stampa sapesse già tutto. Posò la tazza e gli venne uno starnuto. - Ispettore capita quando piove - gli disse il barista. Ma il suo era uno starnuto di stizza, una reazione emotiva anomala; una delle tante, alle quali aveva imparato negli anni a non dare un peso eccessivo. Così come ad altre cose da cui si teneva al riparo grazie all’esperienza, ne aveva una discreta scorta oramai. Bisogna essere fieri, pensava, di quel che si fa; e di quel che non si farebbe mai, soprattutto a priori. E fare il reporter, certamente, non sarebbe stato il mestiere suo, nonostante sbirri e giornalisti lavorino entrambi per una cosa soltanto, la notizia del giorno. Ma cos’è una notizia, di cosa parlava quel giorno? No davvero del suo essersi aggirato silente attorno ai cadaveri. E non dei suoi dubbi, quelli pubblici di servitore e uomo di Stato. Un poliziotto rispetta lo Stato. A volte lo odia ma è per servirlo che lo pagano e allora va fatto bene: anche quando la puzza di bruciato è più acre persino del senso di nausea che adesso gli macerava lo stomaco.
Si era tenuto a distanza, Comarmo. A quella più consona a non farsi distrarre dagli sguardi che gli rivolgevano gli altri. E i pensieri avevano riconosciuto la strada, la solita di dieci anni prima; la solita fra vent’anni ancora. Quel catanese, il più giovane: incensurato e morto ammazzato. Fosse stato genovese, lo avrebbe visto crescere da lontano. Perché dieci anni di più fanno la differenza a scuola e anche con le donne la fanno.
Con chi scopava Lo Tullo; aveva una moglie, dei figli? E Rovelli: ce l’aveva una famiglia sua, il dottore? e con la moglie: ci scopava ancora con lei, o le ultime cartucce le aveva riservate a un’amante bambina, che di farlo invecchiare in pace non ne aveva voluto sapere… Congetture da ispettore. Glielo dice sempre il commissario di andarci piano con le fantasie; di attenersi ai fatti perché sono lor signori, i fatti, a stanare i colpevoli.
Il commissario Marconi, ci vuole fegato. Per digerire un superiore senza capelli grigi alle orecchie. Che ti guarda negli occhi come se fosse più esperto di te e più anziano di quei soliti dieci anni che invece ti deve. è il tipico iato che rende complicata la convivenza tra strada e burocrazia, tra l’applicare le procedure e il fidarsi di loro.
Dalla bocca di Rovelli colava un filo di sangue, già secco prima d’imbrattargli il colletto dell’abito. Un bell’abito, da dottore d’inverno, la cui stoffa marrone non presentava a prima vista ammaccature di rilievo; merito dell’impermeabile vecchio stile, quasi del tutto abbottonato. I capelli li aveva fitti e spettinati per la caduta, il braccio destro aveva riparato la fronte ma non il mento, dove la pelle era escoriata e bagnata dalla pioggia.
Gli occhi spalancati di Lo Tullo, invece, guardavano il cielo, sopra le nubi e oltre la sera. Aveva battuto la nuca, però la morte gliela aveva regalata una raffica di mitra, sparata probabilmente da un’auto in corsa: e adesso in salvo, nascosta chissà dove.
Le rotatorie, s’intasano facile. Vanno e vengono, da e per Genova Nervi, tutto il giorno, tutta la notte. C’è la polizia, lampeggiano le ambulanze; forse un incidente, oppure una rapina. Per la radio due morti ammazzati. Intorno finestre illuminate, le televisioni accese; è sabato sera e la Samp gioca fuori. Il commissario non tifa Genoa, Comarmo è per la Sampdoria; incredibile lo scudetto ormai una vita fa. Mancio, Vialli, Boskov: è rigore quando arbitro fischia… E Sinisa, le punizioni da centrocampo di Sinisa…
C’è la scientifica. Gli sbirri in camice bianco, che tutto sanno senza domande da fare; tra loro c’è anche Roberto Buongiorni, suo vecchio amico da sempre. Ha un pinzo sul mento che coltiva da anni, come si fa con un una pianta piccola e rara; mentre la Barba di Comarmo è cresciuta un po’ alla rinfusa così come i capelli un po’ alla rinfusa e adesso anche ingrigiti, ma solo un po’. Si toglie gli occhiali il dottore, perché le lenti riflettono la luce di fari e lampioni e non vede come dovrebbe.
I due uomini non avevano armi. Sono morti indifesi. Non lo sapevano di morire, non quel giorno almeno; speravano di vivere, chissà per quanto. Carmine Lo Tullo ha un Cristo al collo e probabilmente ci credeva, che sarebbe stato il suo Dio a decidere quando; ad armare la mitraglietta del suo sicario. Il dottor Rovelli probabilmente no, non ci credeva: era la sua tessera di partito custodita dentro la patente, a farlo pensare. Adesso occorreva il nulla osta del P.M. e le salme avrebbero raggiunto l’obitorio a bordo di due ambulanze silenti, per finire a disposizione dei ferri del medico legale. Roberto guarda Comarmo negli occhi senza parlare e già lo sa, che stanotte lo avrebbe avuto tra i piedi.
Il P.M. non porta la gonna e i suoi capelli sono neri, corti. E si chiama Giordana. Dottoressa Mariella Giordana figlia d’arte di un P.M. del profondo nord, tale dottor Giordana Pietro. Li aveva convocati per le ore nove e non si sgarra, nel suo ufficio al quarto piano del palazzo di giustizia in piazza Portoria. Un luogo austero, un ufficio fatto su misura per le autorità di tutti i tempi, dove solo arredi e tecnologia erano figli del XXI secolo. Pochi gli scaffali a muro e sull’ampia scrivania laccata di perla, faceva bella mostra di sé il piatto monitor di un pc dirigenziale. La dottoressa non era in ufficio ma, alle nove e non si sgarra, un voce amplificata proveniente dal pc diede loro il benvenuto. E poi apparve il suo viso ovale, con le sopraciglia ricamate, il naso vero, il carnato rosa pallido. La novità a Marconi piacque molto, non così a Comarmo sbirro di strada. Insomma, una riunione in videoconferenza e tutti, compreso il dott. Roberto Buongiorni della scientifica, si misero all’ascolto.
- Cosa ne pensa - chiese il PM al commissario.
- Quello che è chiaro - rispose.
Chiaro per tutti? Buongiorni aveva i suoi dubbi. è un uomo pacato, raffinato nei modi, ben educato nel vestire e nell’esporre; conosce il mestiere e il fatto suo.
- Una resa dei conti - insistette Marconi - di competenza della DDA. -
- Non mi pare - si oppose Comarmo.
- Sono strane morti - concluse Buongiorni. Dopo una breve riflessione il PM Giordana chiese:
- In che senso strane? -
- Nel senso dello sperma - rispose il dottore senza battere ciglio.

A riunione finita i tre si divisero. Ognuno con direttive aggiornate, che per l’ispettore prevedevano l’onere di una visita ufficiale a casa Rovelli. Rovelli l’aveva una famiglia sua. Abitava in una casetta nell’entroterra, assieme alla moglie e a una figlia di ventun’anni studente di giurisprudenza. Mara e Giuliana, vedova e orfana. Mara, ciuffo biondo e figura magra, aprì il cancelletto nero e fece accomodare l’ispettore nel salotto.
- Prende qualcosa? -
- Si sieda signora. -
In quella frase, il tono di una notizia definitiva.
Come piange la moglie di un medico; e come piange sua figlia. Il silenzio ovattò le pareti, la mobilia antica, il vento che soffiava grigio al di là della vetrata. E il pudore si fece di Stato assieme alle lacrime da tenere nascoste. Era fatto così: il dolore non lo lasciava indifferente mai.
- Ce la fa? -
- Dica… - gli rispose lei, con lo sguardo puntato dentro una cornice poggiata sul tavolino da fumo davanti a loro.
- Posso tornare… -
- E' meglio adesso. -
Le domande di rito. I nemici di suo marito, le sue abitudini; cosa c’era stato di strano nei suoi comportamenti, prima di morire sparato sulla pubblica via.
- Nulla, signore... proprio nulla. -
Una vita tranquilla, priva di scosse apparenti. Un amore nato in ateneo, il loro, sull’incrocio di due facoltà; poi il matrimonio, poi la bambina. Rare le fotografie, ma davvero belle: di una figlia riccia e ben cresciuta, da due genitori che l’hanno tirata su come si deve e con amore. Fu dura lasciarle sole. Ma il lavoro deve andare avanti, l’indagine deve andare avanti; e cominciò a riordinare i pezzi come fosse un rebus. Nel cruscotto della Brava teneva la Settimana e quando poteva si teneva in esercizio, perché poi ragionare gli veniva meglio. Lo Tullo, riteneva, era vittima due volte: anche del pregiudizio.
- I giornali parlano di mafia, solo perché un siciliano è finito morto ammazzato sulle strade di Genova! - gridava dentro di sé. - Lo Tullo è catanese e Marconi vuole l’antimafia, la DDA! - Un medico della mutua e un artista: due mafiosi per eccellenza - si disse infine con sarcasmo.
Cosa faceva Carmine al nord e perché abitava a Boccadasse. A Boccadasse ci sono le barche, i pescatori; un mercatino, qualche ristorante. E le gallerie per l’arte. Per questo Carmine era lì che abitava. Esponeva dieci quadri in una piccola galleria davanti al mare e neppure pareva, di essere da un’altra parte. Barche, pescatori e cielo: e in basso le onde che schiumavano in genovese. Il tutto per sempre sulla tela.
I pescatori mormorano. E ti ricordano. Per quello che sei, al di là di come ti vedono. Lo sanno di essere in via di estinzione. Ma sanno altresì che mai accadrà perché Boccadasse è una riserva indiana e Lo Tullo, romantico pittore, li ritraeva a quel modo: come se fotografasse la storia. Sarebbe andato sin là Comarmo, a cercare qualcuno che lo conoscesse, o si ricordasse di lui.

(...)


 

 

Michele Lazzerini è nato nel 1963 a Carrara.
Da Cicorivolta ha pubblicato anche
Grande Amore Cercasi (racconti - 2010) e Rosso Tamigi (romanzo - 2011).