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Stefano Solventi

La meccanica delle ombre


di Giorgia Sbuelz per Chronica libri



Benni ha quarant’anni, un divorzio, una figlia adolescente e la minaccia della cassa integrazione. Nulla di straordinario ci verrebbe da dire, tutto in linea con i soliti parametri generazionali, invece qualcosa di straordinario Benni la possiede.
La meccanica delle ombre di Stefano Solventi, pubblicato da Cicorivolta Edizioni, è la storia di un uomo che pare sventi le sciagure con la sua sola presenza: le persone escono illese da incidenti paurosi, le malattie regrediscano e le rapine non avvengono. Gli amici coetanei gridano al miracolo, Benni invece se ne infischia e ignora, o prova ad ignorare, il rumore che si fa intorno a lui, sulle sue “doti” di portafortuna in carne e ossa.
Benni è preso da altro, dalla sua crisi di mezza età, dalla preoccupazione per una figlia quindicenne e già donna che sente sfuggirgli via, dal rapporto irrisolto con una ex moglie ancora affascinante, ma con cui non riesce a comunicare realmente. E poi c’è l’ombra nella sua stanza, quella sì che ha dell’inspiegabile: una specie di macchia sull’intonaco, tra parete e soffitto, che compare solo la sera, ma che sembra non essere proiettata da alcunché intorno. Un ovale scuro che veglia su Benni e allo stesso tempo lo fa impazzire.
Esistenze precarie e tragicomiche attorniano il protagonista, anzi gli si mettono letteralmente alle calcagna. Personaggi grotteschi s’intrecciano a conoscenze di una vita: c’è Martina con la sua prorompente sensualità e la sua disarmante schiettezza, c’è Gabe, l’amico che annaspa nel vizio e nei guai, c’è un intero paese, in una località imprecisata della Toscana, che si muove proprio come in un gioco di ombre. C’è la crisi economica che divampa e chi è disposto a tutto pur di ricominciare a credere in qualcosa che non sia il tracciato del proprio vissuto, spesso amaro e inconcludente. Nella totale abulia del momento, cresce la voglia di aggrapparsi a un miracolo o qualsiasi cosa stritoli il meccanismo di causa ed effetto, che superi il rigore della logica, se la logica stessa affonda nella miseria dell’umana impotenza. Allora perché non credere nelle doti soprannaturali di un Benni? Cosa ci sarebbe di male se non il rispondere a un’esigenza collettiva? Benni cede e si offre, a volte consapevolmente altre volte no, prendendo parte ad un piano voluto da altri. Interpreta un ruolo che non sente suo, ma che alla fine accetta, esplora vite (disperate) facendo, mano a mano, il punto della propria…

Una vita che aveva fatto scivolare vent’anni prima e che, a sprazzi, si riaffaccia: “Poi all’improvviso quello scarto. Si ritrovò ad aver voglia delle canzoni più selvagge che aveva adorato da ragazzo. Ripensò alla sua band, alle sensazioni fragili e vertiginose provate sul palco. Ne era stato il cantante, pensò, quello che stava di fronte al pubblico come sbilanciato su una voragine.” E Samanta, sua figlia, che lo vuole pensare ancora così, come il leader di una band, i Pure Mania, che meritò persino un articolo su un giornale del 1989, dove Benni, in foto, compariva come un ragazzino con i jeans stretti e le pose da Iggy Pop. Un diciottenne arrabbiato che aveva una luce sul volto, una luce che veniva da dentro, un bagliore smorzato nel tempo, ma che riaffiora nelle sue scelte di uomo adulto e nella colonna sonora che lo accompagna, perché sì, questo libro contiene una colonna sonora, come era giusto aspettarsi da Stefano Solventi.

La meccanica delle ombre narra di una generazione sbilenca, quella dei quarantenni di oggi, del loro rodersi dentro ma, soprattutto, della loro ambivalenza espressa da un continuo imbrattarsi di scetticismo, talvolta cinismo, miscelato segretamente alla speranza che esista una via d’uscita prodigiosa, una scappatoia che porti lontano dalle battaglie perse e soffi via le ceneri di una voglia di vita troppo presto bruciata. Un resoconto crudo, quello di Solventi, ma non un verdetto, perché, come viene spiegato, “alla fine l’ombra non è che questo, una luce parzialmente negata”.

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La meccanica delle ombre