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Brano
tratto da "EREDITARE
L'ETERNITÀ"
(...)
Infiniti
papaveri fiammeggiavano come disegnati in un quadro, mentre una leggera
brezza, dal profondo ansito, frusciava sul prato, via via rianimandosi.
Così, a tratti, persino limmaginazione annichiliva di fronte
allimmobilità dellora e pure per effetto del movimento,
che sempre reca con sé il risveglio prodigioso della natura.
Nellosservare il quadro che aveva ricevuto in regalo a Parigi qualche
anno prima, Nor si ritrovò a riflettere su quanto difficile fosse
immedesimarsi e comprenderne fino in fondo le sfaccettature, i significati
reconditi, le connessioni; per questo riteneva di non essere stato mai,
sin da subito, in grado di prenderne davvero possesso, di entrare nello
spirito dellimmagine, di valutarne appieno la valenza estetica.
Così ragionando si disse che tutto ciò che andava oltre
le proprie capacità intellettive accusasse il fondamentale bisogno
attuale di unulteriore maturazione artistica. Di certo, lenigmatica
origine divina della natura umana si manifesta in primo luogo nellarte
- meditava - nellispirazione impressionistica del senso originale,
indeterminato, indefinito, inafferrabile
.
Si trattava di un quadro appeso a una parete del suo studio adornata da
sei nature morte che appartenevano alla creatività e ai pennelli
di certi pittori che attraverso unispirazione, per ciascuno diversa
dagli altri e pure incredibilmente oggettiva e sostanziale, avevano saputo
immortalare la natura più viva e magnifica riproducendone lanima
primordiale, il respiro, il tempo, la stagione, persino anche il movimento
e la luce che possedeva i segreti imperscrutabili delleternità.
Non mi ritengo certo un fanatico di pittura né un pazzoide,
ma attraverso questa forma darte io comprendo, io riesco a sentire
lInvisibile. Sì, lo sento. È una cosa che mi emoziona
e mi nutre dallintimo delle mie stesse radici. E ho davvero impressione
che sia una splendida fortuna, unimmensa opportunità di ricevere
la Luce Nor seguitava a ragionare tra sé.
Mi chiedo in fondo cosa sia, nella sostanza, poter attingere al
massimo della realizzazione umanamente plausibile, aggiudicarsi il punto
culminante, la meta esclusiva, cose ben di rado raggiunte da una mente
geniale; e mi domando quale potere, quale privilegio sia più accattivante
del non seguire la sorte di tutti coloro che anelano esclusivamente al
vivere dignitoso, senza tuttavia arrivare mai alla conoscenza, senza mai
vedere oltre se stessi; privi di ogni senso ultimo che conduca allIdea
fondamentale. E allora, cosè dignitoso? E cosè
Dignità? Tutto ciò che è passato ed è svanito
tragicamente nelloblio, tutto il tempo inadeguato vissuto da intere
generazioni di uomini che non hanno saputo fare il Mestiere dellUomo,
che non hanno superato la prova di se stessi per mancanza di
.
A quel punto, dimprovviso, come una cascata fragorosa che tutto
lava e porta via, cominciò a scrosciare la pioggia. E con essa,
in men che non si dica, tutte le impressioni, le certezze e le titubanze
di Nor perdettero consistenza. Quasi ridestato da un sogno si avventò
verso le finestre spalancate e le richiuse dimpulso. Il fragore
dellacquazzone fu talmente forte da zittire i boati del tuono. Il
muro dacqua, là fuori, inghiottiva lampi che si dimenavano
come frustate di abbagli per lo studio sprofondato nelloscurità.
Poi, con la precisione di un Supremo Impegno sottoscritto da una qualche
Forza Primigenia, la pioggia cessò, esattamente così come
aveva cominciato. Una sorta di pioggia tropicale, che in un quarto dora
aveva intriso a fondo i densi boschi di quercia che coprivano i colli
di Roma, rendendo allUrbe quello stesso aspetto primordiale che
dovette avere sin dai tempi di Giano Bifronte, molto prima che si compisse
tutta la sua Grande Storia materiale e immateriale. E ora, nella foresta
gocciolante, che aveva assorbito le strade e le piazze della città
spopolata, vagavano colonie di capre spaventate e abili cinghiali selvatici.
A
quel tempo, la comunità terrestre contava qualche centinaio di
esponenti disseminati in tutto il mondo. Alcuni di essi abitavano in gruppi
altri, come Nor, preferivano la solitudine.
Nor uscì dalla porta di vetro che conduceva dallo studio a un patio
interno, il cui giardino rigoglioso di fiori rendeva laria umida
così odorosa da far girare la testa. La prepotente versa di pioggia
si era abbattuta senza pietà sulle aiuole ordinate; si trattava
perlopiù di gigli e orchidee, la cui fragilità contrastava
con laspetto selvaggio della città silenziosa e inabitata.
Rispondendo al muto dolore dei fiori feriti Nor si prese cura degli steli
spezzati con lintento di allungare loro la vita. Rientrò
e provò a sistemarli in una terracotta che aveva nello studio.
Quello stesso studio situato in unala del Palazzo che in un periodo
precedente fu denominato: LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI. Ma
non la giustizia e neppure la legge serviranno a rianimare questi gambi
feriti, che hanno bisogno di acqua placida e nutriente, non di quella
che tutto distrugge pensò Nor avvicinandosi a un antico scaffale
con decorazioni a intarsio e deponendovi, con un breve gesto colmo di
delicatezza, il vaso di coccio.
Lungo
le pareti dello studio di Nor, oltre ai quadri, numerose mensole cariche
di libri antichi depositari della parola. Nella comunità terrestre
nessuno provava disagio al cospetto di un libro; però la maggior
parte di loro usava diversi e più immediati veicoli di comunicazione
e di rappresentazione polifonica della realtà. Nessuno riteneva
che la parola espressiva fosse morta o non avesse alcun senso attuale.
Tutti erano daccordo nel sostenere che la parola fosse stata in
grado, fin dalla sua origine, di meravigliarsi per la gioia, di soffrire
atrocemente per il dolore, allo stesso modo di un pennello o di un arco
di violino; ma sempre, il dolore o la gioia, furono riprodotti dal pennello,
dallarco o dalla parola quali strumenti alla portata delle possibilità
umane. Mai e poi mai gioia e dolore furono rappresentati dalla vita nella
propria variabilità, incommensurabile quanto invisibile. Come
può dunque la parola rappresentare lignoto, il mondo nascosto?
Oppure, ad esempio, trasferire gli eventuali sentimenti di un fotone o
di un gravitone? Solo tramite fantasie, allegorie, simbolicamente, certo,
questo sì. Anche il Verbo in carne e ossa rappresenta unimmagine,
un simbolo della fede necessario laddove non è possibile inserire
lesperienza diretta. E se è vero che lo scopo del simbolismo
è quello di costituire orientamento alla vita, è altrettanto
vero che non può esserne la guida concluse Nor, sistemando
nel vaso i fiori spezzati, dunque volgendosi attorno.
Fu in quellistante che il suo campo visivo rimase attratto dalla
copertina gialla di un libro sottile, appoggiato di sghembo sopra un grosso
volume della Divina Commedia. Scritto in italiano, il titolo
del piccolo libro era: LIncanto-2018. Nor lo afferrò
dalla mensola e se lo rigirò fra le mani. Prese a sfogliarlo sbrigativamente.
Era un libro con una storia che in qualche modo lo riguardava molto da
vicino. Mi piacerebbe sapere cosa avesse immaginato la gente attraverso
luso di questo simbolo si disse. LIncanto. Ma
quale Incanto? Io sono un clone, e non sono poi così diverso, per
immagine e somiglianza, da quella che fu la razza umana. Senza dubbio
sono più sviluppato, sia fisicamente che psicologicamente. E sono
sensitivo. Inoltre, so riconoscere la presenza di virus ed eliminarli
dal mio organismo. Ma non per questo vivrò per sempre. Non ho difetti
né vizi. Sono geneticamente programmato per rispettare la vita.
Diciamo che
ho unanima ecologica. Però, in un certo
senso, sono identico alle persone umane: infatti sono mortale come lo
erano loro. E così, adesso, in questo preciso istante, con questo
piccolo libro che mi solletica le mani con le sue pagine, mi chiedo se
non fosse esattamente per unansia dimmortalità che
gli umani sentirono il bisogno di un simbolo, di un Incanto, una prosecuzione
allinfinito, un miracolo che potesse rassicurare loro che in fondo
non ci sarebbe stata mai nessuna fine. Io, per quanto mi riguarda, oggi,
non ho alcuna necessità di questo tipo: infatti mi ritengo già
un miracolo in carne e ossa, visto che mi hanno ideato e fatto vivere
ben ventinove anni fa con lo scopo sperimentale di superare la finitezza
umana... .
Sullonda di quei ragionamenti Nor avvertì una chiamata telepatica
e ripose il piccolo libro sullo scaffale da cui lo aveva tratto. La breve
comunicazione diceva: Come stai? Non ti sento da tanto. Perché
non rispondi ai miei messaggi? In ogni caso non ho voglia di rispettare
il tuo silenzio e nemmeno di ascoltare banali scuse. Devo vederti. Ho
bisogno di un solido aiuto, di un competente consiglio astrofisico e matematico.
Fatti sentire. Lea.
Immediatamente Nor predispose il riscontro telepatico al fine di fissare
lappuntamento richiesto: in nessun caso voleva perdere loccasione
di un nuovo incontro con lei. Questa giovane donna dai capelli rossi e
gli occhi audaci, impregnati di un marrone senza fondo, era divenuta parte
notevole del suo mondo onirico. Lea possedeva unaura splendida e
contagiosa, che emanava un incantevole campo bioenergetico. Ne fu attratto
sin dal primo incontro. E ogni volta che laveva accanto, Nor avvertiva
dietro la nuca uno straordinario afflusso demozioni, un grumo caldo
di energia positiva.
Peccato non poterlo sentire anche così, con la stessa intensità,
mentre lei è distante Nor immaginò.
Questo difetto mi infastidisce parecchio. Devo al più presto
affinare le mie tecniche sensitive, sfruttare più efficacemente
le capacità che mi sono state date. Se prima la prerogativa di
percepire i sentimenti di una persona lontana mi appariva superflua, ora
che ne ho conosciuto il piacere non posso accettare di limitare la mia
vita emozionale per una banale ignoranza ingiustificabile concluse
provando un senso dinadeguatezza di fronte allirrimediabile
lontananza di Lea.
Per
tentare di ritrovarla rivolse la sua attenzione ai ricordi del loro primo
incontro, quasi due anni prima, in una Parigi somigliante alla Roma silvestre
e disabitata di oggi. Tutte le città erano infatti diventate vere
e proprie riserve naturali e per le strade di questa Parigi selvaggia,
tra i numerosi castagni dipinti dautunno, vagavano non solo pavide
capre e gazzelle stupite dalle bellezze autunnali, ma anche cervi e alci
superbi che, con tracotante indifferenza, guardavano le scure acque della
Senna che, senza fretta, trasportavano un fogliame itterico.
Era la prima volta che Nor visitava Parigi. Cera anche uno scopo
che lo aveva condotto là, non si trattava solo di curiosità
e voglia di ammirare la foresta parigina. Nor e suoi dodici colleghi astrofisici
infatti, ogni due anni, facevano simposi per linterscambio delle
esperienze professionali e quella volta la discussione si sviluppò
a Parigi, nella Notre Dame che a volte era usata per osservazioni
astronomiche. Allordine del giorno cera il perfezionamento
dei sondaggi telescopici e telepatici di alcuni pianeti con caratteristiche
similari a quelle terrestri.
Dopo la fine del lavoro e dei colloqui, che avevano generato più
domande che risposte, Nor si diresse a visitare il Louvre. Qui, fra i
quadri annoiati dalla pace eterna, si scontrò con lei.
Lea era lunica custode dellimmenso patrimonio artistico e
svolgeva questo compito per puro spirito di volontariato. Aveva però
anche interessi scientifici, si occupava di ricerca microbiologica e genetica.
I suoi interessi scientifici erano però diversi da quelli di Nor
e questa non era lunica differenza fra loro! Lea era un clone diverso,
un clone biologicamente puro, creato come un modello delleterna
giovinezza, con il sistema immunitario non consumabile. Questa varietà
di clone era il nucleo centrale della loro comunità postumana.
I cloni ideati invece sul modello di Nor erano una riserva materiale da
utilizzare in caso di fallimento dellesperimento orientato ad acquisire
limmortalità. I creatori di questesperimento non avevano
infatti scartato a priori un tale epilogo, una casualità imprevista,
una fatalità tale da cambiare radicalmente tutto il disegno programmato
e avevano quindi fatto proprie le regole del gioco dellIndenterminatezza.
Per Nor ora, molto tempo dopo, era difficile scoprire questa nascosta
possibilità. Limmagine di un caso fatale non veniva fuori,
allo scoperto, rimaneva nel buio anche dopo ripetute prove da parte sua.
Ogni volta Nor ricominciava dalla storia della propria nascita, dalle
radici della propria origine ma gli sfuggiva sempre un particolare, e
il senso di Indeterminatezza che lo aveva creato rimaneva per lui oscuro.
Vide la luce per la prima volta a quattordici anni, lasciando una barocamera
posata tra qualche centinaio di camere simili che funzionavano
in unenorme lucida rocca, in regime di casa passiva intelligente.
La maggior parte di queste camere era già vuota. Alcune
rimanevano ancora chiuse e continuavano il proprio lavoro creativo.
(...)
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