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(brano
tratto da "FIGLI DELLE STELLE")...
Da questa finestra, la notte è serena, come il tuo viso. Stelle
che fluttuano amorose, e cantano filastrocche, nel fluido cielo matematico.
Trasmissione di accordi, rintocchi di antiche teorie e nuove congetture.
Unisci i punti e ottieni una chitarra. Giro un po' per la stanza, la testa
appesantita, come imbalsamata, mi guardo intorno senza capire, mi sdraio.
Scelgo un'impostazione fra le otto disponibili dello schienale regolabile
della mia poltrona, e lascio che la nuca atterri sul cuscino a rulli.
Mi sfilo le scarpe, appoggio i piedi sull'apposita pediera e la manovro
per mezzo del telecomando collegato al bracciolo. A terra, vicino alla
poltrona, il rettangolo blu di un romanzo Bompiani. Trecentonovantotto
pagine pigiate nella mia memoria recente.
Rimango così, supino, chiudo gli occhi, tutto è immobile.
Ascolto il formicolio meccanico del cuscino a rulli, la musica lieve,
granulare, che si sparge come miele fra le radici del mio cuoio capelluto.
Il mondo si ritira, si allontana, è la bassa marea degli eventi,
delle cose. La città e la notte, come pesi leggeri, origami di
carta, scivolano via oltre la finestra e la strada. Una processione d'immagini
appassite -strade, palazzi, quartieri- che si congedano e procedono verso
un altro polo. Non posso dire di non sentirmi assolutamente comodo, in
questa poltrona di pelle, rilassato, non posso negarlo, a meno di non
smentire la brochure che mi ha consegnato il quarantenne abbronzato che
lavora al mobilificio. Foppa Pedretti, l'albero delle idee, il
top del relax, le vette dell'estasi domestica. Riapro gli occhi e appare
il soffitto della stanza. Provo ad immaginarlo come se fosse la curva
lenta e indefinita della volta celeste. Punto lo sguardo in profondità,
lo lascio vagare, come un pendolo rovesciato, contro la legge di gravità.
Il cielo è quello schermo che non cessa di allontanarsi e di venire
interpretato. Mi metto a frugare fra le stelle, i pianeti, le galassie
che si allontanano, gli indistinti ammassi gassosi, le tempeste di meteoriti,
le code lattescenti delle comete, le pulsar che bruciano come enormi fiammiferi
in fondo a quello spazio spento e nudo. Adesso, per il puro piacere di
giocare, provo a viaggiare a ritroso nel tempo, lungo la mia vita di giovane
uomo, provo ad attraversare i miei anni '90, i miei anni '80. La mia storia
privata, nelle sue plaghe periferiche, si fonde ad immagini di Bettino
Craxi, della prima Repubblica, di Roberto Baggio e del rigore americano
-il pallone risucchiato in una zona d'antimateria, dove ciò che
è perso lo sarà per sempre, oppure no, potrà esserci
restituito-, di Pannella che fuma scoppiettante marijuana, e assordanti
folate di pura informazione e vecchie, impolverate compilation di San
Remo che permeano tutto questo sottocutaneo riaffiorare della memoria,
fino a quando non decido di andare oltre, varcare il buio confine di un
nuovo decennio, fino agli anni '70. Qui dove mi trovo adesso, nel punto
esatto in cui sono riuscito a spingermi, cerco di non badare troppo al
caso Moro, al suo pietoso volto d'agnello, alle molotov, ai falò,
alle P38, cerco di dimenticare/cancellare i teleromanzi con Ugo Pagliai,
e mi limito a constatare che l'anno in cui nacque la storia in cui mi
sto per addentrare fu lo stesso in cui venne pubblicato un album di Lou
Reed, le cui due facciate erano interamente solcate da un arcano ed elettrico
rumore di fondo. Adesso mi sposto fino alla notte stellata e senza profumi
del 7 ottobre 1975, e ciò che vedo è un uomo che non riesce
a prendere sonno. Claude Vorilhon, ex cantante, ex giornalista sportivo,
ex pilota automobilistico, fondatore della rivista 'Auto Pop', si trova
nella grande casa di campagna in cui si è appena trasferito, nella
regione medievale del Perigòrd, in Francia. Sdraiato su di una
poltrona, le gambe coperte da un plaid a scacchi, sente (che cosa significa,
qui, la parola 'sentire'? Forse significa che sente un'immagine prendere
forma all'interno della sua scatola cranica, come se qualcuno o qualcosa
ce la stesse proiettando? Oppure è una specie di suono che sente,
una frequenza remota, lo stesso sciame di onde captate da Lou Reed e che
ispirarono il suo 'Metal Machine Music'?) che qualcosa o qualcuno sta
per prendere la sua mano e portarlo molto lontano, dove nessun uomo, nella
storia degli umani, è mai stato. Claude s'infila un giubbotto,
con movimento automatico, braccia e gambe azionate da un impulso in arrivo
da un non meglio precisabile comando a distanza, e s'incammina nella campagna
screziata dell'oro e del rosso carminio di un autunno già molto
inoltrato. Con passo marziale, alimentato da un'energia nuova, diversa,
che sente di non aver mai posseduto, che nessun essere umano ha mai posseduto,
si fa largo nel sentiero, fra ampie foglie marce che cadono sotto il peso
di piccole gocce d'acqua -gocce d'acqua che racchiudono un riflesso, il
riflesso di qualcosa che lui non è ancora riuscito a vedere-, e
raggiunge una radura che si apre improvvisa nel bosco, come uno squarcio.
Claude solleva lo sguardo, il collo e la testa che emergono dal bavero
rialzato, che si affacciano nell'aria frizzante e metallica, un mulinello
che solleva da terra un vortice di foglie e ramoscelli, e vede un prisma
di luce che discende da un oggetto, una cosa che sta come appesa ad un
filo, nel cielo argentato. Le sue scarpe si stanno bagnando, l'acqua delle
pozzanghere ha penetrato attraverso le crepe sottili della suola, ma ad
un certo punto i suoi piedi infreddoliti registrano una piacevole variazione
della temperatura. Il fascio di luce, infatti, si è spostato direzionalmente
fino alla zolla di terra occupata dalle scarpe da ginnastica di Claude,
che istintivamente si è portato una mano di fronte agli occhi,
creando sulla metà superiore del volto una perfetta ombra cinematografica.
La terra brucia, c'è qualche breve scintilla, delle piccole fiamme
che si animano e poi si spengono. Due opposte colonne di vapore si stanno
sollevando dalla punta delle scarpe e risalgono attraverso la luce bianca.
Ecco, adesso può vederlo, è un disco volante quello, e lui
sale in alto, aspirato nel vuoto, verso quello scudo che bascula a mezz'aria,
ed è l'inizio di tutto, la prima tacca, il momento fondativo. Dopo
essere salito a bordo gli viene iniettato un liquido gelido, e Claude,
come nel sogno di un bambino buono, vola oltre gli striati confini della
galassia, posa il piede sul pianeta degli Elohim, civile, urbano, progredito,
libero, dove si divertirà molto (si accoppierà per una notte
intera con sei robot biologici; durante un banchetto converserà
amabilmente con Gesù, Budda, Maometto, il quale Maometto, come
Claude dirà in seguito, nel corso di un'intervista concessa ad
una TV canadese, gli risulta essere il più simpatico ed affabile
dei tre), dove gli verrà svelato di essere nato da una relazione
fra il leader degli Elohim, Jahvè, e sua madre, e dove soprattutto
gli verrà mormorato il segreto tecnologico che sta all'origine
della vita. L'uomo, lo informano gli alieni, nel loro idioma semplice,
melodioso, è un prodotto di laboratorio, l'esito di un esperimento
genetico avvenuto migliaia di anni fa e di cui gli Elohim sarebbero stati
i benevoli artefici. La famiglia umana, quindi, non è un frutto
complesso sbocciato nel panorama più vasto dell'evoluzione delle
specie viventi, secondo un complicato processo di selezione occorso nel
tempo, ma sarebbe piuttosto nata all'improvviso, in un dato momento, successivo
alla formazione dell'habitat biologico terrestre, e sarebbe una diretta
e conseguente emanazione del DNA di un gruppo di Elohim: una teoria assimilabile
a quella divulgata nel 1969 dallo scrittore svizzero sensazionalista Erich
Von Daniken, il quale nel suo 'Chariots of the gods', affermò
che visitatori provenienti da un'altra galassia sarebbero giunti sulla
terra e attraverso un'alterazione del codice genetico delle scimmie avrebbero
creato l'uomo, andando così a colmare quel lasso di tempo biologico
che nella vulgata è stato definito come l''anello mancante'.
Adesso, l'esperimento che diede luce all'uomo e alla donna può
essere ripetuto su vasta scala, scala planetaria, attraverso la tecnologia
della clonazione, la stessa di cui a suo tempo si servirono gli Elohim.
'Se vi fate tutti clonare, vivrete tutti per sempre: vivere per sempre,
l'eternità è così vicina...', gli dicono in coro
gli alieni, che hanno volti aggraziati, un po' orientali, e sono alti
come bambini. Quando in seguito Claude torna sulla terra (dove la sua
assenza non è durata che una manciata di minuti, come nelle storie
della fantascienza più rigorosa), la sua vita, ovviamente, non
potrà più essere la stessa. Adesso è un profeta e
il compito dei profeti è fondare religioni, indicare col braccio
levato nuove terre promesse e sapervi condurre tutti coloro che vorranno
dargli credito. Così Vorilhon, che presto cambierà nome
in Rael, su quanto appreso durante il suo viaggio costruisce un corpo
dottrinale leggerissimo, superlight, piumato, intorno al quale
cominceranno, nel tempo, a... (continua)
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