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Beppe Iannozzi

L’ultimo segreto di Nietzsche

"Metaromanzo che sfiora il capolavoro"

di Dario Bentivoglio

 

Se non dotato di una cultura enciclopedica poco ci manca,
questo uno dei tanti punti forti di Giuseppe Iannozzi, in arte Beppe Iannozzi, il cui stile letterario non imitabile rifugge da qualsiasi etichetta ed etica. Ne è dimostrazione lampante L’ultimo segreto di Nietzsche, edito da Cicorivolta edizioni, romanzo che fa sua la Gestalt demolendo illusioni ottiche, psicologiche e fideistiche, dando così vita a simulacri e universi destinati a franare e a risorgere in forme sempre nuove ma sempre sofferenti di una non vaga mendacità.
Iannozzi fa largo uso della tecnica cara a William Burroughs e che grossomodo fu abbozzata da alcuni esponenti del dadaismo, il cut-up; il risultato è un romanzo di luminoso scetticismo,
non di rado sconvolgente al limite del cinismo e della blasfemia.
L’ultimo segreto di Nietzsche è un dedalo di storie sotterranee, su più piani dimensionali, senza una apparente via di uscita, che conduce il lettore nell’Eterno ritorno per riseppellirlo in esso; e per quanto uno possa scavare seguendo l’indicazione dello Zarathustra di Röcken, sempre si vedrà sepolto nella sua naturale condizione di essere semplicemente un uomo e non altro.
Demolitore di idoli, con rara abilità Iannozzi porta sul banco degli imputati etica ed estetica condannando larga parte dell’axiologia,
a partire da ben prima dell’anno Zero sino ad arrivare all’attuale momento storico.

Débâcle di una città sull’orlo del collasso, L’ultimo segreto di Nietzsche spiega il lato più oscuro eppur vivo di una Torino che ha perso le proprie radici storiche. All’inizio incontriamo un Nietzsche disfatto, già contaminato dal seme della pazzia, susseguentemente la scena si sposta in una Torino misterica, ecco dunque far la loro apparizione fantasmatica una galleria impressionate di personaggi reali e inventati: disadattati, pazzoidi, masche, ma anche idioti, umiliati e offesi, tutti ritratti con perfetto nervosismo dostoevskijano. Ma soprattutto Iannozzi riesuma e rinverdisce la leggenda del fantomatico Absu Imaily Swandy, che, grazie a un falso storico, l’autore fa incontrare con il filosofo di Ecce homo. Chi ha frequentato e conosce un po’ la Torino più nera e leggendaria avrà di certo sentito nominare Absu. Nel cuore di Torino, nei pressi di Piazza Castello che si dice nasconda l’ingresso per l’Inferno, non è affatto raro imbattersi in volantini appiccicati da anonime sette che inneggiano al ritorno sulla Terra di Absu. Tuttavia sarebbe riduttivo affermare che il romanzo di Beppe Iannozzi è tutto imperniato sulla leggenda di Absu Imaily Swandy, ci troviamo difatti, nostro malgrado, costretti a fare i conti con la droga, con l’Aids, con streghe bruciate sul rogo e che mai furono perdonate dalla Chiesa (vedi l’emblematico caso delle masche di Levone, che l’autore ritrae con rara vivacità attingendo a chissà quali fonti d’archivio).

Attingendo poi a piene mani dai Vangeli apocrifi, l’autore porta sulla scena un Gesù umano, ben lontano da quello che il Cattolicesimo ha consegnato ai suoi fedeli. E qui l’autore rischia sfiorando la blasfemia, per consegnarci un Cristo debole, talvolta brutale e arrogante come il peggiore degli assassini. Un Cristo che muore sì in croce, ma incapace di risorgere. E’ anche Cristo un pazzo, uno dei tanti che tengono d’assedio Torino grazie alla Sindone, conservata nel Duomo di Torino. Snocciolando precisi accadimenti storici e intrecciandoli con rara maestria, l’autore ci conduce per mano lungo le strade di una città corrotta dalla droga, dal razzismo, e dal fascismo dei cabinotti che non storcerebbero il naso se gli eredi di Casa Savoia tornassero a comandare sull’Italia. Ma sotto accusa finiscono anche la filosofia aristotelica e di San Tommaso d’Aquino. Se Jostein Gaarder ha fatto conoscere al grande pubblico, in maniera piuttosto pacchiana ed elementare, la filosofia non risparmiandosi di salvare un po’ tutti i filosofi, Iannozzi invece usa l’accetta per mutilare Sofia e lasciarci intatto il razionale scetticismo di Bertrand Russell. Beppe Iannozzi è un autore che non si presta al minimalismo. Leggere un suo romanzo è una avventura nell’avventura perché costringe il lettore, volente o nolente, a ragionare e ad andare oltre. E non è nemmeno autore che si possa etichettare, è esso una stella danzante che brilla di luce propria per condannare superstizioni e pregiudizi. Ogni raffronto con altri autori è di fatto impossibile, ed è questo un pregio considerevole in un panorama editoriale che sol più mira a portare sul mercato romanzetti scritti su commissione, perfettamente uguali fra loro.

L’ultimo segreto di Nietzsche non è dunque una storia per tutti e non è un semplice romanzo, è invece un metaromanzo che sfiora il capolavoro e che costringe i lettori a guardarsi allo specchio per interrogarsi sulla propria esistenza, se questa sia reale o piuttosto mera illusorietà.

 


L’ultimo segreto di Nietzsche

 


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