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Francesca Del Moro Gabbiani ipotetici recensione a cura di Enzo Campi dal blog il giardino dei poeti La scrittura di Gabbiani ipotetici è piena, diretta, immediata, facilmente comprensibile, mette in scena un concetto, una situazione, uno specifico accadimento, un disagio. Insomma, così come ha scritto Giacomo Cerrai in una recensione: è priva di trabocchetti metaforici, di roba da decifrare. Molto semplicemente: Dice quel che deve dire. Francesca
Del Moro Questa scrittura se da un lato potrebbe risultare ultima e definitiva vuoi solo per il carattere perentorio che pervade ed avvolge i testi, e forse anche escatologica, cioè rivolta alle cose ultime e a una loro eventuale prosecuzione (per quanto idealizzata), dallaltro lato è invece rivolta alle cose prime, o meglio primarie: lamore, quello perduto, quello cercato, quello ottenuto, quello mancato, e poi il sesso, la famiglia o le famiglie, sia quelle anagrafiche, sia quelle acquisite o quelle cosiddette ideologiche, e ancora il cibo, lalcol, la droga, la religione non intesa in senso lato e con un approccio generalistico, ma, per così dire, fraintesa e messa in discussione nel rapporto diretto e personale con dio, un rapporto che le consente di interrogare quel dio e di pretendere delle risposte, e non è finito: ci sono lindignazione e le rivendicazioni sociali, la politica, la guerra (si vedano le poesie Avvento ninna nanna di Hiroshima e Kim Phuc), i miti letterari e musicali, insomma: la vita e in ultima istanza la morte (una sola citazione a titolo desempio: Forse la verità è che solo così / la vita trova il suo senso / e glielo dà la parola fine). Tutto questo passando attraverso precisi riferimenti al suicidio e soprattutto passando attraverso la parola più ricorrente nellintera opera: il sangue. Sì la parola sangue mi sono soffermato a contare quante volte questa parola appare nei testi: 24 volte. Si potrebbe parlare di una catena patemica o, se mi concedete lacrobazia, di un patema danimo, di unossessione, o meglio ancora, analizzando i contesti che questa parola va di volta in volta a caratterizzare e a significare, di una sorta di fluido necessario al compimento di un atto, alla sua risoluzione in termini di ultimità, proprio perché associata, di volta in volta, per esempio: al suicidio, ad un pestaggio, allo scoppio di una bomba, e via dicendo. Salta subito agli occhi che non si tratta di una casualità, ma che è una scelta lucida e premeditata. Anche laddove non viene scritta letteralmente, esiste sotto forma di metafora o resta comunque sottintesa nel testo, come ad esempio nelle frasi mi taglio le vene o una bambina nuda, ustionata, ferita, eterno simbolo. Senza considerare la poesia titolata Guerra dove la parola sangue, se non espressamente scritta, è sottintesa in almeno 5 dei periodi che la compongono. Ma naturalmente non cè solo il sangue. Abbiamo accennato ad una poesia diretta, immediata, quasi priva di metafore. Come per esempio Aborto che qui vi vado a riportare: Il dubbio lattesa / langoscia la paura / la speranza il diniego / la scoperta lo stupore / la paura le parole / le parole le lacrime / le grida il dubbio / lanalisi i pro e i contro / la previsione il confronto / il rovello le parole / la decisione le lacrime / il rimpianto le visite / la prenotazione il rimorso / langoscia la paura / il dubbio lattesa. // Tutto questo / in un attimo / è sparito / nei loro occhi / pieni di disprezzo / e il cestino del pattume / in mezzo alle gambe / ha fatto il resto. Cosa accade qui? Ad una prima parte analitico-patologica segue una seconda parte socio-esistenziale e solo apparentemente risolutiva. Ma non è tutto, la prima parte, quella elencativa, comincia e finisce con le stesse quattro parole: dubbio, attesa, angoscia, paura. Come a dire che nonostante tutto liter delle somatizzazioni psico-esistenziali, alla fine ci si ritrova sempre al punto di partenza le sensazioni, le emozioni, le preoccupazioni sono sempre le stesse. E questo vale per tutti i temi trattati, si potrebbe dire, bistrattati in questopera, questo vale per lamore, per i fallimenti, per la rabbia e per lindignazione, per i rimpianti, insomma per tutte le cose che appartengono alla vita, che caratterizzano e segnano la vita, quella vita da rincorrere e in cui rincorrersi, come espressamente dichiarato dallautrice in diversi e svariati passaggi. A solo titolo doccorrenza: La mia famiglia / è questa gente / che incontro / con cui scambio / occhiate parole / conoscenza / e a volte sesso / e a volte amore / e aiuto se ce nè bisogno / e comunque e sempre / vita. Cè poi unaltra poesia in tal senso emblematica, Il referto, di cui vado a riportare le ultime due strofe: E adesso / te ne rendi conto / che sei una macchina, / nientaltro, / una combinazione di cellule / e organi e tessuti, / un congegno, / per quanto tu dia importanza / a ciò che chiami anima, pensiero, / già funzioni male, / a che ti servono lanima, / il pensiero, il senso della vita, / ti romperai, ecco tutto. // Tra poco sposterai / i tuoi obiettivi: / niente più amore, carriera, / amici, sogni, passioni, / figli, filosofia, ma solo / la manutenzione infinita, / i mille piccoli e grandi interventi / che consentano alla macchina di funzionare ancora, / di continuare caparbiamente / a svolgere quellattività indispensabile / che noi chiamiamo vita. Da questi presupposti diventa inevitabile arrivare fino al completamento della vita, ovvero alla morte, una morte che attraversa tutta lopera, quasi come se volesse accompagnarsi a braccetto e viaggiare di pari passo col sangue. Abbiamo diverse tipologie di morte, per così dire, al lavoro, quelle conseguenti ad atti cruenti e rivestite di un carattere sociale, quelle per così dire idealizzate (come ad esempio quando scrive: io accarezzo il progetto / di diventare unica per te / morendo, e ancora, in un altro testo: appena ho un momento libero / finalmente una buona volta / quasi quasi io mi uccido) e quelle direttamente riferite allospite che vive tra le righe, ovvero a quella presenza che attraversa numerose parti dellopera e che porta un nome e un cognome. Qui la morte è reale, vissuta quasi sulla propria pelle. Sono le poesie dedicate allamico Massimiliano che avrebbero potuto essere riunite anche in unapposita sezione, ma Francesca Del Moro ha inteso disseminarle lungo tutto larco dellopera, come per conclamare questa presenza continua, una presenza sì fantasmatica ma per lei, per lautrice, reale e concreta. Detto questo, per concludere, vorrei riportare una dichiarazione che lautrice ha rilasciato in unintervista realizzata da Alessandro Brusa. Alla domanda: Chi sono questi gabbiani ipotetici?, Francesca Del Moro risponde testualmente: Sono i gabbiani di cui parla Gaber in Qualcuno era comunista. La nostra natura più autentica, che ci portiamo dentro mentre ci trasciniamo dalla nostra casa al posto di lavoro e poi ancora a casa, mentre ci rendiamo presentabili ed eseguiamo i riti che abbiamo assimilato più o meno consapevolmente. Il gabbiano è quella parte di noi che, anche se siamo bloccati a terra, continua ad aprire le ali con lintenzione di volare. Quello che io cerco di mettere a fuoco in questa raccolta è il quotidiano conflitto, doloroso ma ancora fonte di speranza, tra queste nostre due nature.
Bisogna
scrivere un romanzo Però
ho imitato, o meglio ci ho provato, Quindi non ti incazzare. Il tuo
libro ce lho sotto mano Bisogna
scriverlo per forza, Lo so che
tu racconti e ogni
tanto ci infili anche lamore Io tanti
cazzi tutti insieme Però
per qualche ragione
Guardiamo
verso riva Non ci
vediamo Ma io non
ho visto E pensare
che eri la più bella
Guerra Quando
colpisci il tuo simile
Il
volo
Visitazione
Nel buio
umido Se
abbandoni il tuo sogno
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