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Brano
tratto da "La
strategia del gatto".
Mangiavo
sempre un cioccolatino alle undici. Lo faccio ancora. È lunica
abitudine che non ho cambiato.
Ero a casa da qualche giorno. Infortunio sul lavoro. Come puoi avere un
incidente quando passi la giornata seduta a una scrivania! Questo era
stato il commento della famiglia al fatto. Io però ci ero riuscita:
a inciampare nel cavo del computer e a precipitare sul pavimento e rompermi
un braccio, il sinistro.
Avevo già compiuto quarantadue anni. Ero sposata da undici con
un bancario. Non avevamo figli. Lavoravo, allora, come impiegata tuttofare
in una fabbrica di cioccolatini nudi, torroni, praline, uova pasquali,
frutti di mare e pesci daprile. Nei corridoi cera sempre
un buon odore di cacao. Dalla finestra dellufficio si vedeva una
pianta di rose arrampicata al muro del cortile. Andava tutto bene, nessuno
lavrebbe immaginato.
Il pomeriggio, lasciato lufficio, facevo qualche commissione, portavo
la spesa alla mamma, povera mamma, che viveva da sola; passavo a prendere
i miei nipotini in piscina, tanto era di strada e mio fratello aveva sempre
da fare; tornavo a casa, preparavo la cena e, mentre aspettavo mio marito,
scambiavo qualche parola, al telefono, con la mia amica del cuore. Era
una vita tranquilla, quella di allora, senza imprevisti. Il venerdì
venivano a trovarmi i miei nipotini e preparavo una torta. Cominciate
ad annoiarvi? Volete già abbandonarmi? Coraggio!
Il sabato non andavo in ufficio perciò pulivo la casa, stiravo
le camicie, sturavo il lavello, sbloccavo la tapparella, riparavo la maniglia.
La domenica andavo a pranzo dalla suocera, o dalla mamma, a domeniche
alterne. Poi ci fu lincidente. E la mia vita cambiò, in modo
singolare. Ma per capire come devo raccontare molte altre cose.
Ero a casa, in quei giorni, con il braccio sinistro rotto e mi davo da
fare con il braccio destro. Quellinfortunio era unottima occasione
per rimettermi in pari con: pulizie, bucato, cambio di stagione, rammendo
calzini. Come ogni donna che lavora, cioè che lavora fuori casa
e non solo dentro, avevo la faccenda arretrata cronica: in ogni stagione
montagnole di panni sporchi traboccavano dal cestone, di cui da anni non
vedevo più il fondo; montagnole di panni da stirare sovrastavano
la poltrona in camera da letto, in una periodica transumanza da una montagnola
allaltra, senza che mai, la biancheria, riuscisse a raggiungere
la pace di un cassetto.
Avrei potuto anche pulire i vetri e il frigorifero e il carrello della
frutta, con il braccio destro incolume, bastava organizzarsi. Lorganizzazione
era il mio forte! Lunica cosa veramente complicata da fare con un
braccio solo era rammendare i buchi nei calzini.
Passerà presto, vedrai, mi diceva mio marito. Invece una mattina
inciampai nel secchio e caddi, battendo il ginocchio, quello destro. Rimasi
a terra non tanto per il dolore al ginocchio, quanto per lo sconforto.
Insomma, mi sentivo più scema che triste. Guardavo il soffitto
sopra di me, lontano, bianco, tremolante, attraverso il velo delle lacrime,
e mi sembrava il cielo di un altro pianeta. Mio marito mi trovò
ancora stesa là, come se il pavimento fosse una spiaggia e il lampadario
fosse il sole. Sì, sono caduta, di nuovo!
Il medico di turno al pronto soccorso, chissà, forse mi riconobbe
e, mentre mi medicava, commentò:
- Avevo un gatto che ogni due e tre cadeva dal balcone, giù, dal
secondo piano. Non si faceva niente, ma ci rimaneva male, il fesso, però
mica se lo ricordava che non era per lui camminare sulla ringhiera, e
giù unaltra volta, finché un bel giorno ha infilato
le scale e non lho visto più.
Il ginocchio non era rotto, però dovevo rimanere a riposo per qualche
tempo, a letto o in poltrona. Ferma. Obbedii.
Di solito ero io ad alzarmi per prima, la mattina. Ora mio marito mi dava
un bacio al volo, mentre ero ancora a letto, e correva via dicendo:
- Stai bene? non ti stancare, ti chiamo.
- Sì, ma ho fatto uno strano sogno
Così restavo sola, senza niente da lavare, pulire, ordinare. Non
ero una maniaca delle pulizie, ma qualcuno doveva pur farle. Come avremmo
potuto andare avanti? Saremmo finiti seppelliti dalla sporcizia, soffocati
dagli acari
E la mamma? Come avrebbe fatto senza di me? era anziana, vedova da tanti
anni, aveva le sue abitudini, anche le sue manie, però mi voleva
bene e aveva bisogno del mio aiuto. I nipotini avrebbero perso la danza
e la piscina. Mio fratello non aveva tempo per accompagnarli e sua moglie
era tanto stressata. Il capo, poi, era disperato per il mio infortunio.
E mio marito non era capace neppure di cucinare un uovo, e quando comprava
il latte dimenticava il pane e viceversa. Continuavano a venirmi in mente
motivi di sconforto. Alle condizione del braccio e del ginocchio non ci
pensavo.
Seduta in poltrona cercavo bottoni da attaccare e orli da rifare, ma non
ne avevo abbastanza neppure per un braccio solo. Finivo a guardare la
televisione, sfogliavo una rivista, mi annoiavo e mangiavo cioccolata.
Nelle riviste le donne erano tutte giovani e belle, mai una ruga, mai
un po di pancia. In televisione erano tutte giovani e belle, mai
un paio di occhiali, un capello bianco, o una faccia giù di morale,
e tutte indaffarate. Era una finzione, lo sapevo, frutto dellabile
arte di truccatori, fotografi e chissà chi
Il mondo è fatto così, è pieno di promesse: cuscini
ergonomici, padelle antiaderenti, creme antirughe che, dopo un mese, si
afflosciano, si bruciano, ti guardano dallo specchio per dirti: quanto
sei scema!
Nella tarda mattinata arrivava la mamma. Ormai usciva solo per le grandi
occasioni, matrimoni e funerali, per me stava facendo uneccezione,
con grande sacrificio, ma non proprio in silenzio. Si toglieva la giacca,
sospirando:
- Come sta la mia bambina sfortunata?
- Bene, mamma.
- Ma che bene! Con una frattura al braccio e pure al ginocchio. Ti fa
male?
- No
però ho fatto uno strano sogno
- Io ho un dolore nella spalla, non posso alzare il braccio più
di così; e le ginocchia! ormai non posso più salire le scale.
- Mi dispiace!
- Sei stata fortunata a non romperti la testa, eppure io te lho
sempre detto di non metterti le scarpe coi tacchi.
- Ma io non
- Voi donne moderne, volete essere sempre affascinanti! ai miei tempi
dovevo mettere il rossetto di nascosto, una volta dimenticai di toglierlo
prima di tornare a casa e mio padre mi inseguì col bastone, e neppure
le calze mi faceva mettere, ho portato i calzini bianchi fino al giorno
del matrimonio, e oggi vedi solo ragazzine truccate con la pancia da fuori,
lorecchino al naso e i capelli verdi, se ne accorgeranno poi, quando
gli verrà lartrosi, con tutte le correnti daria che
prendono alla schiena.
- Hai ragione, mamma.
- Tuo fratello ti manda i saluti, ha chiesto a me come stavi, appena può
ti viene a trovare.
- Va bene, mamma.
- Andrà tutto a posto, sei giovane.
La mamma mi preparava il brodo vegetale, perché ero malata, anche
se io avrei mangiato un chilo di cannelloni, due chili di arrosto e una
torta caprese da tre chili. Mangiavamo insieme, io con un orecchio al
telegiornale nazionale e un orecchio al mammagiornale del
quartiere:
-
perché lui se la intende con la vigilessa, quella bionda,
uno scandalo
perciò la moglie se lo tiene in casa, ma non
gli fa mai trovare la cena pronta
e sapessi la puzza, non lava mai
e cha pure il cane
va a buttare le bottiglie di birra vuote
la sera tardi, per non farsi vedere
Poi la mamma se ne andava, dopo avermi dato le ultime raccomandazioni,
stai attenta alle correnti daria, e io potevo finalmente
riposare.
Mi stendevo sul letto, mangiavo un altro pezzetto di cioccolata e aspettavo
la telefonata di mio marito. Sì sto bene. La mamma è
venuta. Ho mangiato il brodo. Però ho fatto un sogno così
stran
sì, certo, portami i cioccolatini. Un bacio.
Aspettavo un altro po, gli occhi si chiudevano, squillava il telefono:
la mia amica del cuore mi telefonava ogni pomeriggio, puntuale, sempre
mentre facevo la pennichella; sempre per parlarmi del suo ultimo fantastico
ragazzo, appena conosciuto (tenero, affettuoso, romantico) o appena piantato
(insulso, maschilista, bastardo).
- Forse stavi riposando? Ti disturbo?
- No, dormo poco, eppure ho fatto un sogno così strano
- La mia vita è tutta un incubo.
- Non preoccuparti. Sfogati pure.
Nel pomeriggio accendevo di nuovo il televisore, saltellavo fra i canali,
quiz, animali, ricette, quiz, animali, ricette, gente che litiga. Non
conoscevo le risposte alle domande dei quiz. Le tigri in corsa nella savana
mi davano ai nervi, le scimmie saltellanti sui rami mi scocciavano, e
invidiavo persino i coleotteri, perché tutti avevano un gran da
fare, mentre io non potevo neppure provare una nuova ricetta. Mi fermavo
per un po ad ascoltare le storie tristi di quelle donne normali
sparite allimprovviso, lasciando mariti, figli e amici a lanciare
appelli nei programmi del mattino e della sera. Sparire così, senza
un saluto, non sono cose da fare, però mi pareva di capirle. Io
non lavrei mai fatto, anche se in quei giorni... Mi annoiavo! Vi
annoiate? Perseverate e avrete una bella sorpresa.
Per il momento stavo ancora seduta sul letto, cercando invano di grattarmi
il polso con una forchetta infilata nellingessatura, mentre milioni
di acari ridevano di me, e colonizzavano irrimediabilmente il mio materasso,
e partivano per gite sullo scendiletto, e progettavano la seconda casa
sul pavimento, sotto al letto, su cui ormai la polvere stratificava e
si aggregava in mostruosi nippoli. (Se non sapete che cosa sono i nippoli
date un occhiata sotto al letto perché non ho trovato unaltra
parola).
Era mio marito in quel periodo a fare la spesa. Tornava a casa con la
busta del supermercato e unaria spossata da combattente di ritorno
dal campo di battaglia. Marito eroico, riottoso, afflitto, strisciava
i piedi, apriva le braccia, negli occhi unombra, seria come un rimprovero.
Poi, però, mi baciava. È un belluomo, mio marito,
almeno per me: alto, occhi verdi, ormai pochi capelli, ma ancora scuri
e riccioluti. Mi salutava sempre con un bacio e mi chiedeva:
- Come è andata oggi? come ti senti? ti fa male il braccio?
- Oggi meno.
- Ma sei pallida, hai mal di testa?
- No, io non ho mai mal di testa, lo sai. Sto bene.
- Sei fortunata a potertene stare comodamente a casa.
- Sì, però mi annoio a stare da sola tutta la giornata.
Pensa che ho fatto un sogno talmente curioso
Non potresti rimanere
a casa stasera?
- Hai ragione, ma la mamma ci rimarrebbe male
se me lo dicevi prima.
Quando torno ti porto una sorpresa.
Mi diede un bacio e se ne andò, a cena da sua madre.
Mio marito andava a giocare a tennis con Pasquale il martedì sera
(ci vuole un po di moto); a cena dalla mamma il giovedì (era
vedova e sola); al circolo degli universitari il venerdì (bisogna
allenare anche la mente); il sabato spariva già dalla mattina,
per vaghe commissioni, e io rimanevo a casa, ma di solito avevo sempre
tante cose da fare e neppure mi accorgevo di essere sola. Daltronde
nelle sere in cui rimaneva in casa, mio marito si rinserrava nello studiolo,
davanti al computer, mentre io continuavo a sfaccendare per casa o mi
addormentavo davanti al televisore. Adesso, invece
Successe proprio quel giovedì sera. Piano piano strisciai fino
al soggiorno, appoggiandomi al muro del corridoio, tanto per fare qualcosa,
mi sedetti in poltrona e rimasi a guardare le foglie avvizzite della pianta
senza nome. Avrei dovuto annaffiarla, povera pianta! Ma non ne avevo voglia.
Mi sentivo sempre più pesante e floscia, come un strofinaccio usato.
La noia mi avvolgeva.
La casa era silenziosa, quieta. Dalla cucina arrivava il ronzio del frigorifero,
placido come il ronfare di un gatto. Le ombre calavano sulla stanza, dalla
tenda del balcone filtrava appena un riverbero di luce rosata, eppure
non stendevo la mano per accendere la lampada sul tavolino. Provavo una
strana sensazione di mollezza, vuoto, torpore che mi attraeva sempre più
eppure
mi sentivo bene. Mi annoiavo? Mi rilassavo, oziavo e MI PIACEVA.
Mio marito tornò che già dormivo e la mattina trovai sul
comodino una scatola gigante di cioccolatini.
Quella mattina ebbi anche unaltra sorpresa: venne a trovarmi mia
suocera, che non veniva da quando le si era otturato il WC, tre anni prima.
E questa era la sua unica caratteristica positiva. Sicuramente mio marito
le avevano parlato di me per tutta la sera. In pratica le raccontava tutti
i fatti miei. Ero il loro argomento preferito. Infatti appena la incontravo
la suocera mi diceva: ti è passato il raffreddore? hai fatto pace
con la collega? si è tolta la macchia sul divano?
Aprii la porta e la suocera entrò, con una espressione afflitta
che significava: a me non sarebbe capitata mai una cosa del genere
e mi disse, con un certo disgusto:
- Come stai?
- Mi sento un po stanca.
- Se non fai niente! Hai mal di testa?
- No, io non ho mai mal di testa.
- Ti ci vorrebbe un figlio. Sei ancora giovane.
Poi arrivò la mamma. Rimasero a parlare fra loro di detersivi,
punti del latte, persone sconosciute e dellimmoralità della
televisione. Io continuavo a sorridere e ad annuire, come quei pupazzi
di una volta, con la testa che dondolava su e giu. Mi sentivo come quando,
da bambina, i miei mi portavano a visitare certi parenti, in una grande
casa senza bambini, e io rimanevo tutto il tempo in salotto, seduta in
mezzo ai discorsi degli adulti, con in mano una fetta di torta che mangiavo
lentamente, perché se finiva non sapevo cosa altro fare
e
ora non avevo nemmeno la torta! Sbadigliai. La noia di nuovo strisciava
ai miei piedi, lindolenza mi avviluppava, piacevole fiacca, suadente,
sorprendente.
Fu allora che sentii un cigolio, credetemi, un gemito di legno esausto
e le due sedie su cui erano sedute le due mamme cedettero, di schianto,
allunisono. Rimasero a terra a gambe larghe e rotte, le sedie; a
gonne allaria, le mamme. Si aiutarono a rialzarsi, controllando
a vicenda la solidità delle rispettive ossa, mentre io le guardavo
proprio a bocca aperta, troppo stupita per ridere. La mamma, giustamente,
protestò:
- Non fanno più le sedie di una volta, tutta roba cinese, fatta
giusto per rompersi, ai miei tempi don Filippo, il falegname
Le mamme se ne andarono, indignate. Quando mio marito tornò era
già stato informato da sua madre, ma mi fece ripetere decine di
volte laccaduto, mentre raccoglieva sbuffando i resti delle due
stremate sedie, ancora sparsi nel soggiorno. Non erano vecchie, le sedie.
Non avevano mai dato segno di debolezza. Non si erano fatte niente, le
mamme. A mio marito dispiaceva per la mamma. A me dispiaceva di più
per le eroiche sedie.
In quanto a quello strano sogno
avevo sognato che le vipere volanti
avevano invaso la terra, mordevano le persone e le uccidevano. Cavevano
pure la faccia, con certi denti e certi occhi! Ma quando tutto sembrava
perduto intervennero i robot, immuni ai morsi velenosi con i loro corpi
metallici e, nonostante fossero stati sempre sfruttati dagli uomini, trattati
come schiavi, decisero di salvare lumanità e abbatterono
tutte le vipere a ceffoni.
(...)
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