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Brano
tratto da
"Pulvino"
LA
FAMIGLIA BURLI-BUONTEMPI
abitava nella
città di Giorgio. Giorgio non era il padrone della città,
bensì il suo nome.
La famiglia Burli Buontempi se la passava bene. Ma a volte i lunedì
sono brutte giornate. E un lunedì di settembre, la famiglia cadde
nella polvere.
Come e perché? Un momento. Prima, presentiamoli.
Olivia
Buontempi. Vigilessa magra, occhi e capelli neri. Un esemplare di
vigilessa gentile.
- Signora, la sua auto è in divieto di sosta. Potrebbe spostarla
prima che le appioppi la multa?
- Buontempi, lei fa poche multe - le contestava il Massiccio Comandante
Arturo Blocchetti.
- Meglio.
Meglio per te pensava il Comandante Arturo Blocchetti. Ma
io, di questo passo, non avrò il Premio Produzione Multe.
Cristoforo
Burli, alto, magro, occhi azzurri e gambe a stecco. Lavorava alla
Glass Bank. Imbustava e spediva le lettere.
- Si pettini quel ciuffo, Burli. Si metta una camicia seria. Si tolga
il papillon giallo. Questa Banca non è un circo - diceva il Cavalier
Filippo Glass.
Non posso licenziarlo per il vestito. Perderei la causa. Ma è
ora, è veramente ora che lui se ne vada. Pensando allora,
guardò lorologio a muro.
Leopoldo
Burli, tredici anni, terza media. Mani lunghe, ciuffo biondo, uniride
azzurra e una nera, magro, altissimo e gentile.
- Non così, Burli. Fai rimbalzare la palla! Hai le mani di burlo,
Burri!
- Burro, prof.
- Cosho detto?
- Burri.
- In che senso?
- Infatti non ha senso.
- Tu mi prendi in giro.
Il professor La Palla ce laveva con lui. Voleva che diventasse un
campione di basket.
- Non mi piace il basket.
- Coshai detto, testa di rapa?
- Non mi piace il basket.
- Tu me la pagherai, Burri.
Quel lunedì
di settembre.
Il Cavalier Glass fece chiamare Cristoforo.
- Cè questa lettera ultra-stra-importante, per la Banca delle
Banche. Da spedire entro mezzogiorno - E gli consegnò la busta.
Cristoforo, che non aveva orologio, consultò le lancettone sopra
la testa di Glass. Segnavano le undici e trenta.
La Posta era a due passi.
- Cosè
successo?
- Dica, Cavaliere.
- Dove è stato, Burli?
- Sono andato e tornato, Cavaliere.
- è fuori da unora.
- Impossibile.
- GUARDI - Lorologio a muro segnava le dodici e trenta.
- Comè possibile?
- Non mi prenda in giro, Burli. Mi mostri la ricevuta... VEDE? Le hanno
fatto il timbro alle dodici e un quarto. Dodici - E - Un - Quarto - Glass
si alzò in piedi, ma era molto basso e non si vedeva la differenza.
- La lettera andava spedita entro le dodici. Sa cosa vuole dire? La Glass
Bank ha perso un finanziamento della Banca delle Banche di un milione
e cinquecentomila. Andava chiesto entro le dodici. DODICI - Diventò
rosso e cominciò ad agitare le braccine. - Incapace. Buffone. Sabotatore!
Servo della concorrenza! Imbecille! Ci ha rovinati!
LETTERA DI
LICENZIAMENTO CON RIVOLI DI FINTE LACRIME ESSICCATE.
Per avere procurato un danno gravissimo alla Glass Bank, che lha
sempre trattata come un figliastro, regalandole uno stipendio ben superiore
alle sue capacità e... Non una parola, ingrato. Taccia. Se ne vada.
Si tolga dai piedi. Si vergogni.
Dalla finestra,
Glass lo guardò andare via. Mi sono liberato del pagliaccio.
Basta unarrampicata sulla scrivania, a volte. Uno sposta due lancette...
E Tac. Relativizzato il tempo.
Nel frattempo,
Olivia cercava il proprietario di un fuoristrada rosso, parcheggiato in
divieto.
Le si avvicinò un massiccio mendicante, con piattino per gli oboli
e faccia avvolta da una sciarpa.
- Sta sc... sc
ercando huello della acchina? - chiese il mendicante
con voce afona e sdentata.
- Lo ha visto?
- Ha ettto che se passcia il vishile didire che è ndato un attimo
da Moda Più.
Olivia, nel negozio Moda Più, non trovò proprietari di gipponi
rossi. Tornò indietro pronta a multare.
Appoggiato alla bestia cera il comandante Blocchetti.
- Lei non ha multato questo suv.
- Sono andata appunto a cerca...
- Vigilessa Buontempi, lho fatta seguire. Avevo sospetti su di lei.
E adesso so. Lei non fa il suo lavoro. Lei passa il tempo a fare shopping.
Lhanno vista a Moda Più. Si aspetti provvedimenti.
Sospensione
senza stipendio della vigilessa Buontempi Olivia, per gravissima mancanza
ai propri doveri e tendenza allo shopping compulsivo in orario di lavoro.
Riconsegni la divisa ben stirata. Si vergogni.
Dovrei
fare lattore pensò Blocchetti riponendo nellarmadietto
naso finto e sciarpa da mendicante.
Quel lunedì
di settembre, anche a Leopoldo detto Leo andò male.
- Prendi quella palla. Perticone. Testa di rapa. Falla rimbalzare e buttala
nel canestro - Leo, stanco di farsi trattar male da La Palla, prese la
palla, intesa come palla.
- Finalmente - disse La Palla, inteso come docente.
Ma Leo andò alla finestra aperta e gettò in strada la palla,
intesa come palla. Fuori, in quel momento, passava il Preside in bicicletta.
La palla, intesa come palla, lo colpì sul naso e lo mandò
gambe allaria.
A Leopoldo Burli venne inflitta una MultiMulta, o meglio venne data ai
suoi genitori, intesi come economicamente responsabili.
Si trovarono
nella cosiddetta POLVERE. Senza stipendio. Con Leo da mantenere e la multa
da pagare.
Così Olivia e Cristoforo divennero malinconici. Loro, che erano
allegri. Loro, che portavano Leo a fare gite, camminare in montagna, pedalare
lungo il fiume, non avevano più voglia di muoversi. Il loro unico
pensiero era come tirare avanti.
Abitavano in un bellappartamento, nel quartiere Spider 5.
Laffitto era alto.
OTTOBRE
I soldi erano
finiti.
Eugenio Veranda, proprietario del palazzo, bussò. Gli parlò
Olivia. Cristoforo se ne stava sulla poltrona a fissare il niente.
- Si-signora Buontempi. Mi pe-permetto di rico-ordarle...
- Siamo in ritardo con laffitto, lo so. Ci scusi la situazione di
emergen...
- Ca-capisco, m-ma non poposso tenere co-conto di tutte le dif-diffi...
- Tre giorni, signor Veranda. Tre giorni e pagheremo.
- Cheche s-siano t-tre.
Olivia sospirò e andò a sedersi.
- Cosa facciamo?
- Vendiamo.
- Cosa?
Il giorno dopo portarono il televisore al MUU, Mercatone Universale dellUsato.
- è un modello superato - disse Alvaro Strozzi - Vi do 50 euro
- Laffitto era di 700. Cominciarono a portare al MUU... Un computer.
La macchina fotografica. La telecamera. Lorologio a pendolo. Eccetera.
Con il ricavato riuscirono a pagare laffitto.
Ma il mese dopo?
- Papà?
- Mmmmm.
- Mamma?
- Ssssss.
- Ho bisogno che qualcuno mi chieda Storia.
- Leo, ci sono altri problemi.
- Dobbiamo cercare lavoro.
- Guardare gli annunci.
Leopoldo si rintanò in camera con il libro.
Devo fare
qualcosa.
Per favorire la buona sorte.
Mettermi giocare a pallacanestro.
Forse quella palla è maledetta.
Lho trattata male.
Domani la faccio rimbalzare e tutto si risolve.
Direi di no.
Siamo nella polvere.
E
Tccccìììììììììì.
Un grande
starnuto. Il polline dei fiori? Impossibile, in ottobre. Non era il polline.
Era polvere. In mezzo alla stanza cera un mucchietto di polvere.
Lho fatto io? Il mucchietto crebbe di qualche centimetro.
Interessante.
La polvere cominciò a muoversi. Strisciava sul pavimento verso
il mucchietto. E il mucchietto, lentamente, cresceva.
- Il vento - disse. Non cera vento. Il calore pensò.
Il calore che sposta la polvere? Il magnetismo... Lelettricità?
La polvere migrava da sotto la tenda. Da sotto il tappetino. Da tutti
gli angoli. Da dietro i libri. Da sotto il letto. Usciva e si accumulava
nel mucchietto. Che diventò un mucchio adulto.
La polvere scorreva rasoterra, come sabbia spinta dal vento. Adesso passava
da sotto la porta. Veniva dalle altre stanze.
Tutta la polvere di casa si stava accumulando in quel cumulo. Alto ora
un metro e mezzo. Color grigio chiaro.
A un certo punto la polvere rallentò. Stava finendo. Probabilmente
in casa non ce nera più. Era tutta nella montagnetta. Alta
circa come lui.
Quanta ce nera? Il mucchio di polvere cominciò
a modellarsi da sé. Prendeva forma. Partì dal basso, con
i piedi. Poi le gambe, rivestite da larghi pantaloni di polvere. Una giacca...
No, un cappotto. O meglio, una mantellina, di quelle di una volta.
Dalla polvere nasceva una figura umana. Come un fantasma, ma più
consistente, color grigio chiaro. Scarponi, pantaloni larghi, mantella,
sciarpa al collo... E la testa. Una testa grossa, con capelli grigi, lunghi
e arricciati. E un cappello a tuba. Naso largo e lunghi baffi allingiù.
Sembrava un vecchio signore dellOttocento.
Non si muoveva. Nemmeno gli occhi. Due occhi severi sotto le sopracciglia
cespugliose.
- Va bene - disse Leo - Sono stanco e vado a dormire - Si voltò
verso il letto.
- Dove vai? - sentì alle sue spalle. Una voce soffiata, un po
roca. Come un vecchio clackson.
Cosa succede? pensò. Probabilmente stava dormendo.
Vado di là a dirlo? ... Ma come faccio, se sto dormendo?
- Meglio ignorarlo - si disse ad alta voce. Si stese sul letto. Chiuse
gli occhi.
- Ignorare chi?
Ci risiamo.
- Ignorare me?
Non gli devo rispondere.
- Latto di ignorare ti renderebbe ignorante. - Questo no. Scattò
sul letto.
- Senti - disse puntandogli il dito contro. - Vai a quel paese. - Poi
si rannicchiò di nuovo - Ho già abbastanza pensieri.
- Quale paese?
- è un modo di dire.
- Sempre approssimativi, voi carnosi. Dite quel paese senza sapere che
paese è.
- Chi sarebbero i carnosi?
- Quelli della tua specie.
- E quelli della tua?
- I polverosi.
Sto facendo un sogno un po scemo pensò.
- Anche tu con codesta storia del sogno. Lultima volta fu in casa
del dottor Pelucchi. Un carnoso trasandato che non si dava cura di pulire
il pavimento. Nemmeno lui voleva ammettere che io fossi vero. E sai perché?
Non voleva ammettere il proprio sudiciume. Come te.
- Aspetta
- disse Leo, mettendosi seduto sul letto - Accidenti,
mi metto a parlare con un sogno.
- La vuoi capire che non sono un sogno?
- Va bene. Chi sei, allora?
- Pulvino. Un essere polveroso.
- Non può esistere una creatura vivente fatta di polvere.
- Voi carnosi, della vita sapete quasi nulla.
- Vado in bagno.
- Ti aspetto costà.
Speriamo di no.
In bagno, Leo passò il dito su lavandino e pavimento. Perfettamente
puliti.
Tornò in camera. Lessere lo aveva aspettato.
- Va bene. Ti chiami Pulvino. Sei un polveroso. Adesso mi dici cosa vuoi.
Pulvino aggrottò le sopracciglia grigie, che parevano di lana.
- Non voglio niente. Ho semplicemente raccolto la polvere.
- Ok. Te ne vai?
- Una curiosità mi punge. Tu non abiti da solo, vero?
- Siamo in tre.
- Ah. E in tre lasciate accumular la polvere in siffatta maniera? Di sudici
perdigiorno ne ho conosciuti, ma mai di tale stampo.
- Senti... è una storia lunga.
- Si dà il caso che stasera non abbia niente da fare.
- Non cè speranza che tu te ne vada, vero?
- La tua cameretta è accogliente, una volta pulita.
- Mi sa che non ho scelta.
- Puoi cominciare il racconto.
- Però a bassa voce.
UNORA
DOPO
- Sta ripassando
la lezione.
- è vero - disse Cristoforo alzando gli occhi dal quaderno pieno
di conti. - Senti quanto parla.
- Andiamo a dargli la buonanotte. Labbiamo trattato male, prima.
Quando furono davanti alla porta della cameretta, non si sentiva più
parlare. Dalla stanza veniva un pianto roco.
Bussarono.
- Perché piangi, Leo?
Nessuna risposta. Olivia e Cristoforo si guardarono, poi aprirono. Leo
era seduto sul letto e non piangeva.
- Piangevi per noi, Leo?
- Vedrai che tutto andrà meglio.
- Non devi avere paura.
- Ti vogliamo bene, Leo.
- Certo - disse Leo.
Olivia e Cristoforo andarono a dormire, più tristi di prima.
Qualche minuto più tardi, mentre stavano per addormentarsi, sentirono
un altro rumore. Qualcosa di vagamente simile a un rutto. Non ci fecero
caso e dormirono.
IL MATTINO
DOPO
Leopoldo
Burli decise che aveva sognato.
Ma in casa non cera un granello di polvere.
- Mamma - chiese mentre faceva colazione con mezzo biscotto. - Stanotte
hai dato la polvere?
- Secondo te ho voglia di dar la polvere?
- Ok - disse Leo, e uscì.
Camminava
sul marciapiede, disseminato di foglie secche.
Forse dovevo dirglielo pensava.
- Cosa?
- Che cera qualcuno in camera mia. - Si fermò - Chi ha parlato?
- Io. - Si voltò di scatto. Dal marciapiede erano scomparse tutte
le foglie.
- Sei cieco? - chiese la stessa voce, stavolta più lontana.
Pulvino era seduto su una panchina, davanti a lui. Sembrava più
grosso e alto della sera prima. E anche con i baffi più lunghi.
Sollevò il cappello.
- Buongiorno. - Sulla testa teneva un montarozzo di foglie secche.
- Va bene - disse Leo. Passò accanto a Pulvino, senza guardarlo,
e prese a camminare veloce. Si accorse che Pulvino gli camminava dietro.
- Vai via - mormorò tra i denti.
- Allora sono un sogno?
- Sì.
- Se sono un sogno, perché il marciapiede ora è pulito?
Perché tua madre e tuo padre udirono il mio pianto? Perché
casa tua è priva di polvere?
Leo accelerò il passo. - Mi fai fare tardi a scuola.
- è vero. Scusa.
Leo continuò a camminare di buon passo.
- Volevo ringraziarti. - La voce di Pulvino era lontana.
Di che?
- Di avermi fatto piangere con il tuo racconto.
Poi Leo sentì un grande rutto. Molto più grande di quello
della sera prima.
Cosa diavolo... Si voltò. Pulvino era scomparso. Cera
solo il marciapiede deserto, e foglie secche che svolazzarono per un po
e poi planarono a terra.
- Comincio a capire - disse Leo tra sé. - Costui digerisce la polvere.
A scuola
rimase pensoso. Non ascoltava niente.
- Oh - disse Samir, - hai la faccia di uno che sogna.
- La mia?
- No, la mia. Cosa sogni?
- Niente.
- Un po di fantasia, su.
- Un sistema per far sparire la polvere.
- Ci vorrebbe da noi in Tunisia.
- Sssst - disse Ginevra dal banco davanti. Ginevra aveva venticinque videogiochi,
la villa, lidromassaggio, la sala cinema dentro la villa e un cavallo
tutto suo.
- E chi parla? - disse Samir.
- Erano due mosconi - disse Leo.
- Silenzio - disse Giandoni di matematica.
- Sono Najar e Burli - Ginevra Malinverni parlava stridulo. Teneva lo
smartphone sotto il banco e per cinque ore messaggiava a Elio Del Rusco,
Terza Bi, campione di basket. Il problema era che Ginevra piaceva misteriosamente
sia a Leo che a Samir, anche se li guardava entrambi come si guardano
due fazzoletti pieni di moccio.
- Najar - disse Giandoni, - sai cosa devi fare. - Samir si alzò.
Giandoni lo mandava in corridoio con vari pretesti, sperando che cambiasse
scuola. Purtroppo per lui, Samir tendeva allottimo rendimento.
- Ma non è giusto - sussurrò Leo.
- Sssst. Altrimenti se la prende anche con te.
Ginevra trafficava
rumorosamente con lo smartphone. Giandoni non le diceva niente.
Samir si affacciò alla porta.
- Tho detto di stare fuori - disse Giandoni.
- Irene sta poco bene - disse Samir. - Sta lì seduta e si lamenta.
Irene, la bidella del primo piano, era solitamente allegra e non si lamentava
mai, nemmeno quando doveva pulire 150 impronte fangose.
Uscirono tutti. Irene stava seduta appoggiata alla scopa, con aria imbambolata.
- Cosa ha fatto, Irene?
- Non lo so.
- è successo qualcosa?
- Prima, dico, dovevo pulire. Cera un dito di polvere.
- Un dito in piedi o un dito steso? - chiese Samir.
- Stai zitto - disse Giandoni.
- Il solito - sentenziò Ginevra guardando lo smartphone.
- Un dito steso, dico - rispose Irene indispettita. - Che poi non era
proprio un dito. Un po di meno. Comunque prima di pulire vado di
sotto a farmi un caffè, e quando torno... - Irene passò
lindice sul pavimento e lo mostrò a tutti - Dico. Non cera
più polvere.
- Non capisco.
- Chi ha pulito tutto quanto, mentre io prendevo il caffè? - gridò.
...............
- Perché non si riposa, Irene? - disse Giandoni.
Irene rimase seduta in corridoio. Samir le tenne compagnia anche durante
lOra di Religione. Non aveva voglia di litigare con il prof su Dio
e Allah.
Il pavimento senza polvere pensava Leo nella solitudine del
suo banco.
Ginevra scrisse un sms al boyfriend: Irene sta diventando xicolosa.
Paura ke 1 di qs giorni fa una strage. Diko a papi ke la fa mettere in
manikomio. tvukdb.
Poi suonò la campanella.
In corridoio,
Samir lo aspettava.
- Irene dice la verità. - Gli mostrò un ciondolo con un
orecchino rosa simile a una gomma masticata.
Ginevra, mentre passava, strappò il ciondolo dalla mano di Samir.
- Lo sapevo. Ti aspetta una bella denuncia, sai.
- Ma se te lho ritrovato - Ginevra si era già allontanata
indispettita. - Mi devi un decimo del suo valore - le disse dietro. Tornò
a parlare a Leo: - Ho ipnotizzato Irene. Ha ripetuto che non è
stata lei a pulire il pavimento.
- Mi sembra ancora ipnotizzata - disse Leo. In quel momento squillò
il telefono sul tavolo di servizio. La bidella si svegliò improvvisamente
dal torpore.
- Sì? ... Glielo mando. Burli, ti vuole il Preside.
Leo dovette passare accanto a Ginevra, che si modellava la frangia davanti
a uno specchietto.
- Vai a pagare la multa? - gracchiò. Il suo boy friend Elio Del
Rusco arrivò con camicia aperta e passo da pistolero. Elio era
uno e ottantacinque, ma parlava come un gatto dei cartoni animati.
- Chi si vede - miagolò. - Quello che scambiò il Preside
per un canestro.
Il Capo Istituto
era vestito così bianco da dar fastidio agli occhi.
Gli doleva ancora la caviglia per la caduta dalla bici. Così era
nervoso.
- Burli, questo mese non avete pagato la MultiMulta. Dica ai suoi genitori
di non fare i furbi. - Si mise a tossicchiare. - Cosè questa
polvere? - Una nuvoletta di polvere stava uscendo dallarmadietto
del candido Preside.
Improvvisamente, dallarmadio partì un rutto. La nuvola di
polvere scomparve. Il Dirigente Scolastico strabuzzò gli occhi.
- Siamo a questo punto, Burli?
Cosa gli dico? Che è stato larmadietto a ruttare?
- Lei è un maiale, Burli. Si aspetti la bocciatura per cattiva
condotta. Se ne vada. E ricordatevi la multa.
Mi devo arrabbiare? pensò Leo una volta fuori. Si incamminò
verso casa.
(...)
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