|
Brano tratto
da "Un viaggio":
Intro
Ho
ritrovato gli appunti del nostro viaggio, sto cercando di sistemarli affinché
mio figlio possa conoscere meglio Joi. Non credo che dopo la sua morte
sarò più in grado di ricordare.
Abbiamo raggiunto zone lontane, costruendo igloo in tempi sempre più
celeri. Joi sta pescando, ormai è un esperto, ritaglia un cerchio
nel ghiaccio e con un bastone appuntito trafigge la preda. Temo la sua
morte. Ho il pancione, mi affatico facilmente, mi chiedo sempre più
spesso se mio figlio nascerà
Tornare indietro da sola sarà molto più difficile.
Ci sarà una tormenta, non avevo mai visto la neve cadere, credo
che starò fuori a guardare finché il vento non salzerà.
Ieri notte ho sognato un bambino, era biondo, correva in un campo di girasoli.
Correva sempre più velocemente, i fiori crescevano e lui rimpiccioliva
fino a scomparire. Il giallo dominava cielo e terra; le corolle, gli steli,
perdevano i contorni definiti, li vedevo doppi, tripli, quadrupli.
Infine, tutto si amalgamava in unaccecante luce gialla.
Quando stamattina ho riaperto gli occhi, ero serena.
uno
(Joi)
Voglia di frutta fu il mio primo pensiero al risveglio.
La casa era silenziosa. In cucina, per terra, una cassetta di prugne mi
tentava. Erano tonde e scure.
Soffitti alti, pareti bianche, interni spogli.
Nella stanza di Noire un armadio e un materasso a due piazze il solo arredo.
La mia camera si affacciava sul prospetto principale. Il pavimento in
ceramica, decorato oro su fondo blu notte, veniva interrotto da un materasso
singolo al centro esatto del volume cubico. Il palazzo antico, su tre
livelli, dei quali noi occupavamo parte dellultimo, presentava una
facciata classica. Bugnature a pian terreno, edicole e fregi di cornice
alle finestre dei piani nobili. Lingresso era perennemente chiuso
da un grande portone in legno massiccio.
La nostra vita venne fortemente scossa dallarrivo di Joi.
Prima di allora, le giornate per me e Noire si susseguivano identiche
tra loro.
Al mattino trascorrevamo il tempo a leggere, ascoltare della musica, chiacchierare,
oziare piacevolmente.
Era improbabile che uscissimo di casa, a meno che non dovessimo fare scorte
alimentari, in questo caso, la breve visita ai mercati generali diveniva
necessaria. Una vita riservata, la nostra, come quella dogni altro
abitante della zona.
Gli inquilini del secondo piano erano sicuramente i più eccentrici.
Si muovevano solo di notte. Eravamo riuscite a incontrarli una volta in
occasione del mercato ortofrutticolo di fine mese. Incredibilmente pallidi
e magri.
Soffrivano della stessa forma di fobia: paura della luce, per questo le
persiane di mezzo del nostro palazzo venivano aperte solo a tarda sera.
Il nome del figlio maggiore era lunico trapelato: Fausto. Non che
cimportasse di loro né della coppia danziani, i Sullivan,
nostra dirimpettaia; quanto meno con i Sullivan il saluto veniva spontaneo.
Il nostro era un palazzo confortevole.
Un
mattino, arrivò Joi. Fu Noire ad accoglierlo, gli diede la camera
che sta di fronte alla mia. Un ramo di pesco, cresciuto fin dentro casa,
non permetteva di abbassare la serranda né chiudere le imposte,
per questo quella camera era sempre vuota. Nessuno riusciva a dormire
con quella luce abbagliante, ma probabilmente Joi non aveva grandi pretese.
Quel
giorno, tornando dai mercati generali, notai strani bisbigli e sguardi
fuggitivi tra i vicini, in quel momento ne fui parecchio sorpresa. Rientrata
a casa mi accorsi che dalla stanza del pesco proveniva una musica. Mi
affacciai sulla soglia. Un uomo stava seduto in terra, a gambe incrociate,
suonando una tromba.
- Salve - mi sorrise.
Richiusi velocemente la porta e tornai in camera mia.
Ecco spiegato latteggiamento dei condomini! Chi era quelluomo?
Non ero riuscita a vederlo bene. I capelli lunghi e la folta barba nascondevano
il volto lasciando solo intravedere gli occhi. Decisi di fingere indifferenza
con Noire, ero troppo arrabbiata, come si era permessa di lasciare entrare
un estraneo in casa nostra!? Quando si alzò, tentò invano
di comunicare con me, finsi di dormire e lasciai che bussasse inutilmente
alla mia porta.
(...)
|
|