Metalmeccanicomio
Il Metalmeccanicomio Renzo Brollo
di Alessandra
Farinola per
www.dasapere.it
Le parole hanno un potere? Raccontare, fotogramma
per fotogramma, un dramma lungo dieci giorni può avere un valore
catartico? Quando tutto è ormai compiuto, dolorosamente compiuto
nel peggiore degli esiti, dare la propria versione ha senso? Roberpiero
crede di sì.
Lui lo sa di non avere scampo, sa bene che per lui - ancor più
che per tutti gli altri - non ci sarà pietà, ma ha bisogno
di raccontare la sua verità su tutto quello che è successo.
Anche se significa rivivere un crescendo di orrore fino ad un parossismo
quasi insopportabile. Per farlo sceglie Daniele, un coetaneo (si ricorda
che hanno anche fatto le medie insieme), uno dei giovani carabinieri,
uno che solo per caso si è trovato dall'altra parte. Lui,
Roberpiero, è uno degli operai della Fabbrica, quel posto che
per lui era quasi casa e che in dieci giorni s'è trasformato
in inferno; quel luogo fuori dal tempo e dallo spazio dove tutte le
coordinate umane hanno perso valore e si son confuse.
Era cominciato tutto con uno sciopero,
con qualcuno che parlava da un palco e altri che ascoltavano. Poi le
prime scintille di violenza, uno sparo, lo smarrimento, la paura.
Quindi la Fabbrica, luogo (fino a quel momento) sicuro dove rifugiarsi,
per pensare, capire. Con calma. E invece no. Lì c'era il signor
Celso, il padrone, a cui i suoi operai sono in certo modo legati. Ma
per caso prende corpo tra loro e lui una parola, una sola, che ha il
potere perverso di innescare una miccia pericolosa: delocalizzazione.
Ora niente sarà più come prima. Per nessuno. Una
storia sulla famosa banalità del male, intesa stavolta come qualcosa
che cresce piano piano, autoalimentandosi come un incendio, che divora
ossigeno vitale e cresce e diventa strumento di morte. Tutti i protagonisti
di questa storia sono vittime e carnefici, su tutti Roberpiero (nome
per nulla casuale, di per sé simbolo di una idea che nasce per
senso di giustizia e si trasforma in terrore o meglio, qui, in orrore),
capro espiatorio suo malgrado, vittima sacrificale che assume su di
sé tutte le colpe. Perché quando la violenza
ha il sopravvento non possono valere più le regole umane, non
hanno più senso le categorie di giustizia o pietà: tutto
si confonde, i confini sfumano, i limiti si spostano, i valori si capovolgono.
E quello che spaventa di più è quanto tutto avvenga in
maniera naturale, come se in quella dimensione aliena, lì nella
Fabbrica, vigessero altre leggi, quelle della sopravvivenza, della paura,
della vendetta, quelle antiche di occhio per occhio e di mors tua via
mea. Renzo Brollo, come ha spesso affermato, in
questa storia non intende parlare né di politica né di
sindacati. Infatti ben presto la vicenda, pur nella sua crudezza,
assume via via toni surreali che la spostano in una dimensione, appunto,
volutamente al di fuori della realtà possibile. Ciò
che gli interessa è puntare il dito su due aspetti così
delicati della vita umana che forse per parlarne è necessario
prenderne le distanze attraverso una narrazione di questo tipo, quasi
irreale. Uno di questi aspetti lo riguarda da vicino, in quanto
metalmeccanico da vent'anni, ed è il legame quasi straniante
che l'uomo stabilisce col suo lavoro e che dipende dal significato che
esso finisce per rivestire e dal tempo che occupa nella sua vita. Lo
spiega bene Brollo: "Quando vivi tanto in un posto, per brutto
che sia, per spaventoso che sia, non riesci a non volergli almeno un
po' di bene, a non trovare in lui almeno un angolo tutto tuo. La tua
tana per la vita". L'altro aspetto, forse più
spaventoso, è rappresentato dalla violenza e dalla riflessione
su quanto sia latente in ognuno, pronta ad esplodere nelle giuste condizioni.
Come in una valanga può accadere, e purtroppo accade, che un
piccolo evento cresca spaventosamente: più la paura cresce, più
si alimenta il cieco desiderio di far male o di vendicarsi. Nella migliore
delle ipotesi di difendersi con ogni mezzo a disposizione. Come un circolo
vizioso che non si spezza o, per dirla con uno dei termini metalmeccanici
che affascinano l'autore, come una vite senza fine. Infine,
per chi conosce la scrittura di Renzo Brollo, resta sorprendente la
capacità mimetica, quasi proteiforme di scrivere, che gli permette
di cambiare registro espressivo e adattarsi all'argomento con una naturalità
non comune. Benché lui consideri questo libro, uscito adesso
ma scritto alcuni anni fa, come legato ad una fase conclusa della sua
espressione artistica, in realtà è solo un esempio di
questa sua qualità che qui gli permette di raccontare una storia
cruda come questa in maniera secca, sincopata, senza fronzoli, attraverso
periodi spesso brevi e taglienti. Non c'è nessuna pietà
né speranza per i personaggi di Metalmeccanicomio: non
servono troppi giri di parole per dirlo.