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cicorivoltaedizioni
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Stefano
Solventi
Rispondo in ordine sparso.
Mancino o destrorso? Sono destro, un caso abbastanza grave. Di quelli cioè che non sanno cosa farsene della mano sinistra. Anche se, a dire il vero, quando giocavo a basket il terzo tempo mancino mi riusciva bene, anzi benissimo. Tanti, tanti anni fa, ahimè. Il mio allenatore arrivò a dirmi che ero un mancino in incognito e prese a schierarmi sulla parte sinistra del quintetto. È una cosa che non sapevo spiegarmi e che anche oggi, ripensandoci, mi sembra incredibile. È uno dei tanti piccoli misteri che condiscono lesistenza, senza i quali probabilmente parecchi romanzi non esisterebbero o comunque avrebbero meno sapore.
Dove scrivi, quando scrivi? Scrivi dopo cena, prima di pranzo? Quando? Non ho orari particolari, ma solo perché non me li posso permettere. Scrivo quando posso, ovvero come dire? quando riesco a farmi il nido attorno alla testa. In pratica ogni volta che il lavoro in ufficio e i doveri familiari (ho due figli ) mi concedono una tregua. Approfitto di ogni quarto dora, anche cinque minuti, mi basta avere un tablet a portata di mano. Certo, è fondamentale arrivare a questi scampoli di tempo con già qualcosa di pronto da scrivere, ma in genere il problema non si pone, ho sempre un bel po di idee da mettere su carta. Mi piacerebbe provare il cosiddetto blocco dello scrittore o la sindrome da pagina bianca, ma ahimè ho il problema contrario. Se potessi organizzarmi la vita a piacimento, mi piacerebbe scrivere tre ore al mattino e altre due-tre nel pomeriggio. La sera preferisco leggere o guardare un film, magari entrambe le cose. Il grosso del mio libro lho scritto in salotto, spaparanzato sul divano a cui voglio un gran bene (vedi foto 1), col notebook e limmancabile sottofondo musicale. Nei bar e nei locali pubblici non ho scritto molto, giusto qualche frammento sul tablet. Ho scritto abbastanza sulle panchine di un paio di giardini pubblici, nei pochi casi in cui mio figlio mi ha concesso la benedizione di addormentarsi nel passeggino. È una lotta, ragazzi. Una lotta.
Fumi? Bevi? Quanto pesi? Lultima volta che sono salito sulla bilancia ho scoperto di avere superato i 90 kg. Il che per uno alto 1 e 86 non sarebbe neanche troppo grave, ma il trend è di quelli che porta dritto allobesità. Del resto, mi capita spesso di dover scegliere tra fare attività fisica o scrivere/leggere: più vado avanti con gli anni e più la scelta cade sempre più sulla seconda opzione. In compenso, mangio con gusto sempre maggiore. Bevo con moderazione, sono il classico tipo da uno-due bicchieri di vino a pasto oppure un boccale di birra media. Quanto ai superalcolici, amo il rhum e i whiskey di torba. In ogni caso non mi piace sbronzarmi, anche se ammetto che un pizzico di alterazione non è male quando devi far correre le dita sulla tastiera. Ho smesso di fumare da più di ventanni. Ricordo bene tutte le marche che ho fumato e quelle che detestavo, la sensazione di conforto e aggregazione sociale della sigaretta dopo il caffè e nelle chiacchiere tra amici. Credo che sia importante, in caso di fiction, avere la consapevolezza di queste sensazioni, perché il personaggio tabagista sta bene in quasi tutte le storie ed è sempre meglio scrivere di cose che si conoscono, no?
In quale città o paese è nato il tuo ultimo libro, in che stanza, in che bar? La meccanica delle ombre è nato, letteralmente, per strada. Ho assistito a due incidenti stradali nel giro di poche settimane gli stessi che faccio vivere al protagonista della storia nei primi capitoli e da lì ha preso il via tutto. Il primo incidente è accaduto in via Trento, a Poggibonsi (vedi foto 2). La storia è uscita in maniera impetuosa, in pochi giorni avevo già in mente tutta la struttura, ma la composizione è avvenuta in maniera diciamo così rapsodica, senza seguire rigidamente lordine dei capitoli.
Dove cammini quando ti riposi? Passeggi? In bici, in auto, osservi alberi? Scruti cornicioni, affondi lo sguardo nel cielo, segui le onde del suono e dellacqua? Quali sono i rumori della città e quali i silenzi delle vaste campagne? Amo tantissimo passeggiare. Qualche anno fa facevo uscite di running due o tre volte alla settimana, poi le ginocchia hanno detto basta. Rimpiango quel periodo, la sensazione del corpo che ti è amico e la tabula rasa delle emozioni, appagate, rilassate. Oggi non mi resta che camminare, qualche volta prendo la bici ma non mi appassiona realmente. In ogni caso, le camminate sono ottime per la riflessione, direi anzi che ti obbligano a riflettere, a confrontarti col groviglio che hai in testa. Ti rendi conto che ce lo abbiamo sempre un groviglio in testa, vero? O capita solo a me? Vabbè, dicevamo delle passeggiate. Mi piace uscire dal centro abitato. Il mio percorso preferito è un pista pedonale e ciclabile ricavata da un tracciato ferroviario in disuso, un cosiddetto ramo secco che fino agli anni 80 univa Poggibonsi la mia città a Colle val dElsa (vedi foto 3). È a pochi minuti dal centro ma nel giro di pochi passi ti ritrovi in mezzo a colli aspri e campi coltivati, rarissime le abitazioni nei dintorni, il fiume Elsa che serpeggia col suo frusciare e le sue fragranze umide, una vegetazione selvaggia che sembra fregarsene completamente di te. Ho una predilezione per gli alberi, adoro i pioppi, il modo in cui raccolgono il vento e lo trasformano letteralmente in una sinfonia di riflessi. Però molti alberi non li so riconoscere, mi sono riproposto molte volte di farmi una cultura in materia, prima o poi lo farò. Allo stesso modo adoro passeggiare nelle città. Quando ancora lavoravo a Firenze mi capitava spesso di ritardare il rientro a casa per andarmene a gironzolare in centro. Bella forza, dirai, Firenze è meravigliosa. Sì, ma il punto non è quello. Cè un dinamismo tra i luoghi abitati e chi li abita, chi li percorre. Ad affascinarmi è appunto e sempre più questo: lequilibrio e il disequilibrio tra individui o gruppi di persone e i luoghi. La vertigine degli sguardi, la luce minacciosa o compiacente sui volti, le armonie così sorprendenti dei corpi, anche dei più disarmonici. Credo che in questo senso il paesaggio cittadino rappresenti un vero e proprio catalogo di storie possibili, un autentico concime per limmaginazione.
La tua è scrittura di spostamento di stasi, di spazio, del corpo? Tra le poche cose che non ho abiurato delle mie convinzioni giovanili cè la convinzione che la manifestazione artistica debba avvenire in una dimensione che non preveda distinzione tra corpo e anima. Credo che questo punto di vista debba molto al mio amore per il rock, che col suo codice espressivo così spirituale e viscerale assieme mi ha marchiato indelebilmente. Per tutto ciò, credo di poterti rispondere che la mia scrittura non possa prescindere dai corpi, dal corpo, ma appunto in questo senso: nelle dinamiche dei corpi vedo sempre anche implicazioni spirituali. Lo spostamento, la stasi, lo spazio li vedo come elementi del narrare che lautore deve sapere utilizzare e casomai piegare alle esigenze narrative. Detto questo, credo di tendere verso una scrittura della stasi. Non a caso nel mio libro abbondano i dialoghi, come se fossero una analisi, uno spargimento emotivo della tensione provocata dalle situazioni. In ragione di ciò credo che La meccanica delle ombre si presterebbe abbastanza bene ad una riduzione teatrale, malgrado qualche passaggio più mosso che necessita di scenari più ampi. Se cè in ascolto qualche compagnia teatrale interessata, telefonatemi. Ore pasti, ovviamente.
foto 1 (divano) foto 2 (Poggibonsi, via Trento) foto 3 (Poggibonsi, pista ciclabile) ___________________________________________________________________________ leggi anche la recensione di Gianluca Garrapa per Satisfiction a "La meccanica delle ombre" ___________________________________ _____________________________________________________________________ |
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