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Brani tratti
da: "L'AMORE
RITROVATO (Esta vez, será para siempre)"
(...)
Chapter
IV
All’improvviso
le tornarono alla mente le parole che aveva spesso digitato sul profilo
facebook accanto alla foto di rito: “Si è un po’ soli
nel deserto, si è soli anche con gli uomini”, mai frase risultò
più indicata come in quel momento – si disse Sammy –
rabbrividendo per un secondo, nonostante l’aria ardesse come brace.
Si guardò intorno con fare spaurito, turisti vocianti, autoctoni
col volto riarso dal sole, qualche accattone al ciglio della strada.
No, non devi farti prendere dal panico… all’improvviso rivide
le immagini di qualche mese prima, meno di un anno fa… con valigie
grandi come immensi bauli, una compagna conosciuta da poco meno di mezzora,
un sorriso carico di sogni e una pronuncia davvero incomprensibile…
ricordò, tuttavia, di non aver provato quella strana sensazione
attuale che ora le mordeva lo stomaco.
Beh, che diamine, si disse, non può essere così diverso,
sei una fifona.
Si diresse a passo deciso verso l’avenida principale, al fondo e
poi a destra ricordava c’era un minuscolo ostello, quello dove aveva
pernottato la prima notte con la sua improbabile compagna di sventura.
Un tocco leggero alla porta, due, tre:
- Hola, c’è qualcuno?
Un silenzio assordante fu la muta risposta proveniente dall’interno.
Beh, le tre del pomeriggio erano, in effetti, un orario un po’ inconsueto
visti i ritmi degli abitanti del luogo, probabilmente alle prese con la
loro preziosa siesta pomeridiana.
- No hay nadie? – il tono più alto e deciso.
- Un momento, un momento, arrivo, estoy llegando…
Finalmente, sospirò stanca… un rivolo di sudore giù
per la fronte… aveva dimenticato quanto fosse pungente il caldo laggiù
e, a tratti, quasi svilente.
- Hola, buenas tardes, estoy buscando una cama por la noche, può
essere che mi fermi anche per i prossimi giorni.
La signora, ad occhio e croce sulla quarantina, sfogliò un libro
unto di prenotazioni annotate con una biro a tratti poco leggibile…
per un secondo Sammy ebbe nostalgia degli hotel informatizzati nei quali
era solita pernottare coi suoi… ma subito scacciò dalla mente
quel pensiero, infastidita da tanta pavidità.
- Si ricorda – si fermò di scatto, che stupida, come poteva,
con le centinaia di persone che passano da quelle camere ogni mese…
comunque le sembrava poco cortese lasciare la frase sospesa a metà,
così continuò lo stesso - si ricorda, sono stata qui con
una amica circa un anno fa, per una settimana.
La signora mugugnò qualcosa di incomprensibile, le lanciò
uno sguardo distratto lasciandole vagamente intendere, per pura cortesia,
che forse un qualche lontano ricordo l’aveva… era chiaro, tuttavia,
che il suo volto le rimandava informazioni pari allo zero.
Dopo pochi minuti, finalmente: “Pues niña, puedes quedarte
solo hasta el jueves… da venerdì in poi la stanza è
occupata e non credo se ne libereranno altre… sai, i turisti arrivano
come mosche in questa stagione dell’anno”.
La metafora poco ortodossa le fece aggrottare, per un attimo, le sopracciglia,
quattro giorni di autonomia, beh, saranno più che sufficienti,
mi metterò subito alla ricerca di un alloggio, in fondo molti studenti
lasciano libere le loro stanze e non dovrei faticare troppo… mentalmente
ripercorse la strada alberata che conduceva all’università,
era senz’altro quello il posto migliore per cercare annunci di affitti.
- Va bene, la prendo. Pago ora la prima notte, il resto alla partenza.
Trascinò a fatica il borsone su per le scale, non le ricordava
così ripide… la chiave nella toppa… la stanza aveva un
aspetto vagamente familiare: non era la stessa dell’anno precedente
ma identico il mobilio, sgangherato, spoglio e, decisamente, poco invitante…
non era venuta lì pensando di stare al Ritz, in fondo… voleva
cambiarsi al volo, fare una doccia e mettersi subito in cammino alla volta
dell’università. Ogni secondo poteva essere prezioso, determinante.
L’acqua calda che scivolava velocemente sulla pelle l’accarezzava
in modo piacevole e ristoratore… il telo poggiato accuratamente sullo
sgabello a lato della doccia le pizzicò leggermente l’epidermide…
era ruvido, pulito però… si distese sul letto, solo un secondo
si disse, il tempo di ricordare mentalmente la via più breve per
la città universitaria… solo pochi minuti… un sonno pesante
come il piombo, vuoto di sogni, la fece sua prigioniera dopo pochi istanti.
(...)
Chapter
VI
Addentò
con forza l’hot dog comprato per strada, non era certo un prodotto
tipico, ma Sammy non era tornata laggiù per motivi gastronomici,
la fame intensa si faceva sentire, non voleva intaccare il suo gruzzolo
entrando in qualche ristorante e non aveva tempo di sedersi nei bar a
sorseggiare sangria e spizzicare tapas o papas bravas… l’hot
dog andava più che bene, un euro e venti per un panino imbottito,
in più poteva addentarlo camminando per strada. Aveva assaggiato
pietanze migliori, questo era indubbio, ma in quel momento la testa di
Sammy era assorbita da tutt’altri pensieri. Eddy troneggiava al centro
di questi e sembrava, dai suoi ricordi, farle capolino beffardo e guardarla
dall’interno del cestino in aeroporto, dapprima incredulo e poi irato.
Sammy poteva solo immaginare la sua reazione quando, provando ripetutamente
a chiamarla, aveva trovato il telefonino sempre staccato ed ora più
che mai, inspiegabilmente, era certa che l’avesse fatto. Chissà
perché, al momento del suo rientro in Italia si era convinta che
lui non l’avrebbe chiamata mai e, senza concedergli neanche il beneficio
del dubbio, gli aveva sottratto qualsiasi possibilità di riscatto
mediatico. La certezza era svanita quasi subito, come accade sempre dopo
gesti impulsivi, ma ormai era tardi per recuperare.
Chissà perché non aveva mai focalizzato i suoi pensieri
su come Eddy avesse potuto prendere quel gesto, quel muro alzato a tradimento…
lei sempre pronta a difendersi da attacchi mostruosi e immaginari aveva
sferzato a lui un colpo mortale, annichilendo qualsiasi possibilità
di contatto. Ora, per la prima volta, pensava a quest’aspetto, era
come se il cervello avesse ragionato, finora, a compartimenti stagni;
concentrata sul suo dolore aveva completamente tagliato fuori quello,
virtuale, dell’altro. Ora, per la prima volta, lo vedeva dinanzi
a sé, come un’anafora martellante che tamburella sempre la
stessa nenia… era chiaro che lui la odiava… le aveva offerto
il suo cuore, voleva venire in Italia, passare del tempo con lei, condividere
i suoi interessi, i suoi amici, la sua vita, e lei… lei come aveva
reagito? Sbattendogli in faccia la porta del cuore, senza dargli neanche
una possibilità. Era chiaro ormai che, tra i due, “il bastardo”
era stata lei – incrinati per sempre i suoi preconcetti sugli uomini.
A un tratto, un dubbio: Eddy, però, avrebbe potuto anche non comporre
mai quel numero, il suo discorso di quella sera solo parole inutili regalate
al vento dell’inverno… ma come avrebbe potuto scoprirlo? Il
telefono, muto in qualche discarica della città sonora, custodiva
seppellito con sé nella tomba il suo prezioso segreto.
Dal pensiero di quel gesto sconsiderato era nato in lei il desiderio di
porre, in qualche modo, rimedio alla situazione, ma purtroppo l’occasione
non si prospettava affatto semplice. In fondo l’aveva sempre saputo,
a mo’ di training autogeno si era più volte ripetuta che tra
le varie eventualità, ci fosse quella di non riuscire a trovarlo,
o di scoprirlo già impegnato, o totalmente dimentico di lei, di
loro… era un modo per esorcizzare quelle paure, in cuor suo, in realtà,
aveva sempre sperato di ritrovarlo, di chiarire tutto e tornare a vivere
la loro splendida favola amorosa… prima di partire l’aveva perfino
sognato all’aeroporto, con un enorme mazzo di girasoli, quelli che
a lei piacevano troppo… era un sogno, difatti.
Misurando a passi lunghi e calibrati il selciato e pulendosi come meglio
poteva la bocca dai resti untuosi di quel panino caldo consumato quasi
correndo per strada, Sammy pensava che sarebbe dovuta tornare molto prima,
mollare gli ultimi esami, volare da lui e spiegargli quel dannato equivoco
che aveva spezzato la magia della loro comunicazione… oppure avrebbe
potuto dirgli che le avevano rubato il cellulare appena sbarcata a Fiumicino
e lui, lui le avrebbe creduto… tutto sarebbe tornato come prima…
doveva mandare al diavolo i suoi e il prof. e la sua dannatissima tesi
e tornare da lui… in fondo avrebbe dovuto immaginarselo che anche
per lui l’erasmus sarebbe finito, il semestre era appena terminato…
certo, ricordava la volontà di Eddy di prolungare il soggiorno
anche in estate – per terminare la tesi – in realtà mossa
premeditata per sfuggire all’uggia dell’estate londinese e lasciarsi
travolgere dalla movida spagnola. Ecco, ci siamo, doveva essere in viaggio
per l’Andalusia, era il suo sogno concludere il soggiorno con escursioni
non organizzate nel ventre della madre terra Spagna… si lasciò
sfuggire un singhiozzo… se così fosse, dove l’avrebbe
mai ritrovato? Era già abbastanza complicato cercarlo lì,
in una sola città, sicuramente diveniva impossibile stanarlo come
una lepre nella calura della Spagna meridionale.
Le venne quasi da piangere, forse non era poi tanto sicura di aver fatto
la scelta giusta, forse avrebbe semplicemente dovuto lasciare agire il
destino… accanirsi contro di lui si stava, in effetti, rivelando
vano. Ad un tratto, una nuova subitanea illuminazione le squarciò
la mente, era già la seconda nell’arco di poche ore: si augurò
che questa fosse più produttiva, però, come non pensarci
prima? Avrebbe dovuto recarsi alla Tierra, il locale dove si erano visti
la prima volta, quello in cui Eddy lavorava come barista. D’un tratto
si fermò e, quasi travolgendo un signore sull’ottantina in
bicicletta alle sue spalle, fece dietro front ed iniziò a divorare
il terreno, correndo in direzione della sua ultima ancora di salvezza.
Non ricordava quanto fosse sbiadita l’insegna del bar, beh, in effetti
non c’era mai stata in pieno giorno e la sera, si sa, conferisce
colori magnifici e fluttuanti, soprattutto se si arriva al locale con
la testa piacevolmente leggera. All’improvviso il posto le sembrò
abbastanza triste, quasi squallido nel suo aspetto esteriore, lo squadrò
dall’alto in basso: il soffitto pesante, la scritta a caratteri cubitali
rovinata nella parte inferiore e riarsa dal calore diurno, la serranda
abbassata a metà; scrutò dall’esterno il posto, si
piegò leggermente sulle ginocchia, non se la sentiva ancora di
entrare, le parve di vedere una sagoma che spazzava, a terra centinaia
di carte e mozziconi di sigaretta… i resti dei bagordi della nottata
appena trascorsa… le sembrò che il tempo si fosse fermato.
Tutto procedeva nello stesso modo a Sevilla, diverse erano, certamente,
solo le facce, identica la voglia di divertirsi di centinaia di studenti
provenienti da ogni parte del mondo e turisti, soprattutto in quella stagione.
Ripensò ai suoi vecchi amici, era incredibile come avesse potuto
perdere le tracce di quasi tutti, qualche flebile contatto su facebook,
qualche e-mail sporadica, ma, nella maggior parte dei casi, non sapeva
più nulla di quelle vite con le quali aveva condiviso così
tante notti folli, per un attimo gli occhi le si venarono di tristezza,
strano come il tempo passi, e, sebbene fossero trascorsi solo pochi mesi,
tutto le sembrava così diverso e stupidamente vuoto.
- Fammi assaggiare
il tuo mohito, mh… buono!
- E tu dammi un sorso del tuo…
- Hei, hai visto chi è arrivato, quel tipo dell’università…
che fa… guarda! Lavora qui.
- Smettila Pilar, non vedi come se la tira, sarà uno di quei fighetti
con la puzza sotto il naso e uno stuolo di ammiratrici da una sera e via.
- Beh, per una sera con uno così mi metterei in fila anch’io
– e giù a sghignazzare, già quasi brilla.
Sammy si rifiutò di guardarlo per non dargliela vinta, continuando
così a fingere di essere totalmente indifferente al tipo che aveva
fatto girare la testa a quasi metà delle sue amiche, sentiva, a
pelle, tuttavia, una strana attrazione verso di lui, per questo s’impegnava
con tutte le sue energie a demolirlo, se non altro in pubblico.
- Sammy, vieni a ballare, la nostra canzone… dai, è arrivato
anche Juan…
- Mi gira un po’ la testa, vengo al prossimo giro, per ora resto
un po’ seduta qui.
- Seguro?
- Sì, non preoccuparti, vi raggiungo dopo in pista.
Sammy si accomodò come meglio poteva sull’alto sgabello a
ridosso del bancone… le girava un po’ la testa… il caldo
del locale, il tanfo del fumo, gli ultimi chupitos buttati giù
a stomaco quasi vuoto, iniziavano a farle sentire le gambe traballanti
e la testa tra le nuvole.
Da quella posizione scrutò con attenzione, ma con disinvoltura
senza farsi notare, il brunetto al bar, dolce e gentile con tutte, un
sorriso davvero magnetico e denti bianchissimi. Non sapeva il nome, le
pareva, però, che qualcuno lo avesse chiamato Eddy. Che nome, un
nome da cavallo, pensò e rise tra sé e sé, si divertiva
a osservare le ragazzine che lo braccavano al bancone, sottoponendosi,
in modo per lei assurdo e irreale, a una fila lunghissima per un cocktail,
mentre i colleghi accanto erano quasi del tutto inoccupati. Rise, che
sciocche, pensò fra sé. Gli occhi le caddero su una tipa
in terza fila: minigonna inguinale, top color argento annodato sotto il
seno, occhi bistrati di nero, kajal informe sulla palpebra inferiore dell’occhio:
una riga sbavata all’angolo sinistro… si sistemava, senza preoccuparsi
di dissimularlo più di tanto, il reggiseno che fuoriusciva dalla
parte superiore del micro-indumento… un gruppetto di quattro o cinque
ragazzi la guardava con un’aria tra il patetico e il famelico. Sammy
preferì girare la testa, fu un attimo, incrociò per un istante,
che le sembrò eterno, un paio di occhi di un cobalto intenso, si
volse indietro stupita, forse lo sguardo che l’aveva attraversata
non era diretto a lei… ma alle sue spalle solo un gruppetto di ragazzini
girati verso la pista e completamente presi dalle loro birre. Si voltò,
questa volta con fare timoroso: due pezzetti di cielo di nuovo si appuntarono
su di lei, si sentì avvampare, forse per il caldo, per i drink
consumati, per le ore piccole. Sammy, d’un tratto, provò un
senso di disagio, quegli occhi sembravano averle frugato dentro e lasciato
impresso qualcosa: il loro sigillo. Pose a terra vacillante il piede destro,
avrebbe cercato Pilar e gli altri e detto loro che non si sentiva bene,
sarebbe tornata a casa, avrebbe preso un taxi e si sarebbe di corsa infilata
sotto le lenzuola, persa magari nelle sue fantasticherie; il sinistro
non fece in tempo a toccare il suolo che una voce vellutata e gentile
l’apostrofò:
- Cosa ci fa una señorita tutta sola in una serata bella come questa?
Non era spagnolo, no, l’accento era peggiore del suo, probabilmente
inglese o al massimo norvegese… le sembravano tutte uguali le pronunce
dei ragazzi del nord Europa.
- Hei, todo bien?
Che stupida, non gli aveva risposto, era rimasta a fissarlo con uno sguardo
attonito.
Stupida, stupida, penserà che sono una demente.
- Que si, no te preocupes, todo bien…
- Vuoi bere qualcosa?
Il suo silenzio fu scambiato per un muto consenso.
- Beh, nell’indecisione, offre la casa.
- Cos’è?
- Una preziosa miscela, dotata di poteri magici, sai?
Per un attimo Sammy pensò che fosse vero, quel ragazzo le sembrava
dotato davvero di tutti i poteri del mondo.
- Dai che scherzo, non sto cercando di farti qualche macumba o cose del
genere… è solo succo di arancia spruzzato con lime.
E sorrise fissandola, lo sguardo dritto a perforarle la valvola cardiaca.
- Già…
Oddio, non riusciva a trovare nulla di più interessante e intelligente
da dirgli… pensò di uscire dall’imbarazzo trangugiando
il bicchiere tutto d’un fiato, era fresco e frizzante, quello che
le serviva per riacquistare un po’ di lucidità.
Il tipo dagli occhi di ghiaccio stava già passando la pezzolina
umida sul bancone, cercava di guadagnare minuti, si aspettava qualcosa
da lei, una battuta almeno, la guardò di nuovo finendo di pulire
minuscoli granellini impercettibili di zucchero grezzo di canna dal bancone…
lei ricambiò lo sguardo, le labbra incollate… una rapida occhiata
dall’altra parte del locale… la fila era addirittura raddoppiata
e i colleghi seguivano i suoi gesti con sbirciate interrogative.
- Quando tornerai?
Dall’altra parte silenzio.
Ormai il tavolo era nettato e limpido, le ritirò il bicchiere,
la guardò di nuovo, stavolta non trovò corrispondenza…
gli occhi di Sammy erano bassi, la testa girata altrove, un altro secondo
di esitazione e poi, a passi felpati, di nuovo a far roteare bottiglie
e distribuire sorrisi e bicchieri ghiacciati dall’altro lato dal
bancone.
- Forse tornerò domani – sussurrò – ma non era
affatto sicura che lui l’avesse sentita.
Non posso ancora crederci, Sammy mormorò tra sé, non-posso-ancora-crederci…
lui, il divino de La Tierra, l’idolo di tutte le sue compagne di
corso e di metà del locale (la metà femminile s’intende)
si era avvicinato a lei, le aveva rivolto la parola, offerto un cocktail,
guardata più volte, e lei… lei… lei neanche gli aveva
detto grazie… stavolta si era comportata davvero da cretina…
lo avesse saputo Pilar l’avrebbe uccisa… in fondo, perché
raccontarglielo… sicuramente lui era gentile con tutte, era il suo
lavoro, in fondo le aveva solo offerto un drink, non l’aveva mica
invitata a una cena a lume di candela… più blaterava parole
vane, più si sentiva stupida… come aveva potuto farlo…
neanche salutarlo!
Si ritrovò d’un tratto in piedi, non cercò neanche
di raggiungere le amiche al centro della pista, senza mai voltarsi, quasi
per paura di diventare una statua di sale, sgattaiolò correndo
fuori dal locale.
Pilar, Juan e gli altri ballavano euforici circondati da una folla in
delirio, non furono di certo loro a notarla sgusciare via a un orario
alquanto insolito… gli occhi appuntati su di lei, che parevano aver
catturato un pezzetto di mare, erano carichi di interrogativi e di una
strana, nuova, curiosità.
Sammy sembrò
risvegliarsi di scatto da un sogno confuso, indirizzò, stavolta
con più precisione, lo sguardo di nuovo all’interno del locale,
cercando di scorgere il più possibile al di là della serranda
abbassata… di nuovo vide un paio di jeans sdruciti, da uomo, e una
scopa intenti nel cancellare ogni traccia della sera innanzi e preparare
il locale a nuova nottata di divertimenti e follie… lo sguardo scivolò
più in basso… un paio di converse rosse… un tuffo al
cuore, identiche a quelle che lui indossava quasi tutti i giorni, al punto
da averle consumate in più parti del bordo e della suola.
Il cuore tamburellava forsennato nel petto e… se fosse davvero lui…
avrebbe potuto solo aver cambiato casa… e continuare a lavorare lì,
in fondo aveva sempre detto di voler tornare in autunno a Londra…
e se fosse stato lui, era pronta a quell’incontro? Che gli avrebbe
detto? E così scarmigliata, struccata, accaldata e stanca, che
impressione avrebbe potuto fargli?
Il sole le tagliava in due il volto mentre si arrovellava su simili interrogativi…
aveva la possibilità di rimediare a uno sbaglio colossale fatto
mesi prima e ora, all’improvviso, si sentiva attanagliata dall’ansia
e dalla paura… temeva di non riuscire a dire nulla, come il giorno
in cui si erano conosciuti… aveva paura di gettare tutto all’aria
o, di più, scoprire che lui l’aveva dimenticata, che si era
rifatto una vita, aveva un’altra ragazza, l’aveva cancellata
dai suoi pensieri… incasellata in una fase che si era ormai conclusa,
come lei stessa aveva cercato di convincersene e di convincerlo mesi addietro.
Mille quesiti, aperti e insoluti l’immobilizzavano sotto la canicola
estiva, avrebbe voluto tornare indietro nel tempo, dire e fare, finalmente,
le cose giuste, togliersi la maschera, gettarla via e gridargli, muta,
il suo Amore, ora strozzato in un rivo di dolore pulsante. Avrebbe dato
qualsiasi cosa per poter tornare indietro, anche solo per una manciata
di secondi.
- Hola guapa, que haces aquì? Estamos cerrado… vamos a abrir…
- Lo so che siete chiusi, io… veramente… cercavo…
Lo sguardo di una hermosa signorina bruna si appuntava curioso su quello
violaceo di Sammy.
- Italiana? Closed… estamos... closed.
Sammy si sforzò di riesumare in fretta dalla memoria il suo provetto
spagnolo, annaspando nel tentativo di spiegare che non aveva intenzione
di entrare, ma che in realtà era alla ricerca di una persona. Subito
la donna la guardò in modo indispettito, il locale era frequentato
da studenti, soprattutto erasmus e si sa, spesso la voglia di fare bisboccia
e rincasare a ora inoltrata era di gran lunga superiore al desiderio di
studiare. Temeva che qualche pivellino fosse reduce dell’ultima nottata,
i cui cocci stavano inesorabilmente sparendo nel secchio dell’immondizia.
Dopo pochi minuti le due donne riuscirono a capirsi.
- Claro que sì, certo que lo conosco, lo conoscono tutti qui.
Sammy dovette appoggiare il palmo destro al muro rovente per non precipitare
a terra, sentiva le gambe vacillare…
- Non lo vedo, in realidad, da un po’ di tiempo.
Alle obiezioni di Sammy, in modo seccato, rispose di non poter ricordare
tutta la gente che andava e veniva da quel posto, dei camareri, dei musicisti,
degli studenti…
Sammy insisteva: Eddy era stata la principale attrattiva del locale ed
era chiaro che non passava affatto inosservato.
La donna, visibilmente annoiata, fece per scansarla, abbassandosi per
entrare all’interno, un secco: “No tengo idea de donde puede
ser andato…”, il cupo rumore metallico della serranda chiusa
fin quasi al suolo, riportò Sammy alla realtà. Due pugni
inutili e via di nuovo in strada… progressi zero. Dal locale la donna,
la cugina di Raja, la proprietaria temporaneamente assente, seguiva in
modo apprensivo la ragazzina dalla coda disfatta… non si fidava,
sebbene non le sembrasse una poliziotta e poi, Eddy pareva un ragazzo
“pulito”… ad ogni modo, vivendo in quell’ambiente
da decenni, ormai, aveva capito che l’unica regola era fare “muro
su muro” e stranieri in cerca di personale erano segnali di guai
all’orizzonte; per un attimo la sagoma scura alla finestra ancora
chiusa si fece uno scrupolo, chissà, forse la chiquita ha davvero
bisogno di lui, fu un attimo, in fondo neanche lei sapeva di preciso dove
fosse diretto, né quando sarebbe tornato, se mai fosse tornato.
Sammy se ne andava mogia mogia, priva della preziosissima informazione
che, accuratamente, le era stata celata… voleva piangere, aveva nostalgia
di mamma e papà, Lara, Pilar… che avrebbe dato per riavere
al suo fianco l’amica di sempre, lei sì che avrebbe saputo
consigliarle la mossa giusta… inutile dirlo, il peso del fallimento
le curvava le spalle… che stupida, non le aveva neanche dato il tempo
di chiedere notizia degli altri, forse avrebbero saputo qualcosa, quella
tipa doveva essere nuova, difatti non l’aveva mai vista al locale.
Troppo tardi, la serranda era chiusa e lei non aveva affatto intenzione
di tornare di nuovo indietro. In fondo, per quanto sgarbata, era stata
molto chiara: Eddy era partito, e non aveva la minima idea di dove fosse.
Che senso aveva prolungare quell’inutile conversazione monotematica?
(...)
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