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L’arcano
minore Intervista
all’autrice
1. Un romanzo ambizioso il tuo, Francesca Garigliano, L’arcano minore (Cicorivolta edizioni), sulla falsariga di alcuni lavori di Gesualdo Bufalino e Leonardo Sciascia. Qual è stata la genesi del romanzo? Ci sono piccoli eventi nella vita di ciascuno di noi che sono legati come da un filo rosso fra loro; quando poi tenti di comprenderne il nesso logico scopri un impensabile collegamento con fatti remoti in una continua sistole e diastole di causa effetto, di cui solo la memoria possiede la cifra. Da questa riflessione ne è nata l’altra, di come solo un popolo che ha memoria di sé e della propria storia ha la possibilità di essere libero. E così mi sono chiesta se per caso la mia non fosse la terra dei lotofagi… da qui il romanzo. 2. Per tua scelta, il linguaggio è debolmente arcaicizzante, il che conferisce alla storia narrata un fascino ancor più limpido. La letteratura moderna, ahinoi, è perlopiù versata a un facile minimalismo, che non disdegna l’abuso di stereotipi subito ben riconoscibili, perlomeno da chi è un forte lettore. Non temi che il pubblico non capisca o non voglia comprendere le ragioni del tuo stile? No, il mio lettore ideale è il lettore appassionato alle (ri)velazioni: un libro è un labirinto, bisogna pur perdercisi per ritrovare magari immagini, odori, rumori perduti. 3. Dopo diversi anni trascorsi lontana dal suo paese, Agueda Alonso Raja, professoressa universitaria, torna ma per poco, inspiegabilmente, difatti sparisce, senza lasciar di sé traccia alcuna. Un mazzo di vecchi tarocchi potrebbe forse essere la soluzione per cercare di scoprire a quale destino è andata incontro Agueda Raja. Nel corso delle investigazioni, il commissario Vincenzo Cutania, tra le carte della Raja, si imbatte in due carte, l’arcano minore e l’arcano maggiore. I due arcani sono nuovi di zecca, un particolare non da poco, perché la Raja non avrebbe usato dei tarocchi che non fossero i suoi, seppur vecchi e consunti. Che valore assumono nel tuo lavoro i tarocchi? Quello di divinar responsi per mezzo dei tarocchi è, difatti, una pseudo scienza. Le carte possono essere molte cose, ma essenzialmente sono un simbolo, una cifra, qualcosa che rinvia a qualcos’altro: il paradigma perfetto della metafisica. Esattamente come un romanzo giallo. 4. Nel tuo romanzo, c’è un personaggio singolare, Youssef Ben Jallah. Qual è il suo ruolo nella comunità? Che cosa lo lega a Raja e alla sua scomparsa? Ben Jallah è il prototipo perfetto di colui che, dietro lo scudo del rigorismo morale, pasce in pace il proprio marciume. Se fai caso abbondiamo di moralizzatori nel nostro paese…
Forse si, non saprei dirti esattamente, ma a pensarci bene Cutaia e Adelina sono la stessa persona, due metà, un po’ come l’avvocato penalista che è insieme un inquirente e un difensore. Mi viene da pensare che anche Lucifero è un angelo: chissà, forse è lo spunto per un nuovo romanzo! 6. C’è poi una leggenda, quella della Regina Nera. La storia della poveretta quasi più nessuno la ricorda per quel che in realtà è stata. Alla Regina Nera i paesani addossano la colpa, forse anche la responsabilità, della più parte degli accadimenti nefasti in paese. Può contribuire il radicamento di certe leggende nel tessuto sociale a far sì che si compiano dei delitti addossando poi la colpa a una entità astratta (sovrumana), non controllabile dalla volontà umana? E’ anche il caso del tuo romanzo, L’arcano minore? Ci sono stereotipi comportamentali che si ripetono nel tempo. Quando una madre uccide un figlio, abbiamo bisogno di pensare che sia folle. La pazzia (l’elemento sovrumano) ci rassicura, perché strania da noi la colpa, che altrimenti sentiremmo inevitabilmente dovendo ammettere che la natura umana è capace di simili nefandezze. Eppure la Regina Nera non era né folle, né una povera creatura. E’ il male assoluto: l’incapace di scegliere la sua propria natura, che inesorabilmente spinto dalla propria frustrazione, finisce per attentare alla natura altrui. 7. L’arcano minore è ambientato in una Sicilia pressoché rurale. A tuo avviso, oggi la Sicilia è uguale a quella di Sciascia e di Verga, una terra rimasta vittima dell’immobilità, od è cambiata? E’ L’arcano minore un romanzo che consegna una morale al lettore, o siamo invece di fronte a una storia punto e basta? A mio avviso, nessuna storia è mai una storia punto e basta: è sempre al contrario un punto di partenza per il pensiero di chi la legge e ne trae spunto per le proprie riflessioni. Quanto alla Sicilia, più che di immobilità, parlerei di circolarità: ho scelto la tonnara e la mattanza proprio per descrivere il mio modo di sentire la mia terra, la mia isola, ma anche il modo in cui lei si fa sentire in me. 8. Francesca Garigliano, quali sono gli autori che maggiormente hanno contribuito alla tua formazione letteraria? Per quali ragioni? Pier Paolo Pasolini, e Leonardo Sciascia più degli altri. Ma anche Samuel Beckett e Luigi Pirandello. E poi anche Dostoevskij e Bugalkov e… E Tex Willer e Snoopy, etc. etc. Chiunque racconti qualcosa influisce su di me, perché mi offre la possibilità di vivere tante vite per ogni racconto letto. 9. Hai pensato a un possibile pubblico ideale scrivendo L’arcano minore, o hai invece scritto per consegnare al pubblico un romanzo che non fosse il solito giallo trito e ritrito? Vuoi la verità? Non ho pensato. Ho solo fatto un sogno, ho sognato quel delitto terribile con cui si apre il romanzo. Mi sono svegliata nel cuore della notte con una discreta tachicardia, così mi sono fatta un buon caffè e ho cominciato a scrivere quella storia. Il resto si è scritto da solo.
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