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(segue)
Marta
con l'aiuto di Virginia cresce il figlio a cui decide di non dire chi
sia il padre e chi nel frattempo è diventato. Gli anni passano:
Marta, un tempo donna trasgressiva e pittrice apprezzata, ha rinunciato
alla carriera artistica e affossando nella routine continua a insegnare,
Luca è tormentato dal desiderio di conoscere il padre e anche
Virginia, che sembrava avere raggiunto obiettivi soddisfacenti, viene
travolta dalla sorte avversa. Sarà proprio nella casa sul sasso,
chiamata Villa Dalia perché prima appartenuta alla marchesa Dalia
Vittoria Spicchi dei Laveri, che la loro vita troverà, in un
incalzare di avvenimenti, un nuovo senso e nuovi orizzonti e in quella
stessa villa arriveranno anche altre persone, per scelta o per necessità,
e lì si fermeranno, attratte dall'amore gratuito che riceveranno.
È infatti l'amore il motore che anima Villa Dalia e cura ogni
ferita.
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Brano tratto da "La
casa sul sasso".
CAPITOLO
1
Se ne frega
Marta che il sole macchi la pelle e l'avvizzisca, da quando è a
Villa Dalia non usa più creme che proteggono e ha messo a riposo
la vanità. Il corpo è una mappa complessa, bello così
com'è per mostrare il viaggio, anche le rughe misurano tempo e
percorso e lei accetta ciò che la vita restituisce.
Ha smesso da diversi anni di fare la tintura, i capelli lunghi li ha tagliati
preferendo il caschetto di un sale e pepe verace e gli abiti, una volta
scelti con cura nei saldi o negli outlet, sono stati sostituiti da indumenti
comodi che arrivano dal paese. Non deve piacere a nessuno, solo a se stessa,
e si vede addirittura bella. Prima invece non si piaceva.
A mani nude strappa l'erbaccia e poi con il sarchio smuove le zolle inspirando
il profumo del terreno, il sudore bagna i capelli e la maglietta inzuppata
evidenzia i seni ancora sodi.
Alla cura del giardino si dedica con passione, ormai è abituata
a stare tante ore all'aperto e anche alla fatica fisica. È prossima
la primavera, accanto al roseto ha piantato nuovi bulbi, già si
vedono i primi germogli e aspetta che ci sia la piena fioritura. Ha imparato
a essere paziente con le piante, attenta alle loro necessità e
al ritmo che seguono. E ha imparato anche a rallentare per darsi voce,
a contenere le smanie compulsive e nella calma a sciogliere i legacci
che la stavano impiccando.
Prima la sua vita non era così, adesso non saprebbe viverne un'altra.
Si affannava quando abitava in città, correva sempre e se era necessario
accelerava ancora di più per rispettare gli impegni programmati
e con la stessa agitazione ricominciava il giorno successivo. In un incalzare
che toglieva sostanza a ciò che faceva si sentiva sempre controvento
e prosciugata, eppure il periodo peggiore è arrivato dopo, quando
al mattino lavorava come se niente le fosse successo e poi tornava a casa
e franava nella disperazione.
Ora invece a Villa Dalia le emozioni scorrono senza ansietà e può
sentirne il sapore anche se talvolta è aspro. Ci è voluto
del tempo per dipanare il groviglio ma nella tenuta in cui vive da anni
è avvenuta la sua metamorfosi e ha scoperto la bellezza del silenzio,
l'abbondanza anche nel poco, affetti ripuliti da dinamiche contorte, il
piacere delle risate e la forza della condivisione.
Perché Villa Dalia non è una parte del mondo ma è
un mondo a parte.
Un ghetto. Un fortino. Una nicchia. Una gabbia. Un ricovero per disastrati.
Così, in principio, definivano la villa quelli che vivevano giù
in paese, diffidenti verso chi l'abitava, e le dicerie lievitavano in
travisamenti.
Forse si è insediata una setta. Faranno delle orge. Organizzano
traffici illeciti. Tra quelle mura ci sarà un giro di prostituzione.
È un posto torbido
Le maldicenze lavoravano di fantasia giungendo a ipotesi persino scabrose
e con chiacchiericci e insinuazioni manipolavano fino all'inverosimile
la realtà vista dai loro pregiudizi. Per acquietare i paesani sono
andati pure i carabinieri per un controllo informale, in attesa di un
mandato di perquisizione che mai è stato richiesto ufficialmente,
ma non hanno rilevato nulla di sospetto.
Nessuno voleva crederci che Villa Dalia era solo un rifugio nato dalla
generosità di una donna.
Per Marta però è molto di più. Lì ha trovato
tutto ciò di cui ha bisogno.
Sta bene in quel podere accerchiato da ettari di terra fertile e non tornerebbe
indietro. Non si sente neanche sola perché vive con altre persone
approdate alla villa per delle strane coincidenze e persino i sospettosi
di un tempo, gli abitanti di Riva sotto il Sasso, hanno smesso di malignare
e sono diventati degli amici.
Marta continua a ripulire le aiuole mentre l'adrenalina pompa nelle vene
ed è quel muoversi operoso il suo elisir, un nettare quotidiano
che la rivitalizza e la purifica da sensi di colpa e inquietudine.
- Vieni subito con me - urla Einstein dal patio.
- Perché? - chiede senza neanche girarsi.
- Voglio farti vedere cosa ho fatto.
- Ti voleva e non sono riuscita a fermarlo - dice Annalisa che lo ha accompagnato.
- Non importa, ho quasi finito - risponde lei.
Lascia il sarchio sul terreno, sciacqua le mani alla fontanella e li raggiunge.
- Ho trovato degli esercizi che il ragazzo potrebbe fare - bisbiglia Annalisa.
- Possono servire? - domanda Marta.
- Sono dei giochi per smuovere la memoria.
- Ma lo aiuterebbero o no?
- Anche gli specialisti da cui è stato visitato non hanno dato
certezze.
- Lo so - ribatte Marta.
- Non possono esprimersi su dati imprevedibili.
- E tu cosa pensi?
- Credo che non bisogna arrendersi.
Marta si fida del parere di Annalisa perché ha intuito e si fida
anche dell'amorevolezza con cui tratta Einstein.
- Ti muovi? - grida il ragazzo.
- Ha colorato fino a ora e vuole mostrarti ciò che ha fatto - spiega
Annalisa.
- Allora di quegli esercizi parleremo dopo - dice Marta.
Einstein possiede un candore che disorienta ma è iperattivo e brucia
i giorni consumandoli nell'urgenza di avere il consenso degli altri. La
diagnosi clinica parla di amnesia totale di ciò che ha vissuto
in precedenza e di regressione all'infanzia. Un urto secco con la testa
e la sua esistenza in un attimo si è sballata, ma lui non ne è
consapevole e a soffrire è solo chi gli sta vicino. Quando poi
Einstein ha cominciato a calcolare a mente il risultato di moltiplicazioni
persino a cinque cifre lo hanno subito portato dallo psichiatra che lo
segue.
- Questa novità potrebbe essere considerata la conseguenza di un
qualcosa che si è mosso nel suo cervello scombussolato ma è
impossibile risalire alla sua origine - ha spiegato in modo semplice il
medico.
E poi si è rivolto al ragazzo.
- Adesso sei come Einstein che era un grande scienziato - gli ha detto.
- Chi sono gli scienziati? - ha chiesto lui.
- Sono persone che fanno cose importanti.
- Allora sono contento.
E così nella tenuta hanno cominciato a chiamarlo Einstein, tanto
neanche ricordava il vero nome.
Per stargli dietro Marta lo insegue perché lui ha gambe lunghe
e ogni passo è il triplo del suo.
- Vai piano - prova a frenarlo.
Einstein si ferma e domanda: - 24 per 890 quanto fa?
- Non lo so.
- 21360
ma anche se non sai la risposta ti voglio bene lo stesso
- e sorride mutando il suo volto adulto in quello di un bambino.
- Pure io ti voglio bene - replica Marta.
- Dobbiamo andare nella piccola casa - dice lui.
Era la dimora della servitù la piccola casa, la chiamano così
per distinguerla dalla villa padronale, e in una delle stanze del primo
piano Marta ha allestito una sala per dipingere.
- Chi prima arriva vince - e l'uomo bambino riprende a correre.
Apre l'uscio, sale le scale con lunghe falcate e continua a fare moltiplicazioni.
Un po' di affanno costringe Marta a fermarsi, Einstein si gira e torna
indietro, le prende la mano e la conduce nello stanzone.
Nella sua prima vita Marta è stata un'insegnante e anche una pittrice
apprezzata dai critici e dal pubblico. Vendeva bene i suoi lavori e quando
ha dovuto smettere si è sentita amputare tutta la sua creatività,
però a Villa Dalia ha ripreso a dipingere, il talento è
rimasto e davanti a una tela di nuovo si elettrizza. Pure a Einstein piace
disegnare ma rifiuta di apprendere qualsiasi rudimento e pasticcia a modo
suo.
Il ragazzo le porge un foglio su cui ha mescolato le tempere e ne è
uscita una combinazione di spalmature indecifrabili.
- Ti piace? - chiede.
- È bello - risponde lei, eppure quell'astrattismo la turba.
- Veramente?
- Cosa volevi rappresentare?
- Niente.
Marta conosce il trascorso di Einstein e cerca di trovare qualche indizio
che definisca meglio la condizione mentale in cui ristagna, ma è
uno sforzo inutile.
Einstein la stringe a sé, le bacia i capelli e l'accarezza, ora
che ha avuto l'approvazione è soddisfatto del suo pastrocchio e
Marta si lascia abbracciare. C'è il cuore di un bambino in lui.
Ha bisogno di tenerezza e lei ha bisogno che l'abbracci. A Villa Dalia
esistono amori strani, che solo pochi possono capire.
- Devo ancora finirlo - dice riprendendosi il disegno.
- Va bene anche così.
- Sei sicura?
- Sì, ma cosa volevi disegnare? - insiste.
Einstein la fissa e non risponde. Ha gli occhi azzurri e uno sguardo svagato,
perciò non si sa mai se sta ascoltando oppure se ha il pensiero
altrove.
- Ritorniamo in giardino, mi serve il tuo aiuto - dice Marta.
Escono insieme dal laboratorio, poiché sarebbe pericoloso lasciarlo
solo c'è sempre qualcuno che gli fa compagnia e mentre camminano
ricorda quando è diventato chi è ora.
Erano tutti felici quel giorno.
(...)
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Carmen
Scarpelli,
giornalista e scrittrice, ex docente di Materie Letterarie, ha pubblicato
Giovani protagonisti (racconti, Ellepiesse, 2010), Adolescenti
a scuola (racconti, Loffredo, 2011), Precari in vita (racconti,
Loffredo, 2011), Più leggeri dell'aria (antologia, Simone,
2012), Il bullo innamorato (romanzo, La Spiga, 2014), Noi e
la natura (romanzo, Ellepiesse, 2015), Eclissi
d'amore (romanzo,
Cicorivolta, 2015), Sarò
le tue mani
(romanzo, Cicorivolta, 2016), Mi piace (romanzo, La Spiga 2018),
Medjugorie solo andata (romanzo, Libriotheca, 2020), Tutti per
Terra (romanzo, Simone, 2021), Belli e ribelli (romanzo, La
Spiga, 2023).
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