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LA STORIA
La vita di Dante (Durante) Alighieri
Dalle indicazioni che il sommo poeta stesso fornisce nella Divina Commedia,
quando recita: "Nel mezzo del cammin di nostra vita", tenendo
conto che in quel periodo la vita media aveva una durata di settant'anni,
significa che era nato trentacinque anni prima, e cioè nel 1265.
Nel Paradiso dice di aver respirato la prima volta l'aria di Toscana quando
il sole era nella costellazione dei Gemelli, quindi è nato fra
il 21 Maggio e il 21 Giugno. Molto probabilmente è nato alla fine
di maggio, nella gran villa degli Alighieri.
La famiglia, di parte guelfa, apparteneva alla piccola nobiltà
fiorentina e viveva in modeste condizioni economiche.
Il padre Alighiero Alighieri da Bellincione era un cambiavalute, forse
un prestatore di denaro e usuraio, e se vogliamo credere a Forese, discendeva
da Cacciaguida, cosa di cui Dante era molto fiero.
Sua madre era Gabriella degli Abati, un'importante famiglia ghibellina.
Fra i cinque e gli otto anni di età, Dante perse la madre. Suo
padre si risposò con Lapa di Chiarissimo Cialuffi, dalla quale
ebbe altri due figli di nome Tana e Francesco, che saranno i fratellastri
di Dante.
Nella 'Vita Nova', un'opera giovanile dedicata alla sua amata Beatrice,
Dante affermò che la vide per la prima volta a nove anni. Beatrice,
che diverrà moglie di Simone dei Bardi, cominciò a salutarlo
quando Dante aveva diciotto anni; era talmente innamorato di lei da arrivare
all'abbrutimento, dal quale guarirà con l'aiuto di amici, fanciulle
pietose e sogni premonitori. Ricorderà questo amore tutta la vita.
Dante studiò le arti del trivio: grammatica, retorica, dialettica,
e il quadrivio: aritmetica, musica, geometria e astronomia.
Suo padre morì presto, e con la modesta eredità continuò
a studiare.
Nel 1285 sposò Gemma di Manetto Donati.
Sempre nel 1285, prese probabilmente parte alla spedizione contro il castello
di Poggio Santa Cecilia; nel giorno 11 Giugno 1289 combatté nella
battaglia di Campaldino, il 16 Agosto dello stesso anno partecipò
all'assedio del castello pisano di Caprona.
Dante ha avuto quattro figli: Giovanni, Pietro, Jacopo, Antonia.
Nel 1287 trascorse un breve periodo a Bologna.
Nel 1290 morì Beatrice, a soli 24 anni, e Dante entrò in
grave crisi.
Fra il 1290 e il 1295, finì di comporre 'Vita Nova' e si impegnò
negli studi filosofici e teologici.
Nel 1295 iniziò a interessarsi di politica, a merito di una disposizione
che permetteva ai nobili di partecipare al governo dello stato popolare,
purché fossero iscritti a una corporazione.
Dante si iscrisse alla corporazione dei medici e degli speziali, ed entrò
subito a far parte dei trentasei del Capitano del popolo, poi entrerà
nel Consiglio dei Savi e nel Consiglio dei Cento. Scelse la parte dei
guelfi bianchi, che era la più popolare.
Nel 1300 entrò a far parte dei Priori, il massimo organismo di
governo dei comuni.
Il 27 Giugno del 1300, Dante si oppose alla richiesta del Papa che voleva
il vicariato sulla Toscana, poi si rifiutò di fornirgli cavalieri
fiorentini per aiutarlo nella guerra contro Margherita Aldobrandeschi.
Queste decisioni fecero arrabbiare papa Bonifacio VIII, che nel settembre
dello stesso anno inviò a Firenze Carlo di Valois come paciere,
ma in realtà con il compito di appoggiare i guelfi neri e di bandire
i bianchi dalla città.
In ottobre Dante fu inviato insieme ad altri due compagni del comune di
Firenze a Roma, come ambasciatore presso Bonifacio VIII. I suoi compagni
furono congedati presto, mentre Dante fu trattenuto a sua insaputa per
favorire l'ascesa dei guelfi neri.
La vendetta dei guelfi neri sarà impressionante: Carlo di Valois,
designato da Bonifacio VIII, mise la città di Firenze a ferro e
fuoco, e fece eleggere podestà il nero Cante Gabrielli; si aprì
un'inchiesta contro i bianchi, e Dante venne accusato di baratteria, opposizione
al Papa, e concussione, fra le altre cose.
Il 27 gennaio 1302, mentre con ogni probabilità stava rientrando
a Firenze, Dante fu condannato a due anni di confino, all'interdizione
a vita dai pubblici uffici, e al pagamento di cinquantamila fiorini piccoli.
Il 10 Marzo dello stesso anno, non essendosi presentato per pagare e per
difendersi, venne condannato al rogo con altri quattordici imputati, i
suoi beni furono confiscati e la casa distrutta.
Dante iniziò così l'esilio che durerà per tutta la
vita.
Fu così che iniziò quell'esistenza errante fatta di peregrinazioni
da una corte all'altra, "quel scendere e salir per l'altrui scale
in dolorosa povertade", di cui il poeta tanto soffrì.
Fino a quel momento aveva scritto la 'Vita Nova', gran parte delle 'Rime',
'il Fiore', 'il Detto d'amore' e i primi sette canti dell''Inferno'.
In un primo tempo Dante restò in Toscana, e partecipò insieme
ai ghibellini ad alcune riunioni per preparare una spedizione militare
contro i guelfi neri. Furono sconfitti, e Dante, forse per preparare meglio
un'altra spedizione militare, si spostò a Forlì alla corte
di Scarpetta degli Ordelaffi, dove fu nominato capitano generale dell'esercito
degli esuli.
Anche una seconda battaglia al Mugello si concluse con la sconfitta dei
bianchi. Allora Dante si rifugiò a Verona alla corte di Bartolomeo
della Scala, dove si trattenne fino al 1304.
Il giorno 11 Ottobre 1303 morì papa Bonifacio VIII, e il nuovo
Papa Benedetto XI mandò a Firenze un paciere.
Dante, probabilmente da Arezzo, vide la missione del paciere fallire.
I guelfi bianchi, d'accordo con i ghibellini, attaccarono i neri alla
Lastra il 20 Luglio 1304, e furono sbaragliati.
A quel punto Dante decise di pensare solo a se stesso, però aveva
gravi problemi economici e solo il fratello lo aiutò in qualche
misura.
Per necessità diventò uomo di corte, poeta, segretario,
ambasciatore e delegato dei maggiori signori dell'Italia settentrionale,
che gli offrirono ospitalità accettata con grande umiliazione.
Restò alla corte di Gherardo da Camino dal 1304 al 1306, poi a
Padova, a Venezia, nella Marca Trevigiana.
Nel 1306 è presso i conti Malaspina in Lunigiana, e conclude la
pace con il vescovo di Luni.
A Bologna conoscerà il poeta Cino da Pistoia.
Nel 1307 è a Lucca presso Guido di Battifolle, poi è ospite
di una gentildonna di nome Gentucca, ricordata nel 'Purgatorio'.
Sembra che sia stato anche a Parigi fra il 1309 ed il 1310; ma rientrò
velocemente in patria, perché l'imperatore Arrigo VII aveva deciso
di scendere in Italia, e Dante sperava di poter tornare a Firenze.
Furono anni molto tristi, per il poeta. A seguito delle esperienze negative,
si allontanò sempre più dai guelfi bianchi fino a diventare
ghibellino, però si conservò al di sopra delle parti, tanto
che il suo migliore amico era Moroello Malaspina, dei guelfi neri.
Nel primo decennio del 1300 scrisse intensamente. Citerò il 'De
Vulgari Eloquentia', 'Il Convivio', e la stesura dell''Inferno', intorno
al 1309.
Dante intitolò la sua maggiore opera: 'La Commedia' (in seguito
chiamata Divina Commedia), ma già prima era stato scritto qualcosa
di simile da Bonsevin De La Riva, fra il 1271 e il 1274: 'Le tre scritture'
(Inferno, Purgatorio, Paradiso). Dante lesse di sicuro quel libro, visto
che la struttura della Divina Commedia segue lo stesso schema narrativo
e la stessa ambientazione.
Nel secondo decennio del 1300 rinunciò definitivamente a Firenze.
Appoggiò l'imperatore Enrico VII esaltandone la missione di pace
e giustizia con un'epistola, e andò con altri ghibellini a rendergli
omaggio.
Nel 1311 Arrigo viene nominato re d'Italia, e Dante è ospite dei
conti Guidi.
Nell'epistola per la nomina di Arrigo a re d'Italia, Dante lo esorta a
scendere in Toscana; poi ne scrive un'altra, piuttosto celebre: 'Agli
sceleratissimi fiorentini', in cui rimprovera i suoi concittadini perché
resistono all'imperatore.
Scrive tre volte all'imperatrice Margherita, a nome della contessa Gherardesca
figlia di Ugolino.
L'imperatore arrivò in Toscana nel marzo 1312 e si fermò
a Pisa. Forse è proprio qui che Dante conobbe il Petrarca fanciullo.
Solo in settembre l'imperatore assediò Firenze, e Dante non vi
partecipò. L'imperatore non riuscì a piegare i fiorentini
e ripartì per Roma; durante il viaggio, nel mese di agosto del
1313, fu colpito da febbre malarica e morì a Buonconvento, in provincia
di Siena.
Dante ne fu amareggiato: era convinto che l'imperatore Arrigo VII fosse
stato inviato da Dio per compiere la missione di riportare la pace in
Italia. Ormai Dante era un monarchico convinto, e metterà Arrigo
nel 'Paradiso', seduto su un alto seggio sormontato da una corona imperiale.
Tra il 1312 e il 1313 va collocata la sua opera 'La Monarchia', che viene
annoverata nel periodo filosofico, e dove quasi prevede ciò che
succederà molto più tardi, con la divisione dei poteri fra
la Chiesa e lo Stato.
Nei tre anni di Arrigo compose 'Il Purgatorio', revisionò l''Inferno',
e sembra che abbia iniziato il 'Paradiso' a Verona, presso Cangrande della
Scala.
Pubblicò 'L''Inferno' alla fine del 1313, 'Il Purgatorio' nell'autunno
del 1315, e poi le prime tre epistole del 'Paradiso'.
Nel 1315 il Comune di Firenze deliberò l'amnistia per tutti gli
esuli, se avessero pagato una multa e se avessero fatto un'offerta nel
giorno di San Giovanni.
Nell'epistola 'All'amico fiorentino', Dante respinse l'umiliazione della
multa e dell'offerta, che gli sembravano un riconoscimento delle proprie
colpe, e scrisse: "Non è questa la via per tornare in patria;
ma se altra sarà trovata che non deroghi alla fama e all'onore
di Dante, prontamente l'accetterò".
Il 15 Ottobre del 1315 è di nuovo condannato a morte insieme ai
figli, nonché alla confisca e distruzione dei beni.
Dopo sei anni trascorsi a Verona, forse nel 1318, si trasferì a
Ravenna alla corte di Guido Novello da Polenta, e portò a termine
Il 'Paradiso'.
Nei tre anni successivi scrisse la 'Quaestio de aqua et de tera' e le
due 'Egloghe latine', indirizzate a Giovanni del Virgilio.
Questo è il periodo più tranquillo della sua vita, è
circondato da amici letterati e dallo stesso Guido Novello, e lo raggiungono
i figli: Giovanni, Pietro, Jacopo, e Antonia che si è fatta suora
con il nome di Beatrice.
Dante morì di febbri malariche il 13 settembre del 1321, al ritorno
da Ravenna dov'era andato per sanare un problema con la Repubblica di
San Marco, che si lamentava degli attacchi delle navi ravennati alla flotta
veneziana.
Dante Alighieri fu sepolto nel convento di San Francesco.
Il 'Paradiso' fu pubblicato postumo: si narra che il figlio, dopo aver
sognato Dante, trovò gli ultimi tredici canti che il poeta aveva
nascosto prima di partire per Ravenna.
Firenze reclamò la sua salma per tanti anni.
La sua principale opera, intitolata solo nel 1500 'Divina Commedia', cambiò
la lingua degli italiani e divenne uno dei libri più famosi al
mondo.
In molti pensano che Dante Alighieri fosse vicino ai templari.
Cino da Pistoia, vissuto fra il 1270 e il 1336, era un poeta e giurista
italiano.
Pierre di Belleperche, vissuto fra il 1250 e il 1308, era un grande giurista.
Moroello dalla Spina (Malaspina), vissuto fra il 1268 e il 1315, era un
grande nobile.
I templari
Nell'epoca dei Comuni, dove i cittadini erano liberi, il problema maggiore
per i regnanti era come finanziarsi. Infatti non esisteva ancora un sistema
fiscale, e la tassazione dei sudditi era occasionale, perché richiedeva
il consenso degli stessi.
Per questo motivo, Filippo il Bello, re di Francia, si rivolgeva sempre
più spesso all'Ordine dei templari per finanziarsi.
I templari avevano accumulato enormi ricchezze, e avevano la tesoreria
principale nel Tempio, una fortezza eccezionale posta nel centro di Parigi.
Filippo il Bello, inventando di sana pianta che i Templari si dedicavano
a riti segreti e oscuri, in una sola notte (13 Ottobre 1307), si impadronì
del Tempio di Parigi e fece arrestare tutti i Templari di Francia. Li
accusò di eresia e di ogni malefatta, facendo leva sulle superstizioni
e sulle immagini di stregoneria demoniaca del pensiero medievale. I templari
furono accusati di sodomia, di chiedere agli iniziati di rinnegare Dio,
Cristo e la Madonna; di sputare sulla Croce e di calpestarla, di dare
il bacio al priore dell'Ordine sulla bocca, sul pene e sulle natiche.
La retata era stata preparata per mesi e preceduta da una campagna diffamatoria
contro le vittime, seguita poi da un processo in cui i capi templari furono
costretti dalla tortura ad autoaccusarsi di colpe immaginarie.
Il Gran Maestro Giacomo De Molay fu colto di sorpresa, e forse contava
sulla protezione di Papa Clemente V, anche perché il suo predecessore
Bonifacio VIII aveva scomunicato Filippo il Bello nel 1303. Ma il Papa
emise addirittura una bolla nel 1312, dove sciolse l'Ordine senza prove.
Giacomo de Molay confessò sotto tortura, e confermò ogni
accusa per porre termine alle sofferenze, poi ritrattò e venne
condannato al rogo.
Il 18 Marzo 1314, De Molay e Goffredo di Charneu, che si dice custodisse
la Sacra Sindone, salirono sul rogo dopo essersi tolti i mantelli bianchi
perché le fiamme non li toccassero. Giacomo de Molay, prima che
la condanna fosse eseguita, predisse la morte del Papa entro quaranta
giorni e quella del re entro l'anno.
Trentasette giorni dopo morì Clemente V, otto mesi dopo fu la volta
di Filippo il Bello.
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