Brano
tratto da Perché
era lui, perché ero io
Da
tempo fatico a prendere sonno.
Il mio cervello non vuol sentire ragioni di una tregua da pensieri che
corrono impazziti dentro i ricordi e il dolore di una perdita che di giorno
in giorno si fa più acuta.
Era forse ubriaco quel filosofo quando scrisse: Se cè
la vita non cè la morte, se cè la morte non
cè la vita? Certo la verità di questa sentenza
è incontrovertibile, oserei dire ovvia, ma a me sembra buona solo
a esorcizzare la paura che della morte ha chi la sente alitare sulle spalle,
non certo a tacitare la disperazione di chi sopravvive ad una persona
amata.
Lorenza non cè più, se nè andata e, questa
volta, per sempre, eppure non riesco a rassegnarmi al vuoto che mi ha
lasciato; non cè più la vita, la sua vita così
ricca di entusiasmi, di amore, di desiderio di capire, di conoscere, di
esserci.
A volte fingo di pensare che sia lontana, in uno dei tanti viaggi che
amava fare per uscire dal chiuso della propria casa e delle proprie abitudini
e andare in cerca del nuovo, del diverso, di un incontro che si schiudesse
sul mistero della vita.
Dura ben poco lillusione di risentirla... So che non mi arriverà
una email in cui mi rassicura che sta bene, che ha pernottato in una sfarzosa
casa coloniale inglese a Ooti, sulle montagne del Tamil Nadu e ha creduto
di sentir ruggire dietro la porta della sua camera le tigri i cui trofei,
appesi alle pareti del salone da pranzo, lavevano guardata con un
ghigno feroce per tutta la serata.
No, non mi scriverà più delle avventure cui andava incontro,
incosciente e spensierata, e che a me regalavano leggerezza e felicità
perché finalmente riconoscevo la sorella di un tempo, rinata a
nuova vita.
Vieni a trovarmi per un caffè filosofico? Così ti
racconto..., mi diceva al telefono di ritorno dallennesimo
viaggio.
Era bello ascoltarla; mi pareva di vederli i posti che descriveva con
tanta passione e minuzia di particolari, soprattutto percepivo, come se
diventassero miei, il coinvolgimento emotivo e le vibrazioni della sua
anima.
Così ero con lei nello Yucatan a Chichén Itza ad ammirare
il Castillo, Sai, per un attimo ho temuto di vedere il Serpente
piumato scendere con le sue spire sinuose attraverso i gradoni oppure,
tremante di orrore e di compassione, ero davanti ad un Cenote Sagrado
in cui si compivano sacrifici rituali di giovinetti per ingraziarsi la
benevolenza del dio della pioggia.
Ero con lei anche alla Bodeguita del Medio, il bar preferito di Hemingway
allHavana, a bere un mojito e attraversare, barcollando di ubriachezza
leggera, strade avvolte in uninquietante oscurità.
Ho condiviso la sua felicità di un Capodanno trascorso a Sydney
davanti allOpera House la cui architettura ardita aveva scatenato
la sua fantasia; mi scriveva che le sembrava un assemblaggio di vele spiegate
verso il cielo, verso la libertà oppure una grande conchiglia che
fuoriesce dal mare e cerca paradossalmente respiro e vita nellaria,
una singolare e affascinante creatura marina che convive con luomo
e lo cerca, lo ama come solo le sirene sanno amare.
Non mi stancavo mai delle sue parole, osservazioni, ricordi trascritti
puntualmente su un piccolo quaderno Per non dimenticare nulla,
diceva, che tracimavano come un fiume in piena riempiendo di guizzi di
vita e di curiosità il mio quotidiano.
Lorenza, sono felice delle esperienze che fai, credimi, ma, dimmi
la verità, questo progettare e fare viaggi in continuazione nasconde
una volontà di fuga?
Non credo, per lo meno non più, sto solo cercando il senso.
Il tempo è breve, la vita provvisoria, ho fretta di capire chi
sono, che cosa mi manca per essere quella che vorrei.
Fino a qualche tempo fa ero convinta che solo nellamore corrisposto
e compreso per un uomo avrei dato un significato alla mia vita.
Nella ricerca di un amore ho sprecato tempo ed energie, ma ora so con
assoluta certezza che lamore può essere altro: è amicizia,
è memoria del cuore, è sorriso quando ti alzi il mattino
e ti lasci incantare dalla bellezza e dal profumo del tiglio che svetta
nel tuo giardino, è ascolto, è condivisione, è consapevolezza
di essere vivi, è coraggio di andare incontro allaltro da
sé.
Lorenza, tu queste cose le hai sempre pensate, il tuo sguardo anche
prima era di stupore, di amore, di compassione.
Sì, è vero, ma solo in parte, perché prima,
senza lamore di un uomo, mi sentivo zoppa, mi mancava un arto indispensabile
per camminare fiduciosa verso il domani e loggi era grigio, privo
di attese e di speranze
Vorresti cancellarla quella ricerca di amore che era poi ricerca
di vita? Sei pentita delle tue scelte?
No, non mi pento di quello che ho fatto, voluto, amato, anzi ritengo
che tutte le esperienze, anche quelle maturate nel dolore, mi abbiano
aperto la mente verso orizzonti di senso più ampi.
Rifarei tutto o quasi tutto, se è per questo.
Come scrive il mio amico poeta:
Oh ripeterei tutto,
parola per parola,
carezza per carezza,
errore per errore,
perché ho vissuto anche momenti di pura felicità e bellezza
e certe emozioni sono state così intense che non ne rinnego neppure
una, però ora sono diventata grande e non temo la solitudine
e il silenzio.
Non cerco più lamore per correre ancora il rischio di perdere
me stessa, né mi lascio incantare dallapparenza. Si è
così stolti quando si ama che non ci si arrende neppure davanti
allevidenza più eclatante di non essere corrisposti e ci
sfugge la dimensione del reale. Spesso non ci rassegnamo comunque: continuiamo
a chiedere, a supplicare, a elemosinare un perché. Che follia pensare
che le persone siano come le vorremmo o supporre che il nostro amore possa
cambiarle... tipico di noi donne, malate croniche di sogni e di ideali
scontati. Tante Bovary che non si avvedono dellinconciliabilità
di realtà e fantasia, della distanza incolmabile tra desideri e
vita quotidiana.
Se ci pensi, per quanto possiamo crederlo reale, lamore ha sempre
una proiezione immaginaria, è il regno di ciò che può
essere, non di ciò che è, è un gioco di prestigio
con cui un Io inventa un Tu senza il quale crede di non poter essere felice
per scoprire con il tempo che tutto era fittizio.
Lamore è una malattia da cui sono guarita.
Ho preso coscienza delle mie ferite segrete, dei miei errori e dei miei
limiti; li ho esplorati, studiati, illuminati e ora so che fanno parte
della mia identità. Finalmente sono in pace, ho siglato un accordo
con il passato e non mi avventuro più a cercare illusorie consolazioni
perché ho capito che vivere una vita autentica significa soprattutto
cura, aprirsi agli altri, condividere, con-sentire.
Viaggiare mi ha insegnato anche questo; mi sento tuttuno con il
mondo, amo tutto ciò che è, persone e cose, non sono più
sola.
Lultima
volta che la vidi , un pomeriggio di fine settembre, ricordo la sua decisione
improvvisa di recarci al mare.
Era una giornata calda, ma il sole era pallido, i colori di una trasparenza
non più accecante vibravano di una malinconica dolcezza e il mare,
una distesa piatta, infinita che andava confondendosi con il cielo. Tutto
diceva che unaltra estate se nera andata.
Camminavamo sulla spiaggia modellata e lavata dalle onde, respirando i
profumi del mare e il silenzio interrotto solo dallo stridio di alcuni
gabbiani che volteggiavano ad ali spiegate sopra lacqua in cerca
di cibo. Altri invece se ne stavano tra le dune, immobili, accoccolati
in cerchio, come se ci fosse una riunione in corso.
Chissà che coshanno da dirsi? chiesi a Lorenza
scherzando.
Sono tristi, per questo stanno così vicini, quasi a scaldarsi
il cuore del vuoto che lasceranno gli amici in partenza verso paesi caldi
che loro non vedranno mai. Qualcuno sta dicendo che gli piacerebbe affrontare
lavventura di un viaggio pur sapendo che molti di quelli che sono
partiti lo scorso anno non hanno fatto ritorno, probabilmente morti di
stenti e di fatiche che gli hanno spezzato il cuore. Ma hanno visto qualcosa
di nuovo, Dio mio, hanno goduto la bellezza di cieli diversi, di sabbie
bianche e calde anche dinverno, si sono librati in alto, sempre
più in alto e hanno potuto guardare il mondo con occhi nuovi. Noi
invece, sempre qui, sempre la stessa vita ogni giorno: qualche volo acrobatico
a pelo dacqua per poi tuffarci in cerca di un pescetto, linseguimento
dei pescherecci accompagnato da strida di giubilo come se il cibo fosse
la nostra sola ragione di vita... e forse lo è.
Sì, sono certa che cè qualcuno che sta protestando
sulla banalità di unesistenza di cui non vede il senso, ma
gli altri, soprattutto gli anziani, lo guardano perplessi; il loro sguardo
è ottuso, allarmato da questansia di libertà che sembra
voler sovvertire lordine naturale delle cose.
Rischiare di morire per andare incontro allignoto, rinunciare ad
abitudini consolidate solo per il gusto di vedere pezzi di cielo nuovi?
è una perversione! Si sta così bene tra le cose certe di
tutti i giorni!
Che fantasia hai, Lorenza, addirittura fai parlare i gabbiani! E
li fai pure consapevoli della morte.
Certo, ti stupisci? Tutti lo sono e la presentono anche. Ma ora
basta con i battibecchi di questi stupidi uccelli e godiamoci lultimo
caldo e la bellezza di questo tramonto così languido nello stemperarsi
dei colori... non lo dimenticheremo, vero, questo pomeriggio insieme?
Dopo circa un mese moriva in un incidente dauto.
Sono ritornata nella sua casa.
Tutto parla di lei: i suoi libri, sparsi ovunque, i suoi quadri, comperati
nei mercatini più disparati in giro per il mondo, gli oggetti che
tanto amava perché diceva che ognuno era come un filo di quella
trama che si chiama vita.
Nello studio ho visto il suo portatile seminascosto da una pila di libri
e riviste.
Nettissima, la sensazione che fosse stato lui a cercarmi e a trovarmi
perché potessi rivivere attraverso le parole scritte la presenza
di Lorenza.
Non potendo scendere negli Inferi come Orfeo e pietire dagli dèi
la sua restituzione, potevo comunque riportarla indietro scendendo nella
memoria.
Mi sono seduta davanti alla sua scrivania e ho acceso il computer di cui
conosco la password.
Vi ho trovato uno scambio di email che narrano un percorso di memorie
e di speranze, una sorta di viaggio tra le contraddizioni del vivere alla
ricerca di una felicità sempre inseguita e mai autenticamente posseduta.
Ho preso la decisione, non so quanto saggia o presuntuosa, di raccontare
questo viaggio, sicura di non violare la sua anima perché
lei abitava nei libri e, come me, riteneva che scrivere e leggere storie
siano un cammino verso il senso, un aprirsi a possibili speranze di condivisione
e ad un dialogo che si teme perduto con laltro da sé.
Una storia può essere tutte le storie; che il lettore si riconosca
nello specchio lontano di chi ha vissuto in altri luoghi e altre vite
e abbia sempre qualcosa da scoprire perché non tutto è chiaro
e visibile anche a lui stesso, non è unipotesi né
così originale né così azzardata come sembra.
Come
può iniziare la storia di un incontro insperato e inatteso tra
due persone che, come naufraghi su una zattera improvvisata, aspettano
di essere salvati?
Quanti incipit si possono sperimentare prima di arrendersi o di perdere
lattenzione di chi legge?
Invero, cercare linizio di una storia è una fatica di Sisifo;
è come volere aprire la porta di casa con la chiave sbagliata,
sai che dentro cè il tuo mondo di piccoli e grandi affetti,
cè la tua vita, ma più cresce lansia di entrare,
più difficile diventa reperire la chiave giusta.
Oppure è come trovarsi in balia di un mare infido, in cui temi
di non avere scampo e le forze sono ormai sul punto di abbandonarti, stremato
da false speranze o dagli inganni della memoria finché... sulle
sudate carte si intravede un approdo, a meno che non sia un miraggio o
peggio unillusione che hai creato tu stesso per ingannarti... non
è semplice entrare nellintreccio segreto di due amanti.
Proviamo.
Cera una volta un principe che un sortilegio aveva condannato alla
solitudine.
Viveva in un castello arroccato sulla cima di una montagna; già
i suoi capelli avevano il colore del tempo e tante albe i suoi occhi stanchi
avevano spiato, eppure la speranza che qualcosa un giorno gli ridesse
il respiro della vita non moriva... scontato e banale un simile incipit
anche per una favola e questa non è una favola, semmai è
una non favola.
Cera una volta un uomo che aveva dimenticato che cosa fossero la
felicità di una carezza o di un bacio lieve. Viveva arreso alla
disperata perdita di senso della sua vita... noooo, neppure questo mi
convince, troppo stucchevole, cancelliamolo.
Io, che conosco questa storia, lho vista nascere come un gioco libero
e innamorato, crescere nella bellezza e nella complicità dellintesa
e infine arenarsi, come una nave che ha perso la rotta, nei bassi fondali
dellipocrisia e del perbenismo, temo che anche questo incipit sia
sbagliato.
Forse posso iniziare così.
Cera una volta un piccolo dio nelle sembianze di un uomo dallaspetto
insignificante tranne che nello sguardo su cui si affacciava, nella trasparenza
dei sentimenti ed emozioni che stava vivendo, unanima che sapeva
cogliere le vibrazioni più impercettibili di chi gli stava vicino.
Nei suoi occhi, occasione preziosa per guardare di nuovo, con occhi lavati,
scompigliare abitudini e certezze, snidare lio autentico, ci si
poteva tuffare e vedere scaglie di mare in burrasca o laghi dalle acque
calme e profonde in cui si specchiavano fitte trame di alberi.
Vi si leggeva tutto... bastava condividerli; erano la muta parola di stupori,
di tempi sognati, di dolori e ricordi che non volevano morire.
Ma quando il suo cuore si apriva a fiducie nuove vi si potevano pescare
perle preziose di calore e tenerezza che impreziosivano un sorriso dolce
e malinconico.
Era un uomo venuto dal mare, ma non era un marinaio anche se in mille
porti aveva sostato cercando un approdo dove placare la sua inquietudine,
trovare una casa e una donna da amare.
Lunghi viaggi e lunghe attese cerano stati nella sua vita finché
un giorno capitò in una città.
Non laveva mai vista, eppure i suoi eleganti palazzi settecenteschi,
i larghi viali alberati, il profumo dei tigli, gli odori che si sprigionavano
dal chiuso di certi vicoli, il vento che giocava con le foglie ammassate
sul selciato gli dissero che lì doveva fermarsi e restare in attesa
di essere salvato.
Sentiva di provare una felicità di natura quasi fisica; non ricordava
quando cerano stati quel vento, quellodore, quella carezza
dellaria, ma il suo corpo percepiva, come se ne avesse memoria,
di avere già vissuto quel piacere... ed era il piacere di esistere,
di esserci.
Finalmente si disse sono a casa.
Cercò e trovò anche lamore di una donna.
Ma che cosa sopravvive e che cosa muore quando si scopre di non credere
più ai baci, alleuforia del cuore, allunicità
dellaltro?
Muoiono lamore, lincanto di quei momenti in cui la vita pare
sospesa fuori del tempo e la percezione del trascorrere svanisce; sopravvivono,
dolorosi, i ricordi di unintimità che si è lasciata
sopraffare dal quotidiano e langoscia della solitudine.
Chiuse il suo cuore ai sogni, imparò che non si può giocare
con le profondità dellaltro... si scoprono distanze segrete
e incolmabili, si aprono ferite, si soffre lassenza e non si ama
più una persona cui si è sottratto il mistero.
Meglio ritirarsi in una torre, come Montaigne diceva a se
stesso, e cercare consolazione e appagamento nel silenzio e nelle letture,
ma... non era Montaigne, lui era solo unanima inquieta che non aveva
saputo accogliere la felicità, ghermirla e trattenerla quando loccasione
si era presentata.
La notte, quando il silenzio scendeva sulla città e sempre più
rari erano i passanti per le strade, usciva a camminare. Lo seguiva un
cane che un po gli somigliava, piccolo, con il pelo grigio e bianco
e gli occhi buoni che chiedevano amicizia.
Insieme andavano verso il fiume. Il cane correva avanti, si infrattava
in cespugli lontani, raspava il terreno con la frenesia di chi cerca un
tesoro, il muso affondato nellerba alla ricerca di ricordi di antichi
amori o comunque odori che sapevano di giochi e fantasie con amici, pensava
lui, che, sorridendo, aspettava che ritornasse per riprendere il cammino.
Gli piaceva ascoltare i rumori della notte in quel luogo solitario.
Dagli alberi che protendevano i rami verso lacqua arrivavano brusii,
sussurri di animaletti che cercavano il sonno e il tepore della tana.
Qualche uccello tardivo volteggiava nel cielo infinito, lassù,
sempre più in alto: sembrava nuotasse in una liquidità che
si rispecchiava, argentea, nellacqua.
E ancora, lontano, il pianto sommesso di un cuculo che cantava un amore
perduto.
Nelle notti estive godeva di spettacoli di straordinaria suggestione:
una miriade di lucciole danzavano attorno a lui, gli venivano incontro,
si rincorrevano felici, in un palpitio di luci, tra le ombre degli alberi
e nellaria satura del profumo di erba umida di rugiada.
In cielo era tutto un chiacchiericcio, un richiamarsi di uccelli che cantavano
la gioia di vivere.
Lui si sedeva sul greto del fiume e ascoltava rapito e rasserenato il
respiro della natura sotto lo sguardo di stelle così grandi e così
vicine da credere di poterle toccare con un dito.
A volte un rumore, un profumo, un lieve scalpiccio nel terreno, il lento
sciabordio dellacqua gli evocavano ricordi che credeva sopiti da
una memoria ingrata, restia a richiamare i momenti felici, quelli che
aiutano a rendere più leggera la vita.
Si vedeva bambino a Rio De Janeiro su una spiaggia assolata correre felice
incontro al mare, giocare, quando la risacca si ritirava, a cercare conchiglie
e poi finalmente tuffarsi e lasciarsi avvolgere dallabbraccio caldo
di quelle acque di trasparenza cristallina.
Teneva gli occhi aperti mentre nuotava, curioso, sottacqua; voleva
vedere i pesci colorati che guizzavano attorno al suo corpo, tentava anche
di accarezzarli, ma gli scivolavano sempre via dalle mani con scatti improvvisi.
Abitava in un quartiere di piccole viuzze: le case basse dai colori vistosi,
i panni stesi al sole, battuti allegramente dal vento, che gli sembravano
tante vele di navi pronte a salpare lontano.
I nonni, emigranti italiani, possedevano un forno. Erano partiti in cerca
di fortuna, beh... non avevano trovato lEldorado, ma lattività
che avevano avviato rendeva bene; il loro pane odoroso e fragrante godeva
di una certa richiesta.
Amava i nonni, il loro sorriso che si apriva su volti scavati da rughe
antiche, la loro ruvida tenerezza, le focaccine che gli facevano trovare
la mattina prima di andare a scuola.
Forse aveva nove o dieci anni quando si era innamorato per la prima volta.
Come fluttuando dalla nebbia di un ricordo che ha perso i contorni nitidi
di una realtà troppo lontana nel tempo, gli venne incontro limmagine
di lei, del suo volto quando la vide la prima volta, seminascosta dalle
tende di quella casa strana in fondo al vicolo dove abitava.
Era una casa grande rispetto alle altre, sempre con le finestre illuminate
la notte e risate che si confondevano con la musica.
Non capiva perché di giorno invece fosse così silenziosa
e le imposte fossero chiuse.
Ma quel mattino una finestra era socchiusa e dietro le tende che danzavano
al vento la vide: era incredibilmente bella o così gli parve.
Si avvicinò timidamente, voleva parlarle, ma lei si ritrasse e
sparì.
Tutte le mattine alla stessa ora si avvicinava alla casa per vederla e
lei era lì, sembrava attenderlo.
I loro sguardi si incrociavano: timidi e pieni di ardore i suoi, curiosi
e smarriti quelli di lei che un giorno gli fece cenno di avvicinarsi e
gli rivolse la parola.
Che cosa vuoi? Perché vieni sempre qui?
Perché mi piaci, vorrei conoscerti, vederti tutta, sei di
una bellezza incredibile, lo sai?
E tu lo sai che sei un ragazzino?
Che importa, tu mi piaci e io ti piaccio, altrimenti non saresti
alla finestra ad aspettarmi
Mi incuriosisci... è tutto. Lo sai che io sono più
grande di te?.
Quanti anni hai?
Sedici
Ti aspetterò fino a quando anchio avrò sedici
anni. Insieme andremo alla spiaggia, giocheremo a inseguire le onde e
ci baceremo. E non ti lascerò più.
Ma io sarò vecchia allora per te e poi... non è possibile,
io appartengo a tutti e a nessuno.
Non capì quelle ultime parole il cui significato gli rimase oscuro
finché degli amichetti più grandi, passando davanti alla
casa, gli chiesero: Tu sai che cosè quella? è
un bordello.
Ai suoi occhi interrogativi, ridendo maliziosi, aggiunsero: è
un posto dove gli uomini vanno di notte a fare le loro schifezze con le
puttane.
Non osò chiedere che cosa fossero le schifezze e le puttane, a
dire la verità non gli interessava; lui voleva solo conoscere quella
ragazza dallo sguardo triste e dalle labbra morbide che avrebbe voluto
baciare.
La aspettò nei suoi sogni, nei giochi sottacqua immaginando
che dai flutti emergesse lei nelle sembianze di una sirena, la vide nei
volti di giovani sconosciute che gli passavano accanto, nei libri, nella
riproduzione di un dipinto: era lOfelia di Millais che scivolava
lungo il fiume con le vesti impigliate di fiori bianchi, finché
una notte, aveva già quindici anni, sgattaiolò di nascosto
nel vicolo e si recò nella casa.
Entrò e aspettò di vederla... non sapeva neppure come si
chiamasse.
I nomi non sono importanti gli aveva detto un giorno, sono
la bizzarria, lumore, il capriccio, il legame ad un ricordo, la
fantasia di chi li sceglie per noi. Mi chiamano in tanti modi che quasi
non ricordo quale sia il mio.
Quando lo vide, lei non disse nulla, solo lo prese per mano.
Insieme salirono le scale ed entrarono nella penombra di una stanza dove
il sesso non si era mai coniugato con lamore.
Furono baci, carezze, abbracci che avevano il calore della brezza estiva,
mani che scioglievano timori e ambiguità, gesti che cercavano lintesa,
la comprensione, lamicizia, il piacere dellamore... e la stanza
diventò un prato, un cielo terso, il mare, la sabbia morbida e
calda su cui i loro corpi si cercavano.
A quella prima volta seguirono altri incontri tutti nella magia di una
felicità e libertà del cuore nuovi per entrambi.
Ma questa non è una favola, lho già detto allinizio,
le puttane restano puttane, i sogni sono solo sogni e i ragazzini vengono
duramente redarguiti per le loro stravaganti intemperanze.
Si ritrovò una mattina al check-in dellaeroporto con un biglietto
di sola andata tra le mani: destinazione Milano.
Lì avrebbe abitato presso una zia materna, continuato gli studi
e... dimenticato.
No, non dimenticò mai la sua puttana triste, la sua tenerezza,
il suo amore pulito, anzi la cercò in tutte le donne che gli capitò
di incontrare per le vie del mondo.
(...)
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