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dall'Introduzione
di Francesca
Boari
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Romanzo
che a pieno titolo potremmo definire “generazionale”, dalla
trama colma di sorprese, scritto con il ritmo di una evidente necessità.
L’Amore ai tempi della Gelmini, è un romanzo semplice
e intelligente, una cronaca di vita e una testimonianza letteraria che
ci apre un varco, una porta, una finestra, una piazza di luce sul
senso di un’epoca, questa nostra squinternata epoca che i giovani,
questi nostri giovani, stanno vivendo quasi senza essere visti né
valutati, ma che anche per questo tipo di attenzioni e di prospettive,
un giorno, fra non molti anni, sarà ricordata e probabilmente rivalutata
e meglio storicizzata. Un romanzo, dunque, specchio dei tempi, che restituisce
cultura e dignità sociale all’importanza dell’essere
individuale prima ancora che comunitario. Un romanzo, infine, onesto e
autentico, la cui trama si srotola e si sviluppa di scena in scena proprio
come un film dedicato alla famiglia, alla società, ai giovani e
ad un mondo studentesco vivo e vegeto, descritto con brillante competenza,
ironia e spontaneità narrativa.
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Brani tratti
da L'AMORE AI TEMPI DELLA GELMINI
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Jena si sente
accarezzare una spalla, rotea lo sguardo e mette a fuoco una figura femminile
con i capelli a caschetto neri come lo smeriglio, che sorride smaltata
in un modo tra il puttanesco e il propagandistico. Il portamento fine
e intellettuale, l’abbigliamento da donna in carriera più
che da ragazzina all’alba dei diciotto anni, stride con quei due
occhi inequivocabilemente ammiccanti e maliziosi. È Annalisa Valentini.
Sembra una ex velina che si è riciclata in politica. Annalisa gli
sventola davanti al grugno un volantino su cui è apposto, a caratteri
cubitali:
NON FERMIAMO LE LEZIONI. DIFENDIAMO LA RIFORMA!
L’ex velina è una signorina di seconda liceo, militante della
setta Giussani, per intenderci di cielle, promotrice di una scuola conservatrice
ed integerrima. Voti altissimi in tutte le materie, un vero e proprio
vanto per il pluridecorato e per il Cattolicesimo cesenate. Parallelamente
alla sua attività politica e al suo fermento cristiano, ama farsi
sifonare con prepotenza da uno dei consoli del triumvirato che governa
il liceo. Federico De Lorenzis, ovvero una fotocopia tardoadolescenziale
di Casini. Un Rotariano che fa credere al mondo liceale di essere un centrista
moderato ma che ha già affisso il suo nome nella lista della Giovane
Italia.
“Ragazzi, dovete capire che è fondamentale una riforma seria
della scuola. Bisogna tagliare le spese superflue, e fidatevi che ce ne
sono parecchie. Ragazzi, certe modifiche sono necessarie… E poi non
ci sembra giusto fermare le lezioni, così si impedisce il fluire
della cultura!” afferma l’ex velina decisa e puttanesca allo
stesso tempo.
“Non hai tutti i torti, stiamo riflettendo sulla faccenda” ribatte
Jena accomodante e sbrigativo, giacché ora il suo primo pensiero
non è certo la legge 133 bensì la vecchia professoressa
Medusa.
Giulian assume un atteggiamento piuttosto strafottente, si gira verso
l’ex velina solo per educazione e sussurra un “ciao” poco
convinto. Ultimamente l’ha analizzata con attenzione lungo i camminamenti
del liceo. È convinto che si tratti di una femmina ipocrita, benpensante
e di scarso valore umano. Ha un portamento da reginetta intellettuale
e di certo si rivolge alla plebe del pluridecorato come ad una mandria
di sottosviluppati.
È una di quelle signorine che alla mattina si guardano allo specchio
e domandano ‘Specchio specchio delle mie brame chi è la più
affascinante acculturata cristiana fanciulla del cesenate?’.
Lui solitamente non la degna né di un sorriso né di uno
sguardo, preferisce non darle soddisfazione così da non alimentare
quella detestabile vanagloria che si porta addosso come una gualdrappa.
L’ex velina dopo le raccomandazioni si allontana scodinzolando e
prosegue la sua opera di proselitismo. Jena e Giulian la vedono accalappiare
una frangia di pulcini anonimi di quarta. Ovvero le sue prede preferite.
Gli imberbi senza identità che non sanno dire di no.
“Jena mi dai il volantino?”.
Jena senza protestare glielo porge svogliatamente.
Giulian lo appallottola come carta stagnola mentre individua un cestino
a pochi metri da lui. “Se faccio canestro, la Medusa ti interroga”
lo provoca il giovane emo.
Il tiro arcuato e perfetto alla Dino Meneghin centra perfettamente il
cestino.
“Fanculo!” esclama Jena toccandosi il pacco in segno scaramantico.
Giulian fino a qualche giorno fa non si era interessato alla Gelmini e
compagnia bella, né a tutto quel tumulto che sta ingoiando il pluridecorato.
Subiva le decisioni prese dall’alto seguendo la piega degli eventi
con un certo distacco ignorante e superficiale. Anche oggi, in realtà,
durante l’assemblea ha in previsione di farsi largamente gli affari
propri immergendosi nella lettura di “On the road” di quel geniaccio
di Kerouac, precursore della beat generation nonché suo albeggiante
profeta. Lo affascina in modo portentoso il fatto che il grande Jack abbia
scritto quel capolavoro su un rotolo di carta, in sole tre settimane.
E poi quel suo linguaggio rancido che fa a brandelli le solite regole
grammaticali e sintattiche. Finalmente qualcosa di nuovo e di più
libero. Un tipo tosto, maledetto e morto prematuramente di cirrosi, emarginato
in una guglia della controcultura americana, ha letto Giulian su wikipedia.
Probabilmente, quindi, leggerà Kerouac e non si interesserà
al divampare dell’A porta a porta (dove non ci sarà Vespa
a moderare ma il Casini ‘de noantri’, Federico De Lorenzis)
che andrà in onda all’interno dell’aula ginnica, non
si mischierà mai a quel ceppo di figuranti che non sanno un accidente
di politica e pontificano sprezzanti frasi del tipo ‘È roba
sporca quella, i politici sono tutti ladri e ignoranti’. Non sopporta
le generalizzazioni dei finti contestatori che scendono in piazza scandendo
slogan con voce roca solo perché è di moda e perché
si saltano le lezioni sbizzarrendosi in un cazzeggiamento selvatico. Non
sopporta nemmeno le metamorfosi di certi maschietti che fino a ieri non
sapevano nemmeno chi fosse il presidente della Repubblica e che quest’oggi
manifestano, con la barba incolta e la maglia del Che, per accaparrarsi
le grazie di qualche fighetta di sinistra con la kefiah infiocchettata
al collo, l’eskimo ancora sfoderato perché è autunno,
i maglioni larghi e gli accessori rigorosamente non di marca. Le stesse
fighette poi, se le senti parlare, sprigionano odio contro l’ingerenza
delle multinazionali ma non possono fare a meno di un paio di Nokia galleggianti
nel tascone, uno con la scheda Tim e l’altro con la Omnitel nel caso
non prendesse la Tim.
Nonostante il Partigiano si infiammi per le questioni del mondo e nonostante
anche l’Amazzone, prima di diventare un’aspirapolvere in carne
ed ossa, fosse stata un’agguerrita sindacalista, i due figli fino
ad oggi sono cresciuti distanti da ogni ardore politico.
Jena si alza. “È giunta l’ora” afferma con l’angoscia
di un soldato americano in partenza per la guerra del Golfo.
3.
I due si
dirigono verso l’entrata al minimo dei giri e prima di varcare la
soglia del pluridecorato vengono affiancati da Roberto Armucci, un amico
‘triangolare’.
Nel gergo di Jena, l’amico triangolare è quel personaggio
con cui non si ha la confidenza per trattare temi di una certa profondità
ma nello stesso tempo si ha una conoscenza tale che salutarlo fugacemente
sarebbe troppo poco, quasi un gesto di snobismo. Il problema è
che dopo il canonico ‘ciao, come stai?’ gli argomenti sono già
quasi terminati. Ergo non resta che disquisire su concetti di una epidermica
quotidianità, ovvero esternare invettive contro i prof e condividere
il travaglio pre-interrogazione.
“Che materie avete oggi?” si informa l’Armucci che non
vuole saperne di volatilizzarsi.
“C’abbiamo la Medusa che ci fa il culo!” ribatte Giulian
scoglionato.
“Speriamo che non me l’appioppino il prossimo anno…”
riflette inquietato.
“Lo spero per te” interviene Jena secco.
Gli argomenti sono esauriti e il bivio all’ingresso li sta per dividere
ma l’Armucci non demorde, vuole protrarre questa futile interazione.
Così sfodera il terzo lato del triangolo, l’amico in comune.
Quello grazie al quale ci si è conosciuti. In questo caso il terzo
lato è Davide Scarpellini, nonché storico vicino di casa
di Giulian. Nei pomeriggi primaverili Giulian e Davide si ritrovavano
a giocare a pallone nel campo sotto casa insieme alla tribù protozoica
di via Don Minzoni. Al termine delle fatiche sportive si andava tutti,
fetidi, nel soggiorno di Davide a trangugiare the freddo con le gocciole
del Mulino Bianco e a spararsi film porno, scaricati dal padre, che narravano
le campagne in terra Ceca dell’esimio Rocco Siffredi. Lo Scarpellini
spesso si portava appresso un suo cugino basso e fetente, ovvero il qui
presente Roberto Armucci.
In questo preciso istante, al tramonto di un funesto duemilaotto, tale
amico triangolare appare azzimato e si dice sia fregiato di ottimi voti
nel suo secondo anno ginnasiale. Durante quei pomeriggi primaverili di
scuola media, però, nonostante fosse il più girino della
covata, di fronte alle mirabolanti tope Ceche, aveva una fotta da far
impallidire anche i ragazzi più grandi.
Giulian ricorda in modo indelebile quella bocca che sbavava come il cane
di Pavlov di fronte al cibo.
L’Armucci si informa con l’amico d’infanzia se per caso
lo vede ancora quel deboscia del suo cugino. Lui con un tono asettico
risponde che da un paio d’anni ci si è persi e si frequentano
compagnie diverse. L’amico triangolare ostenta un dispiacere inappropriato
e gli confida che purtroppo Davide si è infognato con una tribù
di sbandati.
“Che bei pomeriggi abbiamo passato a giocare a pallone!” decanta
nostalgico l’Armucci.
“Eh già!” sospira Giulian che vira verso sinistra pronto
a salutare l’amico triangolare.
Non ha tanta voglia di rivangare i tempi delle medie, soprattutto stamattina
che c’ha altri pensieri in testa e non gli fa bene per niente ripensare
al passato. Magari un sera di queste, quando sarà in pace con se
stesso, ci si potrà incontrare al Gallery e davanti a un birra
bionda alla spina si riesumerà il passato e le campagne Ceche dell’esimio
Rocco. Ma ora proprio no, il passato gli parla solo di Luna. E Luna non
c’è più. Troppo banale dire che si è eclissata.
Ha semplicemente deciso di fare finta che lui non esista.
E la faccia compassata di tale personaggio gli ricorda prepotentemente
anche lei, visto che in quei pomeriggi la Piccola Indiana, amante del
pallone, partecipava insieme all’Armucci alle sfide calcistiche di
via Manzoni, astenendosi però dalle successive visioni vietate
ai minori.
Jena capisce il disagio di Giulian e il pericolo che sta correndo il pulcino
ginnasiale.
Quindi, prima che l’Armucci proferisca nuovamente verbo e magari
rigurgiti frasi fuori luogo del tipo ‘Vedo sempre Luna nell’ora
di ginnastica’ oppure, ancora peggio, ‘Te e Luna non stavate
insieme? Non vi vedo più nemmeno parlare’, quel cranio rasato
saluta con uno sbrigativo “Ciao, la Medusa ci aspetta” e salva
l’amico triangolare da un inutile spargimento di invettive e di sangue.
Giulian dal canto suo regala a Jena un’espressione di riconoscenza.
È ancora piuttosto suscettibile quando si nomina quella certa ragazza,
anche se da qualche settimana cerca di non parlarne e millanta appena
può una serenità interiore in stile santone new age.
I due amigos appaiati si avviano silenziosi e solenni verso le scale.
Giulian è attirato dal suono distorto di un altoparlante. Si blocca
di colpo, si guarda intorno cercando di carpire l’origine di quel
suono e intravede dalla porta semichiusa della palestra un fermento innaturale.
“Vado a vedere che cosa stanno combinando…”.
“Io fuggo in classe... Devo ripassare… Non mi ricordo niente”
farfuglia Jena nuovamente in preda a vuoti di memoria.
“Che razzo ti serve ripassare adesso?”.
“Mi sento più sicuro così”.
Giulian si pianta di fronte allo stempiato bidello Franco, reliquia e
senatore del pluridecorato, che, seduto come uno scrutinatore dietro a
una cattedra, è alle prese con la spellatura di una mela. Il coltellino
svizzero porta via, oltre la buccia, anche metà della polpa.
“Cosa succede là dentro, capo?”.
“Fanno del casino” risponde Franco intento ad addentare ciò
che rimane del frutto.
Sembra quasi scocciato che gli si rivolga la parola in un momento così
importante e decisivo della sua mattinata.
“Se ti vede Brunetta che mangi la mela nell’orario di lavoro…”
lo provoca Giulian che intanto si introduce nella roccaforte delle virtù
ginniche.
“Che si faccia inchiappettare Brunetta” si accalora Franco baldanzoso
e intoccabile come Kevin Kostner.
In palestra lo sorprende un’aria nuova, quasi da golpe.
Al centro del parquet Alessandro Pruni, sinistrorso contestatore di seconda
liceo, è intento a srotolare uno striscione. Il suo profeta è
Gramsci, il suo mito è il subcomandante Marcos, con cui condivide
il cappellino. Da quando è salito al potere Berlusconi, Marcos
ha trovato il nemico tanto atteso e ha deciso di ridiscendere dalle montagne
del Chiapas e riprendere la lotta. Non più da clandestino ma da
persona libera. Ha imbastito una lista studentesca rastrellando tra i
giovani e agguerriti sinistroidi del pluridecorato e le ha dato il nome
di ‘Izquierda Unida’, in onore della coalizione politica spagnola
della sinistra radicale.
È un tipo imponente, più pingue che muscoloso. Indossa una
felpa nera dei Ramones, ha un chiodo piantato sulla lingua e uno sull’arcata
sopracciliare.
(...)
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