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Celeste Bruno

A tu per tu con l'autore di

Ti Sparo

Un viaggio realistico che dalla Milano degli anni di piombo si addentra nelle guerre al nord tra clan mafiosi raccontando le prime due vite di Giorgio, da uomo di legge a boss della malavita.

Ne abbiamo parlato con l'autore, che nella veste di poliziotto ha vissuto in prima persona molti dei fatti narrati

di Carlotta Pistone

Buongiorno Celeste e benvenuto su Mondo Rosa Shokking. Per apprezzare appieno il valore del tuo romanzo, Ti Sparo, è a mio parere fondamentale conoscerti un po’ meglio. Ci puoi raccontare qualcosa di te e delle tue esperienze in polizia a partire dalla fine degli anni ’70?

Grazie per l’opportunità che mi dai per argomentare sugli aspetti di questo mio ultimo libro. Sono giunto a Milano Linate nell’autunno del 1977 dopo aver frequentato il corso a Trieste e quello di specializzazione a Ventimiglia. Nonostante fossi in un luogo apparentemente fuori dai giri investigativi, sentivo pesantemente l’aria che si respirava in città e credo in tutta la nazione. Il caso Moro e l’eccidio della sua intera scorta a Roma, mi fece crescere di colpo. Avevo solo 19 anni ma dovevo, per forza, sentirmi più grande. Io ero prevalentemente assegnato all’area Vip di Linate Ovest e il mio servizio lo svolgevo da solo quindi mi sentivo a rischio. Quando al Ticinese le BR ammazzarono tre miei colleghi, tra cui un mio amico e conterraneo, provai rabbia e rafforzai le mie convinzioni nel servire uno Stato in cui vedevo della gente e non della politica. Già allora i politici facevano discutere per i loro atteggiamenti e stili di vita, casi di corruzione ve ne erano, alcuni anche eclatanti, come quello che coinvolse Scalfaro, mentre noi poliziotti avevamo “le pezze al culo”. I vari scandali o devianze però, non minavano la mia scelta e il coraggio di restare fedele a quei dettami. Complice i miei 20 anni, non sentivo la paura o forse mi sentivo forte perché indossavo una divisa e avevo una pistola. Mi sentivo lo Stato e ne ero convinto. E questa mia convinzione me la sono portata dentro sempre. E ancora oggi non è mai scemata. Mi dicevo e professavo: sono un uomo dello Stato e lo Stato mi deve tutto, quasi come un figlio che pretende l’amore di una madre. Divenuto sottufficiale nella primavera del 1987, passai prima alle Volanti e poi tre anni dopo alla Squadra Mobile, alla Omicidi. Entrai dunque nel ruolo investigativo, quello vero dei detective. Il mio istinto primordiale di conservazione, formatosi nelle strade della mia città (Bari) mi ha sempre aiutato. In breve, divenni NON più quello convinto ma quello capace, che già nelle volanti si era evidenziato. La risoluzione di alcuni delitti mi pose all’attenzione dei mass media e della gente comune. Ma non mi sono mai sentito un arrivato, neanche quando alcuni cronisti di nera si riferiscono a me usando l’appellativo “mastino”. E quando spesso mi alzavo alle due di notte per andare ad arrestare i malavitosi, il più delle volte killer delle varie cosche, allora la sentivo la paura ma riuscivo a controllarla. Prima di uscire baciavo sempre le mie figlie addormentate e la mia donna dallo sguardo interrogativo, ma l’adrenalina era più forte. E comunque quella paura, sottile, non la trasmettevo, anzi la mettevo a tacere, incitando gli altri per incitare me stesso. Mi è sempre piaciuto il gruppo, il fare squadra, primeggiare con gli altri e per gli altri. E questa condizione mi ha accompagnato per tutti glia anni trascorsi alla Mobile tra delitti, violenze, sequestri di persona, papponi malavitosi e mafiosi.

Giorgio, il protagonista del tuo libro, arriva a Milano durante gli anni di piombo come poliziotto e poi si trasforma prima in killer, quindi in boss della mafia. Cosa ti ha spinto a decidere di raccontare questa storia e qual è la sua straordinarietà rispetto a tanti altri casi di corruzione delle forze dell’ordine?

La storia di Giorgio, almeno nelle prime fasi, in realtà è la mia storia. Volutamente ho mischiato i nostri primi passi e le sensazioni che ho provato al mio arrivo a Milano, una città in mano a manager e imprenditori con pochi scrupoli, complice il malaffare e la lotta al terrorismo che per un certo periodo, in quella fine anni ottanta, ha catalizzato l’attenzione mentre il malaffare prosperava. Qui emergono Francis Turatello e poi Epaminonda detto “il tebano” (a cui succederà Jimmy Miano) i quali concentrano i loro affari soprattutto nelle bische clandestine, sia quelle allestite in lussuosi appartamenti che quelle a cielo aperto. Senza dimenticare Vallanzasca e i mafiosi siciliani tanto che, ricordiamolo, Luciano Liggio venne arrestato a Milano in via Ripamonti. I soldi giravano e anche tanti e molti appartenenti alle Forze dell’Ordine cadevano oltre che i sotto i colpi dei terroristi anche sotto quelli meno perforanti (ma altrettanto alienanti e forse più ignobili) della corruzione. Tra questi anche Giorgio che dopo aver cercato di combattere l’illegalità fu “avvicinato” e convinto non dai malavitosi ma da altri colleghi, alcuni dei quali anche con un certo nome nei nostri ambienti. Certo lui si è lasciato andare, altri, tantissimi altri, hanno resistito e questo libro vuole anche rendere omaggio e onore proprio a quelli che non sono caduti nelle trappole del dio denaro. Ma, allo stesso tempo, si vuole cronicizzare un dato: Giorgio, che si era dimostrato un buon poliziotto dotato di abilità e coraggio, dopo essere stato corrotto e quindi aver favorito l’illecito, fu arrestato. Sin qui è come tutti gli altri. Un poliziotto corrotto e basta e la storia si sarebbe chiusa.
Invece fa il salto, ed entrando nelle dinamiche criminali inizia un percorso che lo porterà a diventare un boss. Ma attenzione, senza mai perdere quell’istinto che da sempre lo aveva contrassegnato, quello del poliziotto. Infatti, convocato in un summit e forse anche un po’ schernito per i suoi trascorsi, intelligentemente non si pose al servizio eseguendo ma, chiedendo e ottenendo di organizzare lui stesso il delitto che gli era stato commissionato, senza appoggi delle altre cosche. Questa mossa lo porterà a elevarsi alla pari e non a farlo ritenere un mero esecutore.
La straordinarietà la si desume proprio dalle gesta di quest’uomo. Una vicenda che ritengo sicuramente unica in Italia e forse al mondo. Anzi invito Voi giornalisti a compiere delle ricerche in merito. Si conoscono tante vicende di poliziotti infiltrati, la narrativa americana ne è piena, ma di un poliziotto divenuto boss non ho mai sentito.

Come si è svolto il lavoro di ricerca, di selezione e di rielaborazione di tutto il materiale che poi hai utilizzato per la stesura di Ti Sparo?
Molto è stato tratto dalle dichiarazioni rese da Giorgio, lavoro sintetizzato e associato ai riferimenti investigativi desunti dalle innumerevoli indagini svolte, in primis, dalla Criminalpol Lombardia e dalla Squadra Mobile ma anche da altri settori investigativi della Polizia di Stato. A questo si aggiungono alcuni frammenti di memorie storiche investigative che nel tempo si erano occupati di lui. Ovviamente, ci tengo a precisarlo, questo è il racconto investigativo di gesta criminali e non un resoconto giudiziario. I convincimenti e le prove le si traggono in un processo ma quella è cronaca giudiziaria.

Tra i tantissimi fatti raccontati nel libro c’è un episodio secondo te particolarmente significativo, uno snodo cruciale o un punto di svolta, per la vita di Giorgio ma anche a scopo narrativo?
Sicuramente le conoscenze intrattenute. In primis quelle con “il professore” e “Pino”, due calabresi dotati di capacità e tatto oltre che di notevole carisma criminale. A questa si aggiungono quelle con Ubaldo Nigro (Uba Uba) e Enzo Guida. Ma sicuramente, il fattore emergente è quello di cui ho già detto, ovvero l’esecuzione ordinata da tutti i boss in un summit ed eseguita da Giorgio in forma autonoma. E’ quello l’episodio che focalizza Giorgio quale personaggio facendogli lasciare il ruolo di semplice comprimario o comparsa, anche perché non è dettato da un prezzo. Il corrotto non esiste più, ora esiste un malavitoso che si pone al loro livello. I boss lo capiscono e dopo qualche tempo, incominciano a temerlo. Si salva grazie al suo istinto e alla sua freddezza. E sarà quell’istinto che successivamente, in una terza vita, si spera, lo riconsegnerà alla regolarità.

Come ti poni oggi nei confronti di Giorgio? Nel tempo che tipo di rapporto si è instaurato tra di voi?

Lo conosco personalmente dai tempi della sua collaborazione che, voglio sottolinearlo, non è stata immediata (come in tantissimi casi) ma meditata. Di lui comunque avevo già sentito parlare e in qualche occasione lo avevo intravisto, specie in alcune fasi di controllo. Giorgio matura questa decisione e si consegna al suo primo comandante, il dottor Filippo Ninni, capo all’epoca della Criminalpol Lombardia, e di conseguenza al magistrato. Il mio rapporto con lui in questi anni è stato occasionalmente epistolare dato che lui era detenuto e solo da qualche settimana in condizione di libertà vigilata, di semplice normalità. Ora ci capita di bere un caffè e magari parliamo dei tempi andati, di quando eravamo due poliziotti. Lui evita alcuni argomenti, io non glieli rammento. Ha letto il libro in anteprima e gli è piaciuta la stesura. Con rispetto per tutti i nominati ma senza sconti per nessuno, neanche per lui. E d’altronde Giorgio non ha mai chiesto sconti, semplificazioni, scappatoie o giustificazioni. Sa quello che è stato nelle sue due vite precedenti e, credo, sa come dovrà essere la sua nuova vita. Dal mio canto ho scritto quello che sentivo e percepivo.

Ti Sparo è sicuramente un libro “scomodo”, sotto tanti punti di vista, infatti hai incontrato non poche difficoltà nel pubblicarlo. Secondo te cosa ha frenato la maggior parte delle case editrici che avevano dimostrato interesse verso il tuo lavoro?

Più che un libro scomodo direi che è intrigante e pone interrogativi. Parla di determinate dinamiche e chiarisce alcuni aspetti della malavita organizzata. Per come è stato scritto non credo che ferisca nessuno, né le memorie né tanto meno i nominati, ma sicuramente tocca sensibilmente alcune corde. Nonostante questo molti editori che, dopo aver letto il promo e richiesto l’opera, si erano detti interessati, poi di fatto si sono eclissati. Non ho mai domandato loro il perché ma ho continuato a insistere sin quando ho trovato chi ci ha creduto e l’ha pubblicato.

Il libro è appena uscito per Cicorivolta Edizioni. Quali sono state le prime reazioni tanto dei lettori quanto da parte di quello che può essere un pubblico più esperto e “interessato” a queste argomentazioni?
Alcuni hanno detto che è scritto bene altri che finalmente hanno capito come avvengono certe cose in determinati ambienti. Sopratutto il pubblico femminile è molto attratto dai miei libri e d’altronde tutti i miei libri sono dedicati alle donne, sicuramente molto attente ai vari risvolti, anche quelli critici. Il libro sta suscitando molto interesse tra i poliziotti e gli appartenenti alle Forze dell’Ordine in genere, ma debbo dire, avendo registrato molte richieste dal sud, anche in altri ambienti, ed è facile ipotizzare quali e per quali motivi. Inoltre i blog si stanno interessando parecchio alle argomentazioni del libro insieme ai mass media e ai giornalisti in genere.

In confronto a quando sei arrivato, come vedi la Milano dei giorni nostri?
Sono molto riconoscente e affezionato a questa città. Qui ho costruito le basi della mia carriera e sto realizzando i miei propositi, qui ho i miei affetti. Credo di aver ripagato questa città e la sua gente con il mio lavoro e la mia dedizione. Ho avuto tanti riconoscimenti ma mai uno di senso civico, fatto salvo un attestato rilasciatomi dall’Associazione combattenti e reduci nel 1990. Mi piacerebbe che anche la città mi ricordasse in qualche maniera perché se oggi Milano è migliore, è anche grazie al lavoro che quotidianamente viene svolto da chi come me si è posto al servizio della gente, di quella dei quartieri, delle periferie, dei disadattati e dei precari, perché Milano è anche questo. Io la vedo bene, più sicura, più ordinata, più moderna, più proiettata verso le future sfide, o almeno voglio pensarlo.

Prossimi progetti letterari in cantiere?

Sto ultimando la stesura del mio nuovo romanzo, “La Torre Saracena”. Un thriller che è anche la storia di una profonda relazione amorosa. Avevo necessità di diversificare e quindi, prendendo come sempre spunto dalla realtà dei fatti, dopo un lungo lavoro di ricerca, ho messo insieme una trama che intreccia Milano alla Calabria Jonica e alle sue centenarie, ataviche usanze. Un libro che narra la vicenda di due amanti uccisi mentre amoreggiavano nelle terre di Capo Bruzzano nella jonica reggina, con epilogo solo trent’anni dopo, per un fatto casuale, mentre i poteri illeciti e quelli occulti, nicchiavano. Un libro dedicato a tutte le donne dei Sud del mondo. Un’altra sfida.



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