Sandro
Luglio
Mario, Don Mario
Conosco bene il mondo, sai...
io non ho mai viaggiato
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da
La
musica, il calcio, i sapori storia semiseria di "don Mario"
e una valigia piena di ricordi
articolo
di Alfredo
D'Agnese
La pasta
è una scelta di vita, un'emozione: così, a pagina 34,
parla il protagonista di "Mario, Don Mario" (Cicorivolta
edizioni, pagg. 211), l'esordio narrativo di Sandro Luglio. Il romanzo
scorre su due binari paralleli, l'amore per il cibo e quello per la
musica di un salumaio
che vive e lavora sulla collina. In mezzo c'è la valigia dei
ricordi dello scrittore cinquantacinquenne (oggi trapiantato a Vienna)
che ha scelto Mario come proprio alter ego, c'è Napoli con le
sue trasformazioni tra gli anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta,
c'è il rapporto padri-figli, c'è l'amore per le radici.
La storia
sembra scontata, ma lo è solo in apparenza:
dietro Mario, un uomo che ha vissuto osservando e servendo gli altri
senza mai spostarsi, c'è il travaglio di un individuo che decide
a
un certo punto della propria esistenza di cambiare tutto.
Una scelta forte, netta, che contrasta con il legame profondo
che lo lega al ballo, alla famiglia, alle cose materiali di cui si è
nutrito.
L'impianto
narrativo ci mostra pagina dopo pagina la sua vita e poi,
in una serie di continui flashback dal sapore cinematografico, gli eventi
che lo hanno portato a dare una svolta forse decisiva. "Mario,
Don Mario" però contiene in sé molto altro. È
una sorta di memoir della generazione di cinquantenni che hanno
vissuto sulla strada che collega Corso Vittorio Emanuele con Via Cilea
e via Manzoni. Sono gli ex ragazzi che hanno affollato il Sinsemilla
di Chiaia, che hanno amato la musica proposta da Alvaro Mirabelli, che
hanno letto i reportage dell'Espresso sulla Vesuwave, che hanno
ascoltato i Blues Brothers, Ruben Blades e i Los Lobos, che hanno affollato
gli spettacoli di Falso Movimento
e amato la pop art, Lucio Amelio e il cinema di Wim Wenders.
Questo
romanzo racconta la loro parabola, in una Napoli sempre più in
mano ai palazzinari, in cui alto e basso si contaminano tra loro.
Luglio gioca un po' con i ricordi, un po' con la fiction; alterna sapori,
ricette, brani musicali, passi di danza. Fa apparire, durante il suo
racconto, Lucky Luciano, lo scrittore Ian Fleming, Diego Armando Maradona
in una città alla vigilia della conquista del suo storico primo
scudetto. Don Mario in qualche modo è una figura archetipale,
il vecchio bottegaio di cui tutti, un tempo, si fidavano. Un po' confidente,
un po' riferimento per i più giovani, rappresenta un pezzo di
città che non c'è più. O ha cambiato pelle. Ma
il romanzo non si avvita nella nostalgia, nel "the way we were"
a ogni costo. La filosofia che anima le sue pagine spinge alla scoperta
di mondi nuovi, all'amore per il viaggio, a non dare nulla per ovvio.
Nemmeno le vecchie cose che ci circondano.
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