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Indice
dei racconti
LE
SORELLE MORELLI VIVEVANO DA MOLTI ANNI NELLAPPARTAMENTO
AL PRIMO PIANO
GLI
IMBIANCHINI
LANARCHICO
I
BULGARO
LA
SIGNORA MARIA È MANCATA ALLAFFETTO DEI SUOI CARI
I
NUOVI VICINI
DEMENZA
SENILE
IL
PIANOFORTE DI MARTINO
LINFATUAZIONE
DELLESATTORE
SAMANTHA
IL
GIORNO PRIMA DELLA PENSIONE
Brano
tratto da : Non molto lontano dal centro
GLI IMBIANCHINI
Gli imbianchini
abitavano al quarto piano ed erano, forse, la tribù più
singolare dellintero condominio. Il capofamiglia, Bruno, era un
uomo robusto, sulla cinquantina, con un pizzo ingrigito dalletà
e dalla fatica, e un basco perennemente infilato sulla testa, ancora coronata
da capelli tenuti piuttosto lunghi. Portava questo cappello con il vezzo
del pittore, perché tale si sentiva e dichiarava, pur essendo a
tutti gli effetti soltanto un imbianchino. Aveva prestato la sua opera
in più o meno tutti gli appartamenti del palazzo e, a parte poco
altro, questi erano stati gli unici lavori che aveva completato negli
ultimi anni. Spesso lo si vedeva, sempre con gli abiti da lavoro perennemente
macchinati da strati di vernice sovrapposti, attendere qualche chiamata
di fronte al portone. Pensieroso, ma non disperato, con una sua imperscrutabilità
di fondo e le mani incrociate dietro la schiena, rivolgeva la faccia verso
la strada come se da quella parte dovesse arrivare ogni soluzione. Il
fratello, Antonio, era anchesso imbianchino. Non si era mai sposato
e perciò viveva con la sua famiglia e faceva il suo stesso mestiere.
Era più anziano di Bruno, ma volentieri si ritagliava un ruolo
da gregario. Privo di iniziativa, rimaneva spesso in disparte durante
le discussioni nellandrone dellingresso o quando venivano
organizzati sopralluoghi per valutare nuovi incarichi. Magro, con le spalle
curve, seguiva il fratello nei vari cantieri con una docilità un
po ebete. Aveva delle profonde rughe a lato della bocca che si prolungava
per tutto il profilo della faccia, scavata e scarna. Era però il
naso maestoso che aveva in mezzo al viso la sua caratteristica principale;
lelemento che più di ogni altro lo identificava pienamente.
Per questa suo aspetto era spesso sbeffeggiato dai giovani del palazzo
e anche gli adulti si riferivano a lui chiamandolo Rostro
o il Prua. Quasi mai usciva da solo e le rare volte in cui
lo si vedeva in giro senza il resto dei parenti, per esempio durante la
festa della via, non salutava nessuno e camminava con gli occhi rivolti
al terreno. Il Prua era però un bravuomo. Nessuno aveva mai
avuto niente da dire su di lui e anche la Nilde, di solito ben informata,
non avrebbe potuto raccontare niente di particolarmente riprovevole sulla
sua persona.
Antonia, la moglie di Bruno, era una signora meridionale, trasferitasi
in città al seguito del padre durante londata dimmigrazione
che seguì la guerra. Era una donna robusta e decisa, non particolarmente
intelligente ma smaliziata, che al suo lavoro di casalinga alternava frequenti
visite al bar dei Nani, dove giocava al lotto. Il gioco era unautentica
ossessione. Ogni settimana, a un giorno e unora stabilita, usciva
di casa e faceva la sua giocata. Sempre gli stessi numeri e sempre sulla
stessa ruota. Poi tornava verso il condominio con espressione sognate,
assolutamente certa che quella era la volta buona. Sarebbe finalmente
arrivata la fortuna a spazzare via tutte le incertezze e le umiliazioni
di una vita mai veramente decollata. Tanti nel condominio se lo auguravano,
dal momento che Antonia aveva qualche piccolo debito con molti di loro.
Roba da poco, niente di eccessivamente elevato che non si potesse trascurare
o rimandare, ma comunque consistente. Quei soldi, dati con la generosità
e laltruismo tipico delle amicizie semplici, alla fine sarebbero
serviti ai vari creditori. Giusto quelli che mancavano a fine mese per
pagarsi uno sfizio, una cena al Veliero, un viaggetto al mare. Ma, si
sa, la solidarietà a volte prevale anche sui propri bisogni e se
uno ha il cuore gentile lascia volentieri indietro la convenienza, se
può fare una buona azione. In ogni caso questa vincita non arrivò
mai e gli obblighi e gli arretrati nel frattempo accumulatisi rimasero
tali.
Bruno e Antonia avevano due figli grandi, Mario e Pietro, imbianchini
anchessi, e una figlia, Nora, che allora era in quel periodo di
grazia nel quale si prende coscienza degli inganni dellingenuità.
Già formosa a sufficienza da stimolare gli sguardi interessati
degli anziani al bar o dei seminaristi che giocavano a calcio nel campetto
del parco, sceglieva spesso vestiti audaci e appariscenti. Li comprava
al mercato di San Michele, giù alla Barriera, dove è possibile
osare anche con pochi soldi. Stava studiando allistituto professionale
di piazza Costantino, dietro la statua equestre, e il prossimo anno avrebbe
iniziato a tenere la contabilità al padre. Non che avesse un rendimento
scolastico particolarmente brillante, ma era pur sempre lunica della
famiglia che potesse dirsi istruita.
Finché era stata piccola aveva dormito nella stessa stanza del
Prua, ma da qualche tempo aveva trovato più opportuno dormire in
cucina. Aveva sistemato una brandina richiudibile dietro la porta e ogni
sera, dopo che si era sparecchiato e lavato i piatti, preparava il suo
letto per ridisfarlo il mattino successivo, prima della colazione. Forse
sarebbe stato più comodo continuare a stare con lo zio, ma, è
noto, i rischi che si corrono con i parenti a volte sono maggiori di quelli
che si corrono con gli estranei. Poi ci sarebbero state le dicerie, le
malelingue, le insinuazioni. No, molto meglio dormire in cucina. Del resto
il tinello, lunica altra stanza oltre le due camere da letto, era
già occupato dai fratelli che non ne volevano sapere di lasciarla
alla più giovane della famiglia. «Che si adatti, come abbiamo
fatto noi in gioventù» dicevano. E attaccavano con la tirata
sul servizio militare, che avevano fatto entrambi nei carristi, nel V
reggimento Arditi della Val Chiusa. Che poi era stata la loro
unica esperienza fuori di casa.
Avevano iniziato presto a lavorare, sempre con il padre e lo zio, e avevano
circoscritto il loro perimetro di conoscenze allinterno della famiglia.
Anche quando non cerano lavori da fare, cosa che succedeva di frequente,
non si allontanavano tanto spesso da casa e mentre Bruno se ne stava al
portone, in attesa di un impiego, loro bivaccavano in tinello fumando
le sigarette senza filtro che compravano, a credito, al bar dei Nani.
Come è comprensibile, la peculiarità principale degli imbianchini
era la loro morosità. Così come erano esposti verso i condomini,
maggiormente lo erano nei confronti della proprietà. LImmobiliare
Quattro Mura era allora proprietaria di sei o sette alloggi allinterno
del condominio, e uno di questi era quello occupato dagli imbianchini.
Ogni due mesi un incaricato passava a ritirare gli affitti. Arrivava con
la sua utilitaria bianca, di solito al mattino presto. Salutava la Nilde,
con la quale scambiava qualche battuta sul tempo o sulla salute che non
è mai buona ma non ci lamentiamo, poi iniziava il giro. Attorno
alla data di riscossione, un giorno qualunque dellultima settimana
del secondo mese, i maschi della famiglia solitamente sparivano. Simulavano
lavori fuori città, urgenti imbiancature in provincia che necessitavano
di assenze prolungate, improvvise chiamate da parte di qualche cliente.
E lasciavano Antonia e la figlia a fronteggiare il vampiro.
Nel tempo, Antonia aveva sviluppato una serie impressionate di scuse e
giustificazioni. La madre era morta più volte, lasciandola in un
tale stato di frustrazione che pagare laffitto era lultimo
dei suoi pensieri. «Sarà per la prossima volta» diceva
e andava a farsi una camomilla strascicando i piedi dentro le ciabatte
sformate.
Un paio di volte Nora era stata aggredita mentre andava a fare la spesa
e «io mi sono così agitata che ho perso anche i soldi che
avevo preparato. Pensi che cerano anche gli arretrati dei mesi precedenti»
diceva sinceramente turbata.
In almeno due occasioni era crollata a terra, vittima di un collasso,
nel momento stesso in cui apriva la porta. Lesattore aveva anche
aiutato la figlia a portarla sul letto per farla riprendere, ma lei stava
proprio male. Con i piedi sollevati da un cuscino, beveva lacqua
e zucchero preparata da Nora, mentre si faceva vento con limmagine
dei genitori, ormai morti e sepolti.
«Buonanime, quanto hanno sofferto!» diceva con la bocca impastata,
«e pensare che erano così contenti quando sono andati finalmente
in pensione. E invece non si sono goduti neanche il primo mese. Una vita
di lavoro per finire così» e giù lacrime calde e sincere
a bagnare il copriletto di poliestere.
A volte però doveva cedere. Di fronte alla risolutezza e allinflessibilità
dellaguzzino, una volta esauriti tutti i pretesti e smussato ogni
appiglio, non le restava che la sincerità. Apriva allora il proprio
animo, addolciva gli occhi e, con il capo reclinato, iniziava sommessamente
a confessare la propria indigenza, la mollezza del marito, il peso del
cognato e via così fino a sentirsi rispondere «suvvia signora,
non si disperi. Vorrà dire che verrò il mese prossimo. Ma
mi deve promettere che per allora avrà trovato i soldi».
«Certo, certo. Grazie ragioniere, lei è proprio gentile.
Venga in cucina che le faccio un caffè. Ci metto dentro anche la
sambuca così si rinforza un po, che la vedo un attimo sciupato».
Poi venne il tempo di Nora. Quando Antonia si rese conto che non avrebbe
potuto opporre unulteriore resistenza, sparì anchessa.
Una volta era a far visita a una parente ammalata, la volta successiva
si era recata da certi conoscenti per sbrigare una commissione. Unaltra
volta era lei stessa allospedale per un piccolo intervento; certo,
niente di serio, ma non si può mai sapere con queste brutte malattie
che ci sono in giro. In un caso era addirittura in questura, a testimoniare
per un delitto a cui aveva assistito, povera donna. Era lì a fare
il suo dovere di buona e onesta cittadina. Perché sul fatto che
Antonia fosse una buona e onesta cittadina non cerano dubbi. Tutto
il condominio, la Nilde per prima, poteva confermarlo. Come avrebbe potuto
allora occuparsi dellaffitto?
In quei frangenti era appunto Nora che apriva la porta. Lesattore
entrava, squadrava lappartamento, sbirciava in fondo al corridoio
per vedere se cera qualcun altro in casa, poi si sedeva sul divano
letto consumato, così senza parlare né chiedere il permesso.
Apriva quindi la cartella di cuoio logoro, ne traeva un pacco di fogli
tenuti insieme da un elastico e lo appoggiava sul tavolo di legno fuori
moda. Lo stesso sul quale Mario e Pietro gettavano i loro vestiti prima
di andare a dormire. Sfilava poi i fogli dallelastico e iniziava
a scorrerli tra le dita. Appoggiava lindice sulla lingua, lo ripassava
due volte in modo che fosse ben umido, lo accostava allangolo destro
del primo foglio, in alto, e lo girava. Riportava successivamente il dito
alla bocca e ripeteva il gesto, finché lintero plico non
era stato completamente sfogliato. Faceva questo tenendo la bocca semiaperta
e mostrando i radi denti gialli, mentre un filo di saliva scendeva dalla
piega delle labbra. Una volta finito risistemava i documenti. Li prendeva
con le due mani, li riallineava per il lato lungo, li batteva due o tre
volte sul tavolo per spianarne le pieghe dello spessore e infine iniziava
lentamente a parlare con la sua voce rassegnata.
«Vede, guardi qui. Quasi due anni di arretrati. Se continua così,
dovremo andare dallufficiale giudiziario».
«Ma io non capisco» diceva ben addestrata Nora, «i miei
genitori non sono in casa e io non saprei proprio come aiutarla».
«Ogni volta è la stessa storia» sbottava lesattore,
solo un po contrariato e per nulla sorpreso. «Sono mesi che
sento scuse, spiegazioni, alibi e non vedo il becco dun quattrino.
Ognuno ha i propri problemi per dio, e ognuno cerca di risolverli. Non
getta addosso agli altri il peso delle proprie disgrazie». Amava
esprimersi così, come fosse stato il protagonista di un romanzo
dappendice. Al centro di una grande disputa, nel bel mezzo di una
tragedia famigliare dagli esiti imprevisti e sconvolgenti. E quasi quasi
gli piaceva questo ruolo. Feroce, ma dalla parte del giusto. Al limite
tra la legittima cattiveria e laccanimento gratuito che è
proprio di chi abusa della posizione che ricopre.
«Conosco ogni sventura della vostra famiglia. Ogni avversità
che vi ha colpito, ogni singola sciagura, fatalità, lutto o accidente.
Ricordo a memoria ciò che vi è accaduto negli ultimi mesi.
Mi è nota lintera genesi delle vostre sfortune. La vostra
mala sorte non ha certamente uguali ma, per dio, a ogni cosa cè
un limite!»
«Ragioniere, le posso offrire un bicchiere dacqua del rubinetto?»
diceva allora Nora, evidentemente andando a memoria.
«Sì, sì. Un bicchiere dacqua, grazie»
rispondeva, affatto toccato dalla domanda.
A quelle parole Nora partiva alla volta della cucina, ondeggiando nellinnocente
malizia dei suoi giovani anni, per tornarsene poi con un bicchiere pieno
dacqua. E un tovagliolo, come certamente le aveva insegnato la madre.
«Sai» diceva a quel punto lesattore, prendendosi la
libertà di passare a un tono più intimo, ma comunque distante
«anchio ho una figlia più o meno della tua età.
Stessa semplicità nello sguardo, stesso timbro di voce, stessi
capelli portati liberi», e nel dirlo allungava la mano, con le dita
ancora umide, per accarezzarne le punte sfibrate. Indugiava per un istante,
quasi sospeso nel tempo e nello spazio, fino a sentire sul palmo screpolato
il tremolare dellelettricità lasciata dallo shampoo economico.
A quel punto Nora si ritraeva, ma solo un po. Abbassando gli occhi
con la noncuranza di chi non osa immaginare quello che potrebbe succedere.
Un leggero rossore sulle guance, forse causato dal caldo della bella stagione
ormai imminente. Poi, senza apparentemente curarsi delleffetto,
commentava.
«Veramente? Sarebbe bello se la potessi conoscere. Potrei venire
a casa sua».
No, meglio di no.
Poi tutto finiva. Il debito cresceva. E gli imbianchini guadagnavano un
altro mese, spostando lorizzonte qualche giorno più in là.
In attesa di quel lavoro che avevano promesso a Bruno. In attesa della
vincita milionaria al lotto. In attesa di tempi migliori.
E alla fine ci fu lo sfratto. Una mattina di novembre, saranno state le
sette e mezzo, lufficiale giudiziario si presentò. Era un
omino insignificante, stretto nel suo soprabito beige lavato troppe volte.
Con un cappello più largo della sua testa pelata e un paio di occhiali
cerchiati doro finto. Teneva in mano, impugnandola come unarma,
lingiunzione e camminava con attenzione, in modo da non sporcare
i mocassini estivi che ancora calzava. Era accompagnato da due vigili
urbani, evidentemente contrariati dallincarico. A metà tra
guardie del corpo e sorveglianti, lo scortavano un po da distante,
come se fossero lì per caso. Più dietro, infine, veniva
il fabbro addetto alla sostituzione della serratura. La Nilde non aveva
ancora preso servizio e il portone era chiuso. Piovigginava e un cielo
plumbeo e livido incombeva sulla città, mentre le luci dei lampioni
rischiaravano le prime ore del giorno. Lufficiale giudiziario si
fermò di fronte allingresso e scrutò i cognomi sul
citofono. Un ghigno feroce comparve sul suo volto quando riconobbe, tra
i tanti, quello degli imbianchini. Estrasse dunque dalla tasca del soprabito
un pacchetto di sigarette, scuotendolo con la mano ne fece uscire una
che addentò come un animale affamato. Ripose quindi il pacchetto
e tirò fuori dalla stessa tasca un accendino di metallo, con le
sue iniziali ben in evidenza. Fece ruotare la rotella metallica sulla
pietrina un paio di volte finché le scintille non furono sufficienti
a incendiare la miscela. Avvicinò quindi la fiamma allestremità
della sigaretta e aspirò voracemente. La brace che si formò
illuminò di rosso il suo viso, sottolineando le profonde rughe
che gli incorniciavano la bocca, e gli schiarì lombra sotto
la falda del cappello. Trattene il fumo nei polmoni per qualche istante
poi, senza nessun rumore particolare, lo soffiò fuori in una densa
nuvola vaporosa. Proprio in quellistante la Nilde aprì il
portone.
Il piccolo corteo si rimise in moto, attraversò la soglia e senza
mostrare una particolare fretta, si avviò lungo le scale. La portinaia
non fece domande né si chiese dove fossero diretti. Anche se era
suo preciso compito identificare tutti coloro che entravano nel condominio,
e su questo lamministratore si era mostrato più volte inflessibile,
non ci fu bisogno di nessuna spiegazione. Si limitò a guardare
i quattro uomini che le rivolsero appena il saluto, ai quali rispose annuendo,
e a sospirare come se dovesse liberarsi da un peso. Tra tutti la colpì
il fabbro. Un ragazzo giovane, sicuramente meno che trentenne, che trascinava
la sua pesante borsa di attrezzi in coda alla squadra. Aveva una tuta
blu, come quelle che si usano in fabbrica, e occhi luminosi e gioviali.
In netto contrasto con il resto del gruppo. A differenza degli altri non
aveva un berretto e i sui ricci folti e neri gli ricadevano sulle spalle
in un ondeggiare disordinato. Stette a guardarlo senza una precisa ragione,
finché non scomparve dietro la seconda fila di gradini, poi si
girò e iniziò il suo lavoro. Fuori si era ormai fatto giorno.
Per circa due ore non successe niente, poi lentamente iniziarono a scendere
gli imbianchini. Per prima comparve Antonia, pallida e cerea come una
statua, immediatamente seguita da Nora. Portavano ciascuna due grosse
borse di tela, con su stampate le pubblicità dei detersivi, strabordanti
di vestiti e biancheria. Poi arrivarono figli, apparentemente indifferenti
e distaccati. Trascinavano un grosso baule verde, con i bordi in legno
e una grossa serratura dottone, cha a ogni scalino rimbombava come
di ferraglia. Alla fine spuntò Bruno, accompagnato come al solito
dal fratello, con in mano il cappello da pittore che non abbandonava mai.
Con unespressione incredula stampata sul volto, si guardava in giro
nel tentativo di convincersi che quella era una giornata del tutto normale.
Incapace di dare o trovare una spiegazione, ruotava le orbite degli occhi
come in preda a un delirio imprecisato. Ancheesso pallido e smunto
come la moglie, sembrava non avere premura. Camminava per inerzia, quasi
con prudenza. Attraversò landrone e uscì fuori. La
pioggia e laria umida lo scossero, come risvegliandolo da uno stato
di trance. Si volse e guardò unultima volta il palazzo che
per tanto tempo era stato la casa della sua famiglia. Poi, rivolto al
Prua, disse: «Antonio, guarda. La facciata è completamente
scolorita. In certi punti la tinta originale è del tutto scomparsa.
Prima o poi dovremo deciderci a ridipingerla».
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