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Brani
tratti da: "ANNI24"
(...)
19.
Come una
mascotte.
La più piccola delle due donne nel gruppo di lavoro.
Forte quella fottuta necessità di sentirsi importante e amata.
Forse più amata, che importante, in realtà.
Le quattro del mattino. I monitor accesi. Poca voglia di lavorare. Sono
in tre.
Allangolo della strada la sala giochi tira fino al mattino.
Fame da noia a partorire gorgoglii, in fondo allo stomaco.
è un attimo, uno scatto da velocisti nella testa.
Andiamoci a fare una partita a street fighter che qua non se ne
può più di preti e chiese e spose, ah?.
Lei ha il sonoro in cuffia e il suono delle manovelle da regia che manda
avanti e indietro, avanti ancora, rapidamente.
Non sente altro che quello.
La richiesta le sfugge, non risponde.
Lui le si avvicina, da qualche giorno lo fa spesso.
La abbraccia da dietro, a lei piace.
Si sente protetta, ché da un po non le capita di sentirsi
al sicuro, con i suoi primi passi da adulta e la necessità di un
lavoro per sopravvivere.
Diplomata da pochi mesi e spinta a unindipendenza immediata, per
non dover più dire grazie a nessuno, tranne che a sé.
Le bacia una guancia.
Lui ha una donna, ci convive da un po.
Qualche settimana prima alla fine del turno di lavoro, per il cambio,
lei era stata lunica a presentarsi in orario.
I ragazzi erano andati via, smaniosi di respirare laria esterna.
Lui anche.
Qualche minuto dopo il campanello, era tornato.
Un maglione dimenticato, la scusa perfetta.
Lei aveva richiuso la porta e nel voltarsi le mani e la bocca di lui,
la sua voglia, le erano già addosso.
Non laveva respinto, stretto forte, invece.
Amore, dammi amore, amore, necessito amore.
Tutto di lei sembrava chiederne.
Lui probabilmente era fuori da quelle note romantiche, attratto. Corpo&Chimica.
Istintività animale, naturale, ma talmente distante dalle favole.
Aveva ripreso il controllo improvvisamente, come colto da una illuminazione.
Forse il volto della sua compagna, ad attenderlo a casa, che fa capolino
nella mente.
Scusa. Glielaveva sussurrato tenendole il volto da ragazza
tra le mani, baciandola un attimo ancora, prima di andare via, richiudendosi
pesantemente la porta alle spalle.
Abbandono. Non meritava mai troppo amore, era così da sempre.
Lo sapeva lei, lo sentiva.
Ora, un mattoncino di certa insicurezza in più, da posare sugli
altri, cementare, con lo smarrimento e le lacrime. Lasciare ad asciugare.
Una fortezza pensò questa sensazione di impossibilità
ad essere scelta sta diventando una fortezza.
Lei sposta le cuffie, mezzo giro di sedia e li guarda.
Allo stesso modo, senza differenza di intensità, per non tradirsi,
scoprirsi.
Dicevo se stacchiamo un po e andiamo a fare un salto alla
sala giochi. Una birra, partitina, magari colazione calda, che il freddo
morde stanotte. Poi riprendiamo, vieni?.
No, resto qui, ho da consegnare domani mattina.
Ritorna a lavorare. Mezzo giro di sedia. Cuffie.
Nessun sonoro.
Il rumore della porta che si richiude. Ora sì, può tradirsi.
Una lacrima, poi unaltra.
Sullo sfondo a troneggiare sul monitor, uno scambio di anelli.
Il peso della fortezza, a spingerle sul cuore.
18.
Inizia dai
castelli della Scozia, stupendosi del blu del muro.
Non ricordava fosse così, così blu.
Il volto di Jim la fissa con sguardo immobile e viene più semplice,
in quella stasi eterna, riuscire a staccarlo in un solo colpo.
Senza rimpianto.
Ha affrontato la commissione, nessun tremore. Tutti si aspettavano il
contrario. Che vincesse la timidezza, una scena muta.
Unora e un quarto a dialogare, assemblare frasi, nuotare tra collegamenti,
divagare, invece.
Gli ultimi mesi passati rinchiusa tra quelle quattro mura, a battere sui
tasti di un vecchio pc, stampare, impaginare, illustrare.
Ha impostato tono e atteggiamento, che ovviamente, incapace di qualsiasi
finzione, non ha usato.
Maturità. Ripete la parola ad alta voce, quasi potesse contenere
una magia tra le lettere, che solo attraverso la voce funziona.
Maturità, mentre passa ad uno scatto di Giovanni Lindo Ferretti.
Cranio rasato. Magrissimo e altero come un non umano.
Alla base di tutto i compromessi, quelli inevitabili per il quieto vivere.
Ci avrebbe volentieri rinunciato, ai compromessi, lei.
Al quieto vivere no, le è necessario. Come il pane quotidiano.
Sua madre le ha concesso di avere quella stanza tutta per sé, per
un anno, un anno solo. Scolastico, non di trecentosessantacinque giorni
come ogni altro.
Un tempo limitato in cui esistere in tutta la sua pienezza, dare sfogo
alla creatività, sentirsi libera.
Sua madre in quella stanza non ci è mai entrata, rispettando la
promessa.
Ora, tutto va verso il cambiamento.
Lesame è passato, lestate scalpita, il mondo fuori
la reclama e lei dovrà tenere fede al patto.
Liberare e accartocciare il suo mondo per fare spazio ad altro. Crescere.
Da lì a breve il primo giorno di lavoro e benvenuta nel mondo degli
adulti, babe.
Cicli e ricicli. Tappe convenzionali.
Al pensiero emozione mista ad un senso di nausea a risalire, spingendo
verso lalto, per sfociare nel tumtum.
Dal cuore alle tempie, attraverso chissà quali circuiti.
Maturità. E via a strappare uno scatto di Oliviero Toscani dalla
parete. Ritagli tenuti su dal biadesivo, quello in eccesso, avanzato dalle
tavole da disegno, che ha minuziosamente preparato nelle notti insonni.
Non si direbbe che provi smarrimento e dolore.
è sempre stata brava a fingere, mantenendo unaria serena,
in netto contrasto con il tumulto dentro.
E ancora, a trascinarsi un po di intonaco, unimmagine di Cobain
su sfondo rosso. Dalla schiena spuntano un paio dali. Si ferma e
le osserva.
Forse, pensa, potrà viversi il futuro in volo.
Uno sguardo allorologio, quasi ora di cena e le resta poco tempo.
Arriverà la notte, preludio ad un giorno nuovo, di immagini e ricordi
che il camion dei netturbini porterà via, in grossi sacchi neri
poggiati allangolo del cassonetto, sotto casa.
Tutto il restosi dice si vedrà.
17.
Hanno diviso
gli spazi in fretta. Occupato gli armadi con i loro vestiti. Scelto in
quali letti dormire.
Roma è piena di sole e gli accompagnatori non hanno storto il naso
alla vista di bottiglie di vodka da discount, negli zaini dei ragazzi.
Il viaggio è stato leggero, ma solo perché lei è
stata capace di isolarsi, atteggiamento solito negli ultimi mesi, sparandosi
in cuffia musica alienante.
Prima ancora di disinfettare il bagno hanno acceso coni di incenso e rollato
una canna, accompagnando il tutto con sorsi di alcool condiviso, nella
mattina ancora assonnata.
Chissà perché in gita tutto è concesso.
Si interrompono i cicli naturali e le abitudini, sovvertite, le saluti
con un ciao a pieno palmo, così, come in una fuga premeditata dalla
normalità.
Ora stese sul letto, tre, numero perfetto, si abbandonano allozio.
Qualcuno passa e bussa forte, alla porta della stanza, per avvisare della
colazione ad attendere.
In risposta tre strafottenti sbuffi di fumo, perfettamente in sintonia,
come loro tre. Si illude.
Probabilmente hanno già organizzato tutto.
Hanno già deciso come tagliarla fuori, levarsela dai coglioni per
i giorni a venire.
Loro due sono già belle, smaliziate, entrate nel giro delle notti
brave, degli sballi, delle scopate adolescenziali.
Hanno corpi differenti, ma bene assortiti e riescono anche a scambiarsi
vestiti, ancora più intime, strette in una confidenza che lei stenta
a meritare.
Dura un attimo. Uno sguardo obliquo di complicità e una è
già fuori dal balcone, sorride.
Laltra si mette a sedere sul letto e osserva, muta.
Lei non capisce subito cosa sta accadendo. Avverte la sensazione nellaria,
mista allodore penetrante di incenso e fumo, di qualcosa che non
va.
Poi un urlo: Mi butto! Voglio morire, vita di merda, mi ammazzo!.
Laltra, sempre seduta, immobile al centro del letto, ride.
Lei, spaventata, corre verso lamica, gli occhi umidi, il fiato corto
di ansia, ché il suicidio è il suo pensiero ricorrente,
il mostro nellarmadio da anni, ormai.
Ha già perso troppe anime per poter sopportare lidea di un
nuovo lutto da elaborare.
La afferra per il polso, ma lamica con violenza si libera dalla
presa, sale in piedi sulla ringhiera e allarga le braccia. Invisibili
ali.
Lei non riesce a trattenere le lacrime. Non ha più controllo sul
terrore. Perde lucidità e si accorge di non avere la forza di restare
a guardare.
Anche questa volta rifugge dal problema, non lo affronta.
Non riesce a dare la colpa al fumo, nemmeno alla vodka, tantomeno alla
stanchezza.
Sa che è solo una questione di debolezza, è tutta chiusa
nella sua paura e non si chiede come mai laltra sia ferma ancora
lì, ancora sempre seduta, ancora sempre immobile, ancora al centro
del letto. Senza muovere un passo.
Ragiona per polaroid, lei. Le ritorna in mente quella volta in cui, durante
il concerto di fine anno, ha infilato al polso dellamica il bracciale
in oro bianco di sua madre, per buon augurio. Un gesto importante.
Se lera visto riportare indietro, con una scusa qualsiasi, che ora
stenta a ricordare. Ben più forte, invece, la certezza.
Già allora qualcosa strideva.
Quella sintonia, forse, non cera mai stata, rendersene conto la
ferisce, colpendo allo stomaco.
Gira la chiave, si barrica nel piccolo bagno e vomita.
In quel preciso istante, tra un conato e laltro, le sente ridere.
Forte.
Le immagina streghe arcigne a prendersi gioco di lei.
Quando gli spasmi si alleggeriscono, il click della serratura.
Dignità si ripete a bassa voce mantieni dignità.
Le stronze la guardano con un sorriso sghembo, fumano di nuovo e buttano
giù vodka alla pesca.
Il cono di incenso è alla fine.
Lei cammina lentamente. Apre larmadio. Raccoglie la sua roba riponendola
piano nel borsone.
Vorrebbe un risuonare di parole potenti, dalla sua bocca. Ferire. Poi
lo sguardo cade sui loro vestiti, tenuti assieme uno sullaltro,
distanti dai suoi.
Un addio, quel suo sguardo lì posato, che assorbe la verità,
così chiara ed evidente, da farla sentire cieca.
Decide allora di non averne voglia, di parole.
Lascia la stanza, per non farvi più ritorno, senza il minimo cenno
di rabbia o violenza, o.
Prima di raggiungere gli altri per colazione e chiedere agli accompagnatori
di essere spostata in unaltra camera si ferma alla cabina telefonica,
nella hall.
Sono quasi le nove del mattino.
è presto, molto presto, abitudini sovvertite.
Una voce assonnata risponde: Pronto? la bocca impastata di
sigarette e sonno.
Ciao ma, cè il sole lì? Qui tutto bene,
Roma è bellissima e io mi sto divertendo. Da morire.
(...)
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