MIO
FRATELLO MUORE MEGLIO
di Renzo Brollo
recensione
di Giuseppe Paternò Raddusa per criticaletteraria.blogspot.com
La
scrittura di Renzo Brollo è assai ardimentosa: preziosismi non
rivelati, misteri allucinati e allucinanti, oscurità costanti
e tradite.
Con Se ti perdi tuo danno aveva realizzato unopera secca, ma ricca
di intensità e passioni celate. Un romanzo che mi colpì
davvero molto, incatenato in uno schema di solido stoicismo narrativo
e di rabbia repressa in maniera intelligente e perturbante.
Mio fratello muore meglio, invece, si muove su piani del tutto differenti:
insofferenza, emoglobina, noia. Quelle del protagonista, Giovanni (un
plauso a Brollo: finalmente un Giovanni e non un Luca, un Matteo, un
Andrea
), sono simpatetiche paranoie di un drogato da quattro soldi,
di uno che si fa di LSD in ritardo di trentanni e che non riesce
a reggere il confronto con la sua santippea mater e, soprattutto, con
il ricordo di un fratello morto troppo presto e che forse ha intasato,
col suo sangue, la doccia di casa sua, che da un momento allaltro
diventa veicolo di santità, meta di santi pellegrinaggi, templum
di disonesti antilaicismi.
Brollo è uno che ha letto molto, e vivaddio riesce a dimostrarlo
con arguzia. Crea e descrive un universo di bestie da soma che ruotano
attorno al suo disadattato e inusuale protagonista, un manipolo di truffatori
della domenica che succhiano sangue spietatamente e senza chiedere il
permesso, scevri da ogni tipo di eleganza e sensibilità. Il sangue
attira quanto il cinema e il teatro, spettacolarizza e unisce: Giovanni
lo sa, e ne è perplesso ma, come da epilogo, piacevolmente sorpreso,
quasi confortato. Non è un caso che ad aiutarlo nel suo processo
di allontanamento dalle piastrelle della sua doccia macchiate di sangue
siano una ragazza che non vede e un cane. Reietti mascherati da vittime
che circolano cercando di umanizzarsi e di umanizzare un mondo che in
fondo li respinge. Ci vuole stile, per morire; ma aggiungo anche che
ci vuole stile nello scrivere. E Brollo apprende la lezione americana
di Paul Auster, di Bukowski, di Palahniuk e la immerge nelle glaciali
terre dItalia, dove il noir è troppo spesso macchiettistico
e formale, per signorine. Certo, il romanzo non ha la stessa
forza di Se ti perdi tuo danno, ma il suo autore dimostra di avere unintelligenza
non comune e, nonostante la (voluta) pesantezza dei termini e langosciante
procedere delle situazioni riesce ad ergersi nel panorama dei contemporanei
con quel tocco di vivace originalità nera che molti
dovrebbero riscoprire.