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Celeste
Bruno
TI
SPARO
Se
il distintivo
si macchia
di corruzione
Un uomo di legge convertito
alle logiche della malavita.
di
Melania Trimarchi per bottegascriptamanent
Cosa succede quando la finzione letteraria si sovrappone alla realtà?
Nel romanzo di Celeste Bruno, scrittore e commissario di Polizia, si legge
di avvenimenti reali tratti per lo più dai racconti di un collaboratore
di giustizia «che hanno necessitato dei dovuti riscontri»,
come spiega l’autore stesso nelle Precisazioni. Contrariamente
alla natura del genere stesso, dunque, quello di Bruno «è
un romanzo-verità», come ha affermato il curatore Giuseppe
Iannozzi in un’intervista all’autore (Milano 17 febbraio 2013,
consultabile sul sito della casa editrice), nella quale si sottolinea
che nel testo «c’è poco o nulla che si possa definire
finzione letteraria». Celeste Bruno, ha dichiarato che nel suo libro
racconta una verità che, «anche se scomoda, deve essere accettata,
da tutti. Il primo ad accettarla è stato proprio il protagonista,
Giorgio».
Ti Sparo. La vita violenta di un ex poliziotto da uomo di legge a boss
della malavita (Cicorivolta edizioni, pp 156, € 12,00) è
la storia vera di un uomo, al quale l’autore è stato legato
da rapporti professionali, che sognava di diventare poliziotto e «conquistare
il mondo forte di un distintivo e di una pistola in mano», ma che,
una volta entrato in Polizia, si ritrova catapultato nella realtà
milanese degli anni Settanta e Ottanta dove le duecentoventimila lire
di stipendio sembrano non bastare e dove dilaga la corruzione. Giorgio
compie così un “salto”: passa alla malavita milanese,
entra in contatto con esponenti della ’ndrangheta, della camorra,
delle mafie siciliane e della sacra corona unita, diventa boss e assassino,
organizza bische clandestine e traffici illegali di armi e droga.
La
scrittura: efficace e diretta
L’opera è strutturata in brevi capitoli e divisa in due parti
collegate dal filo rosso della trama. La prima racconta la storia personale
di Giorgio, la sua vita da poliziotto e, dopo l’arresto, quella da
malavitoso. La seconda, invece, è quella più cruda dedicata
al Primo omicidio e i successivi, (questo il titolo del primo capitolo,
i seguenti riportano i nomi delle vittime).
È certamente un romanzo vibrante, ricco di immagini e descrizioni
realistiche, e lo conferma il protagonista quando sostiene che sparare
in un film è diverso che farlo nella realtà – dove
«i rumori degli spari assordano le orecchie, terrore e adrenalina
offuscano la mente, il cuore pompa forte e lo senti pulsare fin nella
gola» – quasi a voler far provare a chi legge le sensazioni
fisiche di quel momento: i dolori, gli odori, la paura.
Pagine cariche di tensione, scandite da una scrittura incalzante che rapisce
il lettore, trasportandolo nel racconto e immergendolo nella realtà
del protagonista: «lo vidi accasciarsi ma sparai ancora, ancora,
il grido in gola pareva soffocarmi, le braccia che si tendevano, la bava
che mi usciva dalla bocca. Mi fermai solo quando non udii più la
musica assordante dei proiettili, avvertendo l’odore acre della polvere
da sparo».
Un
romanzo in prima persona
Celeste Bruno scrive il suo romanzo in prima persona, perché vuole
concentrare l’attenzione sulla figura di Giorgio e sulla sua storia
in modo non impersonale; è il protagonista, dunque, che espone
le sue vicende, che racconta passo passo in che modo, e con quali speranze
abbia abbandonato la Puglia, sua terra natia, per rincorrere il sogno
di diventare poliziotto, ammaliato da quel manifesto della polizia che
diceva: «vieni in polizia, avrai un lavoro ed un futuro e…
220.000 lire al mese».
Arrivato a Milano, da poliziotto, inizia a far rispettare le leggi –
le stesse che poi infrangerà sporcandosi «le mani di sangue»
–, è ligio al dovere, non perdona infrazioni e questo gli
permette di avere contatti e soffiate dai piccoli malavitosi della città:
con loro «cercavo d’instaurare un dialogo, in particolare con
quelli che credevano d’essere i personaggi (protagonisti) della zona,
ma non scontavo nulla se non mi davano nulla, per cui mi tenevano buono
facendomi delle confidenze, prima di scarso conto, poi sempre più
precise».
Nel suo essere rispettoso del dovere e della divisa che indossa, Giorgio
però non ha tenuto conto di quei colleghi corrotti che gli chiedevano
di “fare il bravo” perché in qualche modo si doveva anche
mangiare, sapeva di queste cose ma credeva fossero leggende.
Intanto, una riforma (Legge 121 del 1º aprile 1981) "smilitarizza"
la Polizia creando un certo malcontento nel corpo, ciò lo porta
a lavorare “fuori servizio” e, approfittando della conoscenza
di un calabrese e degli affiliati della sua famiglia, facendo loro dei
favori, inizia ad ottenere denaro e potere: «ormai avevo fatto “il
salto”, senza neppure rendermene conto. Ero entrato nelle dinamiche
criminali e nel gioco del dare e avere. In poche parole: mi ero smarrito».
L’autore, nell’intervista sottopostagli da Iannozzi, ha motivato
la scelta di Giorgio, sostenendo che il passaggio alla malavita milanese
sia stato «una sorta di rivalsa (ovviamente malata) nei confronti
di uno Stato che ci lasciava con le pezze al culo, mentre tutti, intorno,
si arricchivano grazie al malaffare che prosperava. I nostri stipendi
erano veramente miseri e ci salvava solo il forte senso dello Stato e
di onestà che ci aveva condotto a indossare la divisa per servire
quelli come Noi, non certo i corrotti e gli intrallazzatori».
Dopo il primo arresto e il soggiorno obbligato in Puglia, Giorgio rientra
a Milano e decide di inserirsi insieme ai calabresi nel traffico di stupefacenti;
da qui inizia la sua carriera di malavitoso, e la sua bramosia di potere
lo porta ad una veloce scalata verso i vertici delle organizzazioni criminali.
Da spacciatore di droga a trafficante di armi, diventa estorsore e sequestratore,
esecutore e mandante di omicidi spietati, arriva anche a gestire i rapporti
tra i diversi clan, decidendo con chi stringere alleanze e chi annientare.
Guardandosi le spalle da amici e nemici, giunge al giorno dell’arresto
e della collaborazione con la giustizia, fino al successivo pentimento
maturato anche per sua figlia, così da riuscire a incontrarla,
e fare finalmente ciò che si promette: «Abbasserò
il mio sguardo davanti al suo e sarà come chiederle perdono».
Melania
Trimarchi
(www.bottegascriptamanent.it,
anno VIII, n. 80, aprile 2014)

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