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dalla
Prefazione di Francesca Boari
Ho
letto il romanzo, opera prima, di Ignazio Grumara, nome darte, con
sincero interesse e intensa partecipazione.
Premesso che la ricerca disperata e disperante dell'altra parte di noi
spesso ci tiene in bilico tra salute e malattia e ci illude nella speranza,
illusione di un senso, si può già anticipare che il protagonista
di questa storia sembra sempre di una lucidità allarmante, caratterizzato
da una profonda conoscenza di sé, sia per quanto concerne i pregi
sia i difetti. Una lucidità e una sicurezza che si traducono anche
in uno stile letterario perfettamente controllato e preciso. Un modo di
narrare sicuramente classico ma altrettanto efficace ed idoneo ad avvicinare
il lettore al soggetto narrante, Giorgio.
Talvolta viene da pensare agli alter ego di Woody Allen, queste figure
che almeno all'apparenza sembrano raccogliere tutto quello che noi non
siamo e vorremmo disperatamente essere.
Alla dipartita del padre un uomo sente di dovere entrare in un passato,
neppure troppo remoto e solo apparentemente velato, chiuso nel famoso
cassetto in cui ognuno di noi vorrebbe nascondere per sempre, in modo
quasi risolutorio, la propria intimità.
Ecco quindi il protagonista della vicenda immergersi nei fogli che raccolgono
le vicende iniziate cinque anni prima per evitare, da una parte, la rielaborazione
di un lutto forse troppo doloroso, dall'altra, per cercare di rimettere
ordine e recuperare quella vitalità che ogni scomparsa di chi si
ama mette a rischio.
E' questo l'esordio di "Lettere sotto la pelle". Cinquantadue
anni, "barba mazziniana orgogliosamente portata da quasi trent'anni",
scapolo, primario medico da quasi tredici, in attesa della pensione, senza
più motivazioni rispetto alla vita ospedaliera e con uno sguardo
piuttosto cinico sugli altri e sul mondo.
Convinto di avere raggiunto una discreta stabilità nelle scelte
esistenziali e sentendo sempre viva la propria sessualità, non
rinuncia a destinare l'autenticità a quanto se lo merita davvero
nell'infinita sfera delle nostre possibilità: l'amore per l'arte,
dunque, la letteratura, la musica, i viaggi, sempre cornici di avventure
sentimentali forti e movimentate.
E' così che ci si trova ad attraversare la parte più passionale
della sua vita, la più recente, almeno, attraverso la lettura di
lettere e appunti scritti talvolta con frenesia, urgenza, in modo quasi
compulsivo e non sempre inviati a destinazione. E non solo, non mancano
diverse occasioni di approfondimento che chiariscono al lettore la vera
natura del protagonista, che sembra togliersi delicatamente un velo alla
volta fino a dipingersi in tutta la sua assoluta autenticità: come
affronta le relazioni con il mondo, come si senta sempre incluso in un
disegno universale, pur rimarcando ogni volta la propria individualità,
originalità, e in certi momenti volutamente estraniandosi per trovare
conforto nelle sue ossessioni e personalissime peculiarità caratteriali.
Un uomo capace di comprendere, attraverso l'arte della dissimulazione,
la più efficace arma di cui disponiamo, e l'ironia, le proprie
discese che non necessariamente vanno lette come cadute. Anzi, direi addirittura
sorprendente la capacità, dopo una rabbia che si consuma prevalentemente
attraverso l'uso della parola, sempre arricchita e sorretta dalla cultura
che Giorgio ostenta, mai senza una giusta dose di orgoglio, di rimettersi
in gioco magari seguendo sempre la stessa modalità, come se l'esperienza
precedente non gli avesse insegnato le difese. E a proposito di ciò,
viene quasi da dire che le difese Giorgio probabilmente le fugge, perché
ama vivere comunque ogni situazione senza riserve, dai rapporti affettivi
a quelli passionali, all'impegno nel lavoro e all'interesse spontaneo
per la letteratura e la politica ( nel senso etimologico del termine).
Perché quello che più sembra premergli è "condurre
quel tipo di bella vita, persuaso che non si debba rimandare a domani
ciò che si può godere oggi".
La capacità di accettare, e direi quasi rimuovere i fallimenti
sentimentali gli viene di continuo restituita, in questo onesto viaggio,
proprio dalla sincerità di uno specchio in cui tutto sembra mostrarsi
senza pudore: coraggio e debolezza allo stesso tempo, virilità
e ingenuità, razionalità e passionalità.
Del resto, quello che muove Giorgio, che ispira le sue azioni nel quotidiano,
non può non scontrarsi di continuo con la realtà dell'altro,
specie quando è compromesso dalla componente razionale sempre pronta
a vigilare e spesso ad interrompere processi complicati e problematici
quando rischiano di schiacciarci.
Il cuore di Giorgio è un cuore che si lascia facilmente trafiggere,
fino a quando il siero dell'innamoramento non viene filtrato, miscelato
dall'uso della parola, spesso anche colta, elaborata, supportata da una
cultura profonda, comunicativa e sempre nel luogo e nel momento giusto,
che avendo come pretesa quella di circoscrivere il reale dentro il possibile
e il realizzabile, finisce con il riportare il protagonista a se stesso
e, quindi, ad una maggiore accettazione dell'inevitabile, non prima di
avere riposto nel possibile tutto se stesso e la sua incredibile capacità
di immaginare le relazioni, piuttosto che viverle.
Un "gentiluomo d'altri tempi", insomma, capace di trasmettere
in chi lo incrocia una nuova vitalità, quella stessa vitalità
che Giorgio cerca per se stesso attraverso una profondità spirituale
ed una ricchezza culturale che si lasciano dolcemente condurre in "turbinio
di sensazioni eccitanti" e contagiose anche per il lettore più
passivo e distaccato.
Lo stesso uomo che non esita a mostrare tutta la propria fragilità
emotiva quando si sentirà messo alle strette con l'orgoglio calpestato
dall'indecisione di chi ama con tutto il trasporto possibile. Ed è
proprio a questo punto della scrittura che percepiamo il ruolo della lettera
come strumento terapeutico, catartico, liberatorio. Dalle lettere, infatti,
emerge tutta la problematicità di Giorgio, il bisogno che diviene
quasi urgenza di una condivisione piena del suo vissuto, dei suoi successi,
fallimenti, rapporti sempre strategicamente interrotti. A volte, sembrerebbe
trattarsi quasi di una richiesta di aiuto, se non fosse che a rispondere
e ad arrivare in soccorso è quasi sempre lo stesso Giorgio, e ciò
proprio quando dall'altra parte sembra ritornare solo il silenzio, l'incomprensione
e nella peggiore delle ipotesi un semplice egoismo.
Si potrebbe aggiungere che Giorgio scrive a se stesso, perché da
sempre ha deciso che per arrivare dove si crede sia necessaria una determinazione
che mette tra parentesi il resto del mondo. Un mondo che Giorgio abita
certo in prima persona, credendo di poterne restare ai margini senza subirne
gli inganni e qualche volta creando lui stesso le trappole entro le quali
cadere per capire se sia poi possibile risalire. E il finale non lascia
spazio al dubbio rispetto a quanto la lettura di queste lettere abbia
smosso in lui. Non ci si trova dinnanzi ad una irreparabile nostalgia,
e nemmeno davanti a delusioni impreviste o imprevedibili. Semplicemente
ad un uomo, in tutta la sua completezza, pur sempre solo accompagnato
dal ricordo di quanto è rimasto irrimediabilmente insoluto, che
progetta, progetta ancora. Quasi a dire che la vita è sempre speranza
e che la capacità di riempirla dei nostri sogni migliori, al di
là del fatto che possano essere più o meno realizzabili,
sembra essere l'unica possibilità di senso. E peraltro non
poca cosa, se ci si ferma a pensare con attenzione a quante attese proiettate
su situazioni reali rischino di portarci al naufragio.
E questo un romanzo incalzante, vivido, intenso, scritto in modo
chiaro e incisivo, in cui il lettore si lascia volentieri trascinare senza
opporre resistenza, riconoscendo nelle ossessioni, paure, passioni del
protagonista, nel suo ostinato e poetico attaccamento alla vita, al di
là del bene e del male, le proprie, riuscendo quindi alla fine
a trarne giovamento. Come una sorta di scrittura liberatoria, in un viaggio
dentro una verità molto umana, troppo umana per non essere universalmente
recepita.
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