i quaderni di Cico
 
 

 

 

ordinalo senza spese di spedizione

 

titolo: "Il rumore di una lacrima -
Le inusuali indagini dell'educatore Leonida
"

collana
i quaderni di Cico
autore Lucio Figini
ISBN 978-88-99021-49-8
€ 12,00 - pp.195 - © 2016 - in copertina, fotografia di Paolo Filighera.


Ci sono cose che sappiamo, già da prima che accadano. Si sono nascoste nell'ombra per anni, seguendo i nostri passi, mentre noi facevamo finta di nulla. Hanno avuto tutto il tempo di conoscerci a fondo, prima di scegliere il momento giusto per attaccare i nostri punti deboli e farci davvero male. Così, quando quelle cose si manifestano, ci prendiamo tutta la loro strafottenza in faccia, chiedendoci come poteva essere evitata.

 

 
 
Social thriller ambientato a
Sestri Levante dall'autore
finalista a Sanremo Writhers
 
 


Brano tratto da:
"Il rumore di una lacrima - Le inusuali indagini dell'educatore Leonida":

Prologo

Ciò che mi affascina ha sempre avuto
poco a che fare con la superficie.

________________________________________________________

XXIII
Venerdì 12 febbraio 2016


Leonida non è un nome, ma una responsabilità. Soprattutto per chi sopravvive in un’epoca dove le lance non risplendono sui campi da battaglia, alla luce folgorante del sole. Allora non resta che puntare gli occhi verso se stessi e mantenere lo sguardo, per scoprire che spesso ciò che ci è ignoto è visibile solo a chi ci sta accanto. A volte, invece, si cela così in profondità da essere sconosciuto. Ed è un bene, perché, se svegliato, potrebbe avere la meglio.

Sestri Levante. Baia del Silenzio. 3:35 del mattino.
È la prima volta che ho in mano una pistola. Piccola. Pesante. Fredda. Un’automatica, perché non ha il tamburo, questo lo vedo, ed è molto vecchia, l’impugnatura è logora, la canna lunga. Leggo la scritta P38 sul fianco. Sopra al grilletto, un po’ arretrata, c’è una levetta, la alzo e il rumore secco mi fa pensare di aver sbloccato la sicura. Almeno, così credo, perché le armi da fuoco non sono mai state il mio hobby preferito.
Potrei chiedere a lui, dopotutto l’arma era del suo amico, ma gli ho fissato lo scotch da pacchi sulle labbra e mi devo accontentare di quel poco che so sulle armi da fuoco.
L’ho legato alla Statua del Pescatore. Ha smesso da circa mezz’ora di tentare di liberarsi o di urlare.
Osservo le luci che partono da me per allungarsi, a corona, per tutta la Baia, sino alla strada per il convento dei frati, un serpente giallo che scivola sulla collina. C’è una panchina, a metà percorso, dalla quale si gode la vista sul golfo. Da lì parte un sentiero impervio, sino a un’ansa rocciosa sul mare. Ci ho portato meno donne di quanto avrei voluto.

Alla mia destra c’è il complesso dell’Annunziata, dietro le mie spalle il Portobello, di fronte, la chiesa francescana, sempre illuminata e, appena sopra, le luci del “Vis à Vis”.
Non ci sono molte barche stanotte, l’acqua è una tavola e la brezza appena accennata. Ho freddo, nonostante sia riparato. Lui deve essere semicongelato e questo un po’ mi spiace. Il freddo diminuisce la percezione del dolore. Non sanguina troppo e questo, invece, mi fa piacere, perché non vorrei sporcare il mare.
Osservo ancora la pistola e mi vengono alla mente vecchie pellicole di Indiana Jones. Sembra un pezzo da museo della Seconda Guerra Mondiale. Ma poco importa, basta che funzioni.
Guardo il cielo. Niente luna, solo un planetario sulla testa e un assedio di costellazioni che entrano negl’occhi e nel cuore. Da ragazzino le avevo imparate a memoria, ora riconosco solo l’Orsa Maggiore e Cassiopea, per la W. Anche la figlia della principessa, Andromeda, aspettava la morte sugli scogli per una colpa non sua. Ma questa cosa è diversa. Lui è colpevole. Non ha scusanti.
E neppure io.
Il tempo a disposizione non è molto. Sono al buio, seduto su una roccia, a pochi metri dalla barca di Mario, il pescatore più vecchio della Baia, con una cartina topografica al posto della faccia. La statua è illuminata e basterebbe che qualcuno si affacciasse dalla finestra, per accorgersi che qualcosa non torna. Tra pochi mesi la Baia si colmerà di gente, ma per ora è deserta.
Un uomo legato a una statua, il culo sullo scoglio, schiena a schiena, carne a bronzo, le mani incrociate sul petto e la testa leggermente inarcata all’indietro, con un grosso nastro che lega collo a collo, fino a raggiungere la bocca.
Solo pochi anni fa, la statua di grandezza naturale, sugli scoglietti del lato ovest della spiaggia, non esisteva. Io su questa spiaggia ci ho fatto l’infanzia e i pescatori non erano nudi e tanto meno muscolosi, ma mangiati dal vento e dal mare, con la faccia segnata dalla salsedine e le mani rugose. Ma i tempi cambiano e a questo bronzo, che ricorda un dio greco e che ora fa da sedia a questo stronzo, mi ci sono abituato e la Baia, senza, non sarebbe più la stessa. Ci si abitua davvero a tutto.
Ma sto temporeggiando.
- Scusa la poca ospitalità, ma almeno il panorama merita. No?
Bofonchia.
- Dimenticavo, non puoi parlare. Aspetta un attimo.
Appoggio la pistola su uno scoglio e mi avvicino. Spero che la poca risacca non me la porti via, ma non accadrà, perché il mare è l’unico amico che mi è rimasto.
Non è stato facile portarlo qui. Con la coda dell’occhio spio la BMW parcheggiata male e sento nelle ossa tutto il peso del suo corpo inerte, trascinato per una ventina di metri e scogli. Mi chiedo come possa sembrarmi naturale una situazione che, fino a tredici giorni fa, mi sarebbe sembrata impossibile.
E, invece, alla fine niente è impossibile. Basta fare ciò che nessuno si aspetta da te. Einstein direbbe che un qualcosa è impossibile finché non arriva un tizio che non lo sa e la fa, o almeno così mi sembra di aver letto da qualche parte.
Gli strappo il nastro adesivo dalla bocca e lui inizia a tossire. Aspetto una manciata di secondi, ma non smette.
- Se non hai nulla da dire… - e mi riavvicino per serrargli ancora le labbra.
- Asp… Aspetta.
L’acqua mi supera di poco le caviglie. Fredda, nera, disinteressata. Le sue guance, alla luce del faro che illumina il Pescatore, si tingono di rosso. Sorrido, non perché ne abbia voglia, ma perché vederlo così mi fa ridere.
- Fermati Leonida… C… Cosa stai facendo? C… Cosa vuoi? - chiede.
Mi avvicino.
- Farti una domanda.
Vomita, ma essendo legato, il vomito gli rimane in gola e per poco non mi soffoca davanti.
- Lib… Liberami, ne parliamo. A… Aiuto…
Gli tappo bocca e naso con la mano per un minuto buono.
- Sicuro di voler urlare?
Tenta di liberarsi, spinge, trema. Poi muove la testa e capisco che è no la risposta. Lo lascio e mi lavo le mani nel mare. Le avvicino al naso. Sanno di pesce, di vomito e di stronzo.
- C… Cosa vuoi? - chiede.
Gli mostro le spalle e raggiungo la pistola, come se per un istante non mi fidassi più del mare. Ma il mare è indifferente alle questioni degli uomini. La prendo in mano e la punto nella sua direzione.
- Perché? - gli chiedo.
Tossisce.
- Non… Non so di cosa parli. Tu mi conosci, Leonida. Ma cosa ti… Ti passa per la testa?
Mi avvicino.
- Io non ti conosco veramente. Per esempio, non sapevo avessi amici pericolosi - giocherello con la pistola.
- Ma che dici?
Con la mano libera lo soffoco, ancora.
- Tu sei qui per rispondere a una sola domanda: perché?
Abbassa lo sguardo, per quel che riesce.
Il mare fa silenzio, l’aria, le stelle, la Baia stessa.
- Puoi anche smetterla di raccontarmi stronzate - concludo - l’ho trovata.
Chiude gli occhi per una frazione di secondi, prima di iniziare.
- Ti appenderò al canestro di quella tua comunità di merda con le palle. Sei... - sputa sangue nella mia direzione - un gran figlio di puttana. Solo uno psicotico, gran figlio di puttana.
Non rispondo, perché lo spettacolo è appena cominciato. Finalmente ha capito che non ha alcuna possibilità di convincermi.
- Tu non sai un cazzo - continua. - Goditi il momento, tanto non avrai mai il coraggio di ammazzare qualcuno. Depresso di merda. Lui ti troverà e poi troverà i pochi amici che ancora ti rimangono e…
- Può essere - rispondo più a me stesso.
È un’altra persona, non colui che conoscevo. E questo mi regala un respiro di sollievo.
Non lo faccio apposta, ma il mio ginocchio cade in mezzo alle sue cosce e lui smette di parlare. Per un po’ almeno.
- Rispondi. Perché forse non avrò il coraggio di ucciderti, ma possiamo far mattina a calci nelle palle.
Respira profondamente.
- Perché mi andava, contento?
Sentirlo a voce alta fa male.
- Potrei dirti che c’è un motivo particolare - continua - o che è successo per caso, ma non è così.
Mi inginocchio nell’acqua, di fronte a lui.
- Allora perché? Perché? - ripeto come un martello pneumatico, anche se non è una risposta quella che voglio. Perché non ci sono risposte.
- Perché mi andava. Tutto qui, non ci sono altri motivi - tossisce - non ho avuto un’infanzia di merda o stronzate simili. Nessun trauma affettivo, a differenza di te.
Riprendo la pistola.
- Ma non preoccuparti - conclude - non credo che importi a nessuno.
- Importa a me - rispondo a mezza voce.
- Ma tu sei pazzo, lo sanno tutti - incalza.
Non devo neppure alzarmi. Allungo un braccio e sferro un pugno nel mio posto preferito.
Si chiuderebbe a riccio, ma, così legato, può solo urlare. Un paio di luci si accendono alle mie spalle, una finestra s’illumina.
- Pr… Prendi un paio di pastiglie e … E fottiti lontano da qui… Non sei in grado di fare niente… Perché tu sei un niente… - riesce ancora a dire.
Sento la sua voce e un rumore che echeggia nella Baia non più silenziosa, ma è solo litania per le mie orecchie. Forse è stato un errore smettere di prendere gli antidepressivi. O forse no. Ma tutte le mie scelte mi hanno portato laddove voglio essere.
La sua pistola. Le mie mani. La sua arroganza.
Non mi sono mai sentito tanto libero e tanto stanco.
- Su una cosa hai ragione. Devo fare qualcosa - rispondo più a me stesso.
Mi alzo e mi avvicino a lui. Impugno la pistola con forza. La punto sulla sua testa, poi verso il cielo e, infine, me la metto in bocca.
Poi ripeto i movimenti in modo meccanico più e più volte.
Una semplice scelta: sparargli in faccia, sparare alle stelle e raccontare tutto alla Polizia o spararmi in testa.
Una semplice scelta.

Click.

(...)

 

 

leggi l'intervista a tutto campo di Giuseppe Iannozzi a Lucio Figini

 
 

___________________________________

 

Lucio Figini è nato nel 1971. Lavora da vent'anni in ambito psichiatrico.
Ha pubblicato: "Essere sotto le parole", (poesie giovanili, Montedit, 2001), "Autobiografia di uno sconosciuto", (romanzo, Arduino Sacco Editore, 2009), "La fiaba della Buonanotte" (romanzo breve, Giallomania, 2013 e Youcanprint, 2014).
Per Cicorivolta, ha pubblicato la trilogia: "La discendenza dell'acqua" (2011), "Sopravvivere a un angelo" (2012), "Ariel (delitto a Sestri Levante)" (2013) e i romanzi "FolleMente" (2014), "Michelangelo il giostraio (e le donne)" (2015),"Il rumore di una lacrima (Le inusuali indagini dell'educatore Leonida)" (2016).

I suoi romanzi non seguono un genere specifico, ma in essi si raccolgono, contaminandosi, generi quali noir, giallo psicologico, mistery, fantasy, amore.


lucioesse@yahoo.it
luciofigini.blogspot.it
www.facebook.com/lucio.figiniautore
twitter.com/LucioFigini