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La ladra di spaghetti
Marthita Pepe

di Renzo Brollo

Mi guardo allo specchio, maschio riflesso e perplesso, chiedendomi se tra loro ci sono anch’io, razza bastarda e senza cuore che diventa bestia feroce tra le gambe di Lei, giovane e bella, rossa di capelli e di pelo, che prende e smonta gli uomini colpevoli, colpevoli, maledettamente colpevoli d’essere quei campioni di cinismo ottuso, tutti uguali, tutti nati sbagliati, incapaci di amare, incapaci di interpretare il sesso, incapaci di ragionare quando l’oggetto del desiderio ce l’hanno davanti. Lei, figlia di padre codardo fuggito, così come Olivia, che insieme defenestrerebbero ogni maschio umano dopo averlo fatto soffrire e illudere d’essere padrone del mondo e delle donne e di quello che portano appresso, vogliono conoscere questi due uomini che di loro s’erano fregati da tempo, da quando erano venute al mondo e che sono la causa di tanto odio che si respira a ogni battuta, tra parola e parola. Se c’è dell’amore, solo si trova tra le braccia di mamma, tra le quattro mura di casa, che non ti costringono ma solo ti trattengono, abbraccio di mattoni affettuosi.
La scrittura di Marthita Pepe non lascia scampo a false interpretazioni, perché non te le manda a dire, proprio come Lei, la ragazza nel libro, che a nessuno le manda a dire e men che meno ai suoi avversari, che siano compagni di liceo, che sia maschio adulto e vaccinato, che lei stessa aveva tolto dalla mischia del maschio fotocopia per dargli una chance e perché sembrava e poteva essere diverso. Ma, una volta scoperto l’inganno, anche lui merita d’essere deriso, colpito e illuso di avere quello che non avrà mai. E’ vero, il maschio è debole, forse forte a muscoli, ma non a parole e nell’arte del sesso non supera mai il rango di servo del maestro, questo il suo punto debole e tutti cadranno nella stessa trappola. C’è un rancore quaggiù nei fondali della storia, una spietatezza lucida e nessuno sarà fatto salvo. Un racconto secco, come una briscola buona tra scartine e basta, ma ben giocata così come andava fatto, coraggiosamente. Ho provato a mettere via l’orgoglio di maschio adulto e mettermi dentro al libro, scalzo e senza personalità. Ho sentito che andava bene così, perché a ragionarci da uomo ci sarebbero state troppe deviazioni da cogliere, troppi rischi di interpretazioni inutili e fasulle. Il racconto sta tutto lì, nelle parole di Marthita, bello e pulsante di energia riflessa che non ha paura di mostrarsi. No metafore, no incantati paesaggi da descrivere, piuttosto azione e reazione, cattiveria femmina, una scrittura amara ma tanto viva, che lascia più voglia di crederci che di arrendersi. Tra donne, si sa, ci si capisce meglio, tra madre e figlia figuriamoci. Saranno le ancore di salvezza l’una per l’altra, meno male.

Marthita Pepe, torinese, a quanto pare è ragazza di poche parole ma molto intelletto.