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Brani
tratti da
"VERSO
IL NERO"
(...)
Infilai la
mano nella borsa alla ricerca delle chiavi di casa; solo in quel momento
mi accorsi che mi tremavano le mani.
Aprii il cancello e poi il portone.
Lui era sempre qualche passo dietro a me. Salimmo in ascensore.
Sentii uno strano sfarfallio nello stomaco. Realizzai che si trattava
di eccitazione, di desiderio, soltanto qualche istante dopo.
Guardai me stessa nello specchio.
Avevo quasi trent’anni, e non ero una di quelle ragazze che fanno
girare la gente per strada al loro passaggio. Alta un metro e sessantacinque
per sessantacinque chili di peso, portavo da sempre i capelli corti, ma
come al solito cercavo di farli crescere. Occhi scuri, un paio di occhiali
“Emporio Armani” color rosa, naso regolare, labbra piccole e
carnose. Il mio fisico era sempre stato un grosso problema; spalle larghe
e seno rigoglioso, ma anche i fianchi e le cosce erano pieni, e il ventre
non era mai stato piatto come lo avrei voluto.
Continuavo a chiedermi come mai Giuliano avesse accettato il mio invito.
Non ero di certo il suo tipo; ero certa che uno come lui potesse avere
ragazze molto più belle di me.
“Gli offrirò da bere e poi se ne andrà” pensai
“come fanno tutti”. Alla fine rimanevo sempre sola.
L’ascensore si fermò all’ultimo piano. Il mio appartamento
era nel sottotetto.
Infilai la chiave nella toppa e la girai facendo scattare la serratura.
Entrai e con la mano destra cercai l’interruttore al buio; tremavo,
fremevo, e mi ci volle un attimo, ma lo trovai e accesi la luce. Giuliano
chiuse la porta dietro di me.
Mi voltai e me lo trovai di fronte; potevo sentire il suo respiro sul
mio viso.
Cosa stava accadendo? Non ebbi tempo di rendermene conto e mi ritrovai
con la sua bocca sulla mia, la sua lingua che esplorava la mia, la sua
mano sulla mia coscia sinistra che mi alzava il vestito. Un brivido mi
attraversò la schiena. Ero eccitata, bagnata. Sapevo che non avrei
dovuto lasciarglielo fare. Una brava ragazza non glielo avrebbe permesso,
ma ero stufa di essere una brava ragazza, così mi abbandonai all’istinto
che mi spingeva verso di lui, come se fossi attratta da un enorme magnete.
Giuliano si staccò e si guardò intorno. Eravamo nella sala,
in fondo alla quale c’era un piccolo angolo cottura. Sulla destra
c’erano due porte, quella del ripostiglio e quella del bagno, e sulla
sinistra ce n’era una, quella della camera da letto.
Non parlammo, mi avviai e lui capì.
Ricominciò a baciarmi, la bocca, il collo, l’orecchio. Con
una mano fece scendere la zip del mio vestito, che cadde in terra. Mi
slacciò il reggiseno e cominciò a...
(...)
Era supino,
il capo girato verso destra.
La camicia bianca era zuppa di sangue rosso vivo.
Gli occhi azzurri spalancati, sembravano avere ancora un’espressione
di terrore, e assieme di rassegnazione. Si era reso conto di stare per
morire.
I capelli brizzolati erano intrisi di sangue appiccicoso, e un rigolo
rosso gli attraversava il viso.
Chiusi gli occhi.
Gridai con tutto il fiato che avevo in gola, poi gridai ancora.
Sentii passi veloci salire le scale ed entrare nella stanza. Sentii mani
forti prendermi per le spalle facendomi ruotare su me stessa. Era Giuliano.
Mi strinse forte a sé, mi diceva di calmarmi. Non me ne rendevo
conto, ma stavo ancora urlando.
Gli attimi che seguirono furono così confusi che mi sembrò
di vivere in un incubo, di quelli che al mattino si ricordano poco, ma
fanno ancora paura.
Ricordo che Giuliano mi portò fuori dall’appartamento, mentre
col cellulare chiedeva aiuto.
Ricordo il suono delle sirene, l’ambulanza, la polizia che cominciava
ad arrivare.
Giuliano mi consegnò a una poliziotta molto giovane e carina, che
mi fece sedere sulle scale e mi portò un bicchiere d’acqua.
Intanto dall’appartamento entravano e uscivano uomini in divisa e
non. Riuscii a sentire che era arrivato il medico legale.
Dopo qualche minuto si avvicinò a me un uomo sulla cinquantina,
piuttosto basso, stempiato e sovrappeso.
«Salve, sono l’ispettore De Rossi. Catalano, il capo scorta,
mi ha detto che è stata lei a trovare il cadavere dell’onorevole
Martini. Devo farle qualche domanda, lei capisce, vero?
Dunque, il suo nome è Alice Marconi, ha trent’anni e risiede
a Torino.
Cosa ci faceva qui? In che rapporti era con l’onorevole?»
Ero confusa, non ero neppure certa di aver capito la domanda.
«Piero era un amico di famiglia. Eravamo stati a cena assieme venerdì
sera e oggi ero passata a salutarlo, volevo ringraziarlo.»
Bevvi un sorso d’acqua.
«Sono arrivata alle 18:00 circa, ho suonato il campanello, ma non
mi ha risposto nessuno. Il portone era aperto e sono entrata. Ho chiamato
l’ascensore, ma non arrivava, così sono salita a piedi. La
porta era socchiusa, l’ho aperta e sono entrata. Ho fatto un paio
di passi e l’ho visto. Ho urlato e ho sentito arrivare qualcuno.
Era Giuliano. Mi ha portata fuori e da allora sono qui sulle scale.»
«Quando è entrata ha notato qualcuno? Ha visto gente entrare
o uscire dal palazzo?»
«No.»
«Bene, per ora può bastare. Domani dovrà venire in
commissariato a firmare la deposizione. Se dovesse venirle in mente qualche
particolare me lo faccia sapere.
Fuori c’è una massa di giornalisti pronti a saltarle addosso,
perciò la farò accompagnare a casa dall’agente Fanti.»
Col capo mi indicò la ragazza che si era presa cura di me.
«Ispettore, gli hanno sparato, vero?»
«Non posso parlare con lei di questo.»
«La prego, era come un padre per me. Gli hanno sparato, vero?»
Mi guardò.
«Sì, due colpi, uno al petto, e uno alla testa, il secondo
quando probabilmente si trovava già a terra.
Ora vada a casa e non rimanga da sola stasera. Non è facile dormire
dopo aver visto per la prima volta un morto ammazzato.»
(...)
Giuliano
doveva essere rimasto finché non mi ero addormentata e poi doveva
essere uscito, facendo attenzione a non svegliarmi.
Era stata una fuga?
Erano le sette di mattina, avevo dormito tre o quattro ore, e mi ero svegliata
sudata e stanca. Il letto era completamente disfatto. Dovevo aver lottato
contro in miei incubi per tutto il tempo.
Cercai il cuscino su cui si era appoggiato Giuliano e lo abbracciai, come
facevo da adolescente quando sognavo di stringere a me il grande amore
della mia vita, che poteva avere, nei miei sogni, il volto di un cantante
o di un attore a seconda del momento.
Andai a preparare il caffè.
Mentre l’aroma si diffondeva nella stanza sentii il suono del citofono;
era Marco.
Salì ed entrò.
«Vuoi del caffè? L’ho appena fatto.»
«No, l’ho già preso. Dalla tua espressione mi sembra
di capire che sai già.»
«Sì, ho trovato io Piero» tanto valeva dirglielo subito.
Marco impallidì, la sua bocca si dischiuse come se volesse dire
qualcosa, ma non ne uscì alcun suono.
«Non ti preoccupare per me, sono ancora in piedi.»
«Il tuo amico è in un mare di guai. Su tutti i giornali si
ipotizza che possa essere complice, se non l’esecutore materiale
del delitto. È una fortuna che sia uscito dalla tua vita prima
di questa brutta storia.»
Marco sembrava già convinto che Giuliano fosse in qualche modo
colpevole per ciò che era successo. Non lo conosceva, ma lo giudicava,
come avrebbero fatto tutti quel giorno, e nei giorni a venire.
«Lui non c’entra.»
«E tu come lo sai?»
«È stato qui stanotte. Abbiamo parlato e io gli credo.»
Mi feci accompagnare al commissariato. Nonostante avessi rivissuto nella
mia mente il ritrovamento del cadavere di Piero per tutta la notte, non
ero riuscita ad aggiungere alcun particolare al quadro che avevo disegnato
all’ispettore la sera prima. Se possibile, invece, tutto era diventato
più vago e confuso.
«Buongiorno, vorrei parlare con l’ispettore De Rossi, per cortesia.
Gli dica che lo cerca Alice Marconi.»
L’agente con cui avevo parlato si allontanò e pochi istanti
dopo ricomparve di fianco all’ispettore De Rossi e a un altro uomo
che avevo già visto, in mezzo alla moltitudine di facce che erano
entrate e uscite dall’ufficio di Piero la sera prima.
Era alto, sui quarant’anni, o poco più, abbronzato. Capelli
corti e ricci ingellati, brizzolati sulle tempie, bel fisico. Indossava
un vestito elegante, con giacca e cravatta.
«Signorina Marconi, questo è il commissario Mancuso.»
L’ispettore De Rossi mi presentò l’uomo misterioso.
«Ci segua, dobbiamo farle alcune domande. Prepareremo una deposizione
che lei dovrà firmare e poi potrà tornare alla sua vita.»
Il commissario aveva una bella voce, con un leggero accento siciliano.
Li seguii in un ufficio al primo piano, che doveva essere quello del commissario.
Si sedette dietro la scrivania, mentre l’ispettore si accomodò
di fianco a me.
«Bene, ci vuole spiegare le circostanze che l’hanno portata
sul luogo del delitto ieri sera?»
Soffocai un sorriso, era una scena che avevo visto e rivisto al cinema
e in tivù.
Raccontai tutto come avevo già fatto, ma a un certo punto il commissario
mi fece una domanda a cui non sapevo rispondere.
«Quali sono i suoi rapporti con il vice commissario Giuliano Catalano,
il capo scorta dell’onorevole?»
(...)
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