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titolo:
"I Profumi della Vita"
collana i quaderni di Cico
autore Valerio Sailis
ISBN 978-88-95106-08-3
© settembre 2006 - prima ristampa gennaio
2007- € 13,50 - pp. 315
immagine di copertina di Philippe Luppi (www.muridipinti.it),
elaborazione grafica Fabio
Postini
Questa
è la storia di Matteo, della sua famiglia, dei suoi amici, dei
suoi amori, dei suoi luoghi e del suo errare, inteso come viaggio progressivo
di "conoscenza" fra incanto e disincanto, nella sola possibilità
quotidiana che ciascuno ha di stare, di vivere, di crescere in relazione
con gli altri e con se stesso. Un viaggio individuale e corale al medesimo
tempo,
come una spontanea e profonda riflessione sulla consistenza dell'esserci,
fatto di ricordi tutti
quanti presenti, senza accumulo né risparmio di colori, pulsioni,
dolcezze, amarezze e vitalità. Dunque, in fondo, una storia semplice,
traboccante
soprattutto di amore, incisa di sghembo dalla violenza e permeata di
gratitudine. Un romanzo
vissuto come misura e significato profondo della vita, in cui l'amore
fraterno, quello materno, quello filiale, quello sessuale, non sono
altro che il cortile, la strada, l'edificio, la struttura, la casa,
la collina, il castello diroccato e l'albero secolare che il protagonista
(e forse non solo lui) per sempre si porterà nel cuore.
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(tratto
dal capitolo 6)
Scendo dal treno, vedo Filippo da lontano che è venuto a prendermi
in stazione. La paura di affrontarlo mi fa tremare le gambe, me la si
legge in faccia, sembro un cane bastonato. Filippo se ne accorge e mi
domanda cosho.
Niente! rispondo.
Per tutto il tragitto da Termini a Trastevere non apro bocca. Arriviamo
davanti al portone, scendo dalla moto, entro in casa e salgo le scale
come una furia. Saluto mia madre di sfuggita e poi...
Mamma, Filippo, ho bisogno di parlarvi!
Inizio a raccontare:
... ho provato a scuotermi, ma non succedeva niente! Mi sono anche
sforzato di provare rabbia, ma non cè stato niente da fare!
Parlo tutto dun fiato, per paura di essere attaccato. ...
e poi, dopo aver tanto riflettuto, credo di aver capito che... mi piacciono
i ragazzi!
Pausa di silenzio, rotta dopo qualche secondo da mio fratello che si alza
dalla sedia, mi viene incontro e mi abbraccia.
Era questa cosa qua, che ti adombrava sto visetto da angelo?
mi sorride, prendendomi il viso fra le mani e dandomi un bacio in testa.
Fisso mia madre in attesa di una sua reazione, visto che fino a questo
momento non ha ancora detto una parola.
Vieni qua! dice con un sorriso, battendosi le mani sulle gambe.
Mi siedo su di lei.
Amore mio, qual è il problema? Hai forse fatto del male
a qualcuno?
No mamma! rispondo.
E allora? Lunica cosa alla quale teniamo veramente io e Filippo,
è che tu mantenga sempre la tua vera essenza poi, sei libero di
amare chi vuoi!
(tratto
dal capitolo 18)
Gli do una ginocchiata in mezzo alle gambe, lo colpisco appena allinterno
della coscia sinistra. Continua a scuotermi e a ridermi in faccia.
Ma che te ridi bastardo, GABRIELE AIUTO! mi metto ad urlare.
ZITTO! urla appresso a me, mollandomi uno schiaffo col dorso
della mano con talmente tanta violenza, che oltre ad iniziare a sanguinarmi
le labbra, prima rimbalzo sulla rete poi cado a terra stordito. Si piega
verso di me e mi prende la faccia fra le mani, avvicinando la sua a meno
di due centimetri.
Se ci riprovi ancora una sola volta, giuro che ti ammazzo!
mi avvisa, continuando a guardarmi con cattiveria. HAI CAPITO?
incalza, scuotendomi per le braccia e sempre più minaccioso.
Poi assume un tono di voce calmo: parla in maniera lenta, forse crede
che può tranquillizzarmi. Mi accarezza il viso e mi passa le dita
sulla bocca sanguinante.
Va tutto bene, rilassati! Vedrai, fra un po il dolore sarà
passato!
Sono terrorizzato, non ho più le forze, tremo, inizio a piangere.
Mi vuoi lasciare andare? singhiozzo.
Solo se smetti di piangere e me lo prendi in bocca, qui, subito!
Infila il pollice nellelastico della tuta, con lintento di
abbassarsela.
VATTENE! GABRIELEEE! urlo ancora.
Mi fischiano le orecchie, la vista sballotta, mi gira tutto: sto perdendo
i sensi. Sono qui sdraiato, inerme, con la faccia spiaccicata sul marciapiede,
di fronte agli occhi il fascione anteriore di una Punto bianca.
Leggo la sua targa per concentrarmi su qualcosaltro, estraniandomi
da questincubo. Riverso su un fianco come morto, mi mette a pancia
in sotto poi sento il suo pesante corpo lasciarsi cadere sopra al mio.
Le costole mi premono sul marciapiede, ma non avverto più nessun
dolore, soltanto la sensazione di sprofondare allinferno.
(tratto
dal capitolo 19) E
di nuovo mattina. Flavio si sveglia con un profondo mal di testa. Si alza
dal divano con ancora indosso i vestiti del giorno prima, prende il cellulare
e schiaccia un tasto per illuminare il di-splay.
Sono le undici! Ma quanto ho dormito!
Lutente da lei chiamato non è al momento raggiungibile...
sibila la voce del telefonino dopo aver chiamato Matteo.
Si spoglia, fa una doccia, infila un paio di jeans ed una maglietta, poi
esce di casa.
Suonano
al citofono.
Chi è?
Amore sono io, mi apri?
Schiaccio il pulsante per aprire il portone e sbuffando torno a letto.
Bussa alla porta, mi alzo di nuovo e gli apro.
Ma non hai le chiavi? faccio io.
No, le mie le ho lasciate a te ieri sera, le tue invece sono dentro
la tua macchina, ancora parcheggiata vicino la palestra! A proposito:
poco fa ho chiamato Gabriele e gli ho detto se poteva farsi accompagnare
da qualcuno in modo da riportarci la macchina, così...
A Fla, ma quanto chiacchieri: e sta zitto un attimo!
Gli rispondo in modo scontroso e guardandolo scocciato me ne torno al
letto. Mi segue, senza neppure azzardarsi ad accendere la luce, così
va dritto in direzione della finestra iniziando a tirare la cinta della
serranda per alzarla.
Flavio, qualcuno ti ha chiesto di aprirla? Te lo sei domandato che
se fino adesso non lho fatto io, è perché mi dà
fastidio la luce?
Volevo soltanto vedere come stavi!
Allora domandale le cose, per rispondere non cè bisogno
di guardarsi in faccia! gli parlo in maniera sempre più acida.
Posso sedermi sul tuo letto o trovo campo minato?
Al suo accenno di sorriso non do alcuna importanza. Mi prende una mano
e me la stringe.
Matteo, venti minuti fa ho provato a chiamarti, ma il cellulare
era ancora spento: non sarebbe il caso di accenderlo? Se dovesse chiamare
tua madre e a questora lo trova ancora spento, si preoccupa, non
trovi?
Mi sta dando ai nervi, al punto che vorrei mettermi ad urlargli contro.
Perché non mi lascia in pace? Che palle! E poi, perché
non la smette di stringermi la mano? Che urto! penso.
La sfilo dalla sua facendo finta di prendere il cellulare, anche se si
è accorto che ho fatto apposta.
Hai fatto colazione? mi domanda.
Flavio, quando sei entrato avresti dovuto accorgerti che stavo ancora
dormendo e probabilmente, se non mi avessi citofonato, avrei continuato
a fare la stessa cosa!
Senti Matteo, hai intenzione di piantarla con queste risposte oppure
no? Già te lho detto ieri sera: che ti ho fatto di male per
essere trattato in questo modo?
Flavio, se non ti vanno bene le mie maniere, quella è la
porta! gliela indico. Nessuno ti ha invitato ad entrare!
Matteo smettila di fare il ragazzino, HAI CAPITO!? alza la
voce.
Butto per aria le coperte, mi metto in ginocchio sul letto avvicinandomi
con la faccia. Sono infuriato.
Il ragazzino? Ti devo forse ricordare che ieri sera cè
stato un bastardo che mi ha violentato per la strada? Che mi si voleva
fare sul marciapiede dopo avermi riempito di botte? Che cazzo stai dicendo,
eh? Me lo spieghi? Ogni tanto accendilo linterruttore di quel tuo
cervello bacato, porco giuda!
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Cico:
Valerio Sailis, dicci qualcosa, avanti, dai,
raccontaci qualcosa di te: chi sei, cosa fai, da dove vieni, dove stai
andando... insomma, qualcosa, quello che ti va, quello che
ti viene
in mente.
Valerio: Il
fatto è che
non so, non mi piace raccontarmi, la vedo come
una forzatura, capisci?, come un modo di
bruciare le tappe: tutto
e subito. Di solito preferisco invece farmi conoscere col tempo, ma
vista la situazione, dovrò pur accennare qualcosa di me, sì,
è chiaro, anche se, su questo romanzo si può ritrovare in
Matteo ogni sfumatura del mio carattere e del mio modo di essere
Ora, vediamo, che c'è da dire riguardo a
Valerio: beh, sono
nato a Roma il 14 febbraio di 33 anni fa. Diciannove anni dopo quella
data, mi sono diplomato in ragioneria e da lì in poi ho fatto ogni
genere di lavoro: dall'impartire ripetizioni ad alunni delle scuole medie
a quelli del biennio; dall'imbianchino al riempire cofane di calce, dal
preparare i caffè dietro al bancone di un bar al servire pizze
ai tavoli (e qualcuna ne è pure volata in faccia a un paio di clienti,
ma non intendo pizze impastate con acqua e farina, piuttosto voglio dire
in carne ed ossa
) Poi cos'altro
ah, ecco, sì, ho lavorato
come sistemista-programmatore per tre anni all'università e, ancora,
come commesso-ragioniere in un negozio di telefonia. Inoltre, ho la passione
del canto, suono la chitarra e amo stare in mezzo alla gente; pure come
animatore nei villaggi, ho lavorato. Addirittura, per la stagione televisiva
scorsa, ho lavorato a RAI1; sul contratto c'era scritto: "Opinionista"
ma sono sempre più dell'idea che andavo a fare lo scemo, (solo
per intascarmi il gettone presenza), sì, lo scemo, cioè
che lanciava provocazioni e frecciate a tutto spiano per la felicità
del presentatore e degli autori tutti, visto che lo share non scendeva
mai al di sotto del 35%
Ultimamente ho affittato un piccolo locale di venti metri quadrati, dove
vendo articoli etnici. Ed è qui, tra incensi ed essenze varie,
che ho scritto il mio romanzo. Ho iniziato a raccontare questa storia
esattamente il 29 giugno del 2005, anche se nelle prime righe c'è
indicata la data del 10 settembre 2005. Man mano che scrivevo, i miei
amici sempre più curiosi di sapere cosa stessi partorendo, (curiosità
accentuata pure dal fatto che è il primo romanzo che scrivo), mi
chiedevano, volevano sapere, si intromettevano, così passavo loro
i primi capitoli e tutti mi domandavano: "Perché proprio il
10 settembre, se siamo ancora ai primi di luglio?" Non sapevo cosa
rispondere, ti giuro non sapevo davvero cosa, fino a due mesi e undici
giorni dopo l'inizio del racconto, quando (con gli occhi bagnati dalle
lacrime per la forte emozione) ho scritto l'ultima parola: ore 17:00,
di un sabato di fine estate, esattamente il 10 settembre 2005! Da non
crederci, manco a farlo apposta. E in ogni modo, ci si creda o no, è
questa la magia che avvolge da sempre la mia vita: che quando ho iniziato
a fare caso a certe strabilianti coincidenze mi ero anche spaventato;
ora ci rido sopra e faccio finta di niente però
non smettono
mai di stupirmi.
Infine, voglio dirti il mio sogno nel cassetto, ti interessa il mio sogno
nel cassetto?, bene voglio dirtelo: sta su quella terra, a nord di Roma,
dove i miei nonni curavano i loro ortaggi allora, il mio sogno è
poter costruire un piccolo casale in pietra, con un cucinotto, una mansarda,
lo scrittoio sotto la finestra da cui, affacciandomi, a cento metri posso
ammirare una collina dorata di spighe e girasoli, con in cima un castello
diroccato e ai suoi piedi una quercia secolare dove alla sera il sole
va a rifugiarsi...
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