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temalibero
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e di Carlo Grandini leggi anche |
titolo:
"Forbici
e veleno" Nella
Ferrara dell’ultimo dopoguerra, un negozio
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"La storia che Carlo Grandini ci racconta è ambientata in uno spazio e in un tempo che assomigliano alla nebbia di Ferrara. Un personaggio, Socrate, che riesce ancora a parlare con i suoi defunti, così come con i vivi che attraversano il suo negozio e gettano sulla sua coscienza di uomo le ansie, i segreti e i tormenti del quotidiano. Un quotidiano che sembra abitato da valori oggi in disuso, dove esiste ancora una linea netta tra il bene e il male, e soprattutto dove si sogna, si spera, si crede nel domani. Una vita che sa di buono come il cibo genuino che accompagna le serate solitarie di questo personaggio che tanto ricorda Pereira di Antonio Tabucchi". (dalla Prefazione di Francesca Boari) |
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![]() del 7 aprile 2015 __________ |
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CAPITOLO II
Ecco, alla
fine della religiosa passeggiata, l’ingresso del Famedio, cui Socrate
si avvicina con le mani un po’ sudate, estraendo da una tasca della
giacca un vecchio foglietto di carta che contiene una confessione scarabocchiata
e mai confessata, un messaggio mai diffuso se non nel rigore della solitudine
e del silenzio. “... mio egregio Napoleone, ho fatto appena le scuole medie ma andando avanti negli anni e cominciando a fare il barbiere mi è tornata sempre più in mente la notizia della tua morte il 5 maggio nella lontana isola di Sant’Elena che aveva la pretesa di seppellire la tua figura. E poi c’è stato quel poeta Manzoni che ha detto di te: fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza. Siccome mi hanno spiegato che anch’io sono un postero, ti rinnovo, come da tempo faccio, e non voglio che gli altri lo sappiano, la mia sentenza: sì, la tua, pure in mezzo a disastri, morti e feriti, fu vera gloria. Perché piccolo come eri, mi pare, hai vissuto a fatto vivere alla grande chi credeva nei tuoi progetti e nei tuoi sogni. Poi hai fatto morire e sei morto anche tu, pagando quello che forse dovevi pagare. Ma resta in me la passione per una tua epoca che io purtroppo posso soltanto cercare di immaginare, certo sbagliando tante cose. Però oggi, vedi, il mondo dice di essere più in pace che allora: non è mica vero. Solo che spesso si fanno la guerra, e ci rimette specialmente chi non se ne accorge, una massa di vigliacchi senza patente. E allora dico: viva te, che almeno sei stato un trascinatore con nome e cognome passato allo storia. Prima e dopo di te, quanta robetta puzzolente eppure tanto riverita. Ti saluto e riposa in pace, se dove sei te lo permettono. Ho uno scrupolo: a son màt, sono matto, dirai. E forse è vero. Ma sapevi anche tu che il mondo è sempre stato pieno di matti: matti che ammazzano, matti che rubano, matti che si rovinano come il tizio delle mie parti che ha vinto l’iradiddio al totocalcio e in un anno ha speso più di quell’iradiddio e allora è andato sul balcone e si è buttato sul marciapiede dove è rimasto fermo come un paracarro orizzontale. Sì, forse anch’io sono matto, ma non faccio del male a nessuno se il 5 maggio vengo a onorare la mia mania e la tua memoria. Se c’è un diritto alla pazzia, il mio diritto è più grande di quello di tanti altri. Quindi torno tra un anno…”. Tornerà
infatti tra un anno. Questo è il proposito che annuncia a se stesso
con un ironico “se ag sarò ancora…”. Già:
se ci sarà ancora… Perché Socrate è uno di quei
tipi di Ferrara che sanno scherzare, per inerzia d’indole, persino
sui destini di una scommessa onorando il sommesso motto di rifugio “non
si sa mai una verità da qui a lì”. Socrate potrebbe
anche morire d’infarto o di qualcos’altro persino adesso, all’uscita
del Famedio, e lui lo sa. Non ci crede, ma l’importante è
che lo sa e il saperlo gli alleggerisce la vita, la svuota dei pesi che
gravano sulle spalle di quelli che invece non conoscono l’ipotesi
del “se ag sarò ancora”, perché essa non sfiora
neppure certe loro sicurezze e tuttavia inquina, senza che se ne accorgano,
proprio queste certe loro sicurezze. È l’ammissione leggera
del poter durare fino a quando, che si contrappone al piombo di un sospetto
eventuale e mai riconosciuto. È un atto di forza che nasce da una
debolezza terminale lucidamente percepita, in contrasto con la fragile
ignoranza figlia di una incontrollabile supponenza.
(...)
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Carlo
Grandini è nato a Ferrara
nel 1938. Sposato con Maria, anch’ella ferrarese, |
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