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Brano
tratto da "Io sto bene"
(...)
La
notte in cui il macellaio perse la voce
(23 gennaio 1992)
Dopo questa
mi sento completamente bruciato, e non bruciato poco, roba dellaltro
mondo, roba che arriva da chissà dove e che ora è tutta
qui dentro.
Urlano, urlano, ma che cazzo si urlano?!, smettete di urlare!, gli urlo.
Ma quelli non smettono. Che rompicoglioni. Vogliono che vada sul palco,
che palle
se la cantassero da sola, la loro stramaledetta canzone,
io ho altro per la testa, ho davvero altro, che mi circola in testa, ah
ah ah, meerda.
Mi accascio per terra.
Meerda.
Sta roba ti strizza tutto, ti strizza col botto.
Devo avere una faccia da morto, altrimenti questi quattro frignoni qua
davanti non me lo spiego proprio perché urlano, sbraitano e bestemmiano
e mi tirano la giacca, i capelli, uffffff
.
Ma che volete? Ma che cazzo volete?
Devi salire, cazzo! devi salire!, berciano i frignoni.
Quel frocio di Luca che sbava e sincazza.
Calmati, bello, che ti viene un infarto, gli dico, ma lui se ne frega,
anzi, sincazza ancora di più e continua a sbavare e mi sento
il suo alito caldo del cazzo sulla bocca e su tutta la faccia e si meriterebbe
proprio un bel ceffone, sì, un bel ceffone dritto su quella faccia
di merda che urla, urla e sembra buona solo a urlare
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!
Ora sta zitto, finalmente. Ci vuole un matto per competere con i matti:
questa è la verità.
Volete che faccia il matto? È questo quello che volete? Volete
un matto? Perfetto! Eccolo qua!
Glielo dico così, chiaramente.
Non possono pretendere proprio un cazzo da me... banda di froci!
Lo sanno tutti che a Luca quando si spengono le luci gli piace prenderlo
al culo, ah ah ah!
Glielho detto. Ah, da quantera che volevo farlo
Ma non è il momento di liberazione che credevo. No: non era così
che limmaginavo.
Li sento che bisbigliano, che confabulano e pss e pss e pss, ma che cazzo
si dicono?
È matto, si stanno dicendo.
È svalvolato, completamento fuso.
Rottame, mi gridano.
Fanculo, gli rispondo. Froci pure voi. Froci, froci, froci! Froci maledettiiii
iiiiiii
e cerco di aspettare che si disperdano, che si levino di
torno, ma non cè verso, scoppio in lacrime, ma senza quei
versi da fichetta in calore: è un pianto muto, inarrestabile, un
pianto che, cazzo, non ci voleva, non ci voleva proprio, meerda, tutto
leffetto, tutto quel buonumore e quei sorrisi che avevo nella testa,
puff!, scompaiono, un pianto che mi fa svanire tutto quel che di buono
lero maveva regalato.
Mi scuotono, piano, piano. È una mano femmininle? È sua,
la riconosco.
Stella? Sei tu?
Ma non è lei.
Non è nessuno.
Qui non cè nessuno. Sono andati tutti via.
Meerda.
Mi tiro su, mi rimetto seduto e mi accorgo che ho la mano e il braccio
e parte della giacca sporca di polvere e trucioli che mi stanno bruciando
gli occhi, che mi entrano nei polmoni e non mi sento per niente bene.
Poi la folla incomincia un coro. Se finora era stato solo casino indifferenziato,
cacofonia, chiamatelo come vi pare, ora inizia ad avere un suo perché.
Mi stanno chiamando, sì, sì, mi chiamano. Vogliono me. Vogliono
solo me, non la banda di idioti che è ancora accanto a me e mi
guarda, senza muovere un dito, mi giudica vedendo solo quello che vuole
vedere.
Eh no, ragazzi, glielo dico. Quelli là
vogliono me!
Mi continuano a guardare, la chitarra in mano, la fronte imperlata di
sudore, la magliette sbrindellate.
Mi alzo e caracollo addosso a una pila di casse, producendo un frastuono
che per poco non assorda tutti. Ma mi rialzo, senza troppo scompormi.
Cazzo, vorrei uno specchio. Mi carica, guardarmi allo specchio. Meeeerda,
chissà che faccia che ho?, ah ah ah, ma chi se ne frega, andiamo
là a spaccare culi.
Faccio delle scalette, uno due tre quattro cinque sei ed eccomi sul palco,
tutto per voi!
Eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee, la folla urla indemoniata
e sembrano tantissimi anche se lo so, sì, so che non saranno più
di qualche centinaio, ma va bene lo stesso, perché sono tutti miei,
sì un centinaio, due centinaia, tutti miei.
Sul palco vedo solo la batteria e il cazzo di microfono. Alzo le braccia
e quelli già a urlare come se avessero visto Gesù Cristo
in carne e miracoli.
Sono io, figlioli, adoratemi, vi porto qualche minuto di felicità,
io!
Quei tre cazzoni dietro di me si decidono finalmente a salire sul palco
anche se hanno facce da funerale e mi fulminano con lo sguardo.
Meerda.
Quelli giù sotto il palco sembrano essersi un po calmati,
ora. Forse si stanno preparando alla botta di adrenalina?!, ah ah ah,
che schifo cazzo, mi viene da vomitare e non è un conato normale,
meeeerda, sembra una tortura come se ti mettessero a testa in giù
e ti strizzassero lo stomaco fino a che non esce tutto, tutto quanto,
fino a che non sputi pure lanima e, meerda
Mi getto sulle ginocchia e vomito via tutti i succhi gastrici rosa salmone
e qualche altra schifezza indigesta e già il puzzo si propaga,
mentre quelli delle prime file scappano indietro, forse spruzzati dal
mio vomito, o forse semplicemente schifati.
Mi sento tirare via dalle spalle e non mi frega un cazzo di vedere chi
è, perché gli occhi mi si socchiudono da soli e tutta la
forza che mi ero comprato forse lho vomitata via con tutto il resto
e, oh meerda
datemi una sigaretta, ragazzi, cazzo!
ve la pago, meerda
per favoreeee
eeeee
stronzi maledetti, cazzo, una fottuta
sigaretta, è questo che vi chieeeeeee
.
Ma niente, non ne vogliono sapere, mi tirano giù dal palco e mi
buttano per terra, vicino a dovero prima, in mezzo alla polvere
e ai trucioli e sento il vocione di Giannini, Giannetti - come cazzo si
chiama il proprietario del locale? - che arriva e bestemmia un paio di
volte, prima di rivolgersi ai ragazzi e quando quelli gli rispondono con
la solita verve da morituri, lui prende a urlare drogati di merda!, drogati
di merda!, come un ritornello e poi mi sento preso a calci e i calci arrivano
dritti dritti da quelle gambe da obeso di Giannini o Giannetti che urla
pure qualcosa ma proprio non lo capisco quando urla e intanto mi rifila
questi calcioni, bum! sullo stomaco - e a me viene ancor di più
da vomitare - bum! sulle costole, bum! sui fianchi e fa veramente un male
cane, ma mi fa venir da ridere, il coglione, sembra solo un grosso ciccione
sudato che muove le gambette e fatica e si fa male anche più di
me, ah ah ah, e allora gli chiedo una sigaretta, al ciccione, ce lavrà,
sì, una sigaretta per me?
E mi viene sempre più da ridere, di un riso incontrollato però,
un riso che a tratti mi fa paura e che mi tappa le orecchie e non sento
più niente e allora penso, cazzo, sono diventato sordo e cerco
di muovermi, ma mi mancano le forze e il solo movimento che mi viene è
di strisciare, o neppure quello forse, perché a un certo punto
tutto diventa ancora più nero e non cè più
un cazzo da vedere
sto
scomodissimo, sul retro del furgone. Non si vede un cazzo, tantè
buio, e sento solo il vociare, gli urli, gli schiamazzi e tutto il resto,
ma dei ragazzi neppure lombra.
Mi scuoto un po, mi passo la mano sul viso e me la rimetto davanti
agli occhi: una striscia di moccio, o di bava, che la taglia perpendicolare.
Tiro su col naso ma lì è tutto ok. Allora mi pulisco la
bocca, che è tutta impiastricciata di saliva e mi rovescio addosso
alla porta del furgone e la spingo per aprirla, le do i pugni e urlo ehiiiiii!,
ma nessuno sembra sentirmi e quasi quasi dormo e aspetto che questo incubo
fottuto finisca e mi ritrovi nel letto con la mamma che mi rimbocca le
coperte e mi canta la buonanotte, sì, esattamente quello che ci
vuole e, mentre penso a sta roba, sento un peso sullo sportello,
forse uno che ci si è appoggiato, quindi ricomincio a urlare ehiii!,
ehiiii!, e qualcuno mi sente, perché iniziano a parlare, in tono
interrogativo e poi mani si muovono sulla chiusura dello sportello e alla
fine si apre e io per poco non casco faccia in giù sullasfalto
umidiccio, a sbucciarmi le guance. Sono una ragazza e un ragazzo, due
facce peggio della mia, e il ragazzo capisco subito che è un coglione
perché tira fuori una vocina stridula e gracchia come una femminuccia
e dice ma tu sei
ma tu sei
sei il cantante dei Panico!, cazzoooooooo!,
e io bofonchio qualcosa ma non so bene neanche io cosa e mi tiro su e
mi do una stirata ai vestiti, e gli chiedo se finalmente me la posso fumare,
sta cazzo di sigaretta, meerda.
La ragazza dà un colpetto al ragazzo sui fianchi, questo miagola
qualcosa poi mi porge la sigaretta e mi dà pure un fiammifero e
io, ahhhhhhhhh, finalmente riesco a fumare!
Sto lì un po mentre quelli mi guardano come un animale in
gabbia e io preferisco fissare per terra, i piedi, il ghiaccio che si
sta formando, e poi sento un rumore, un rumore che conosco bene e no,
non voglio più vederli quegli stronzi e ho deciso che li pianto
lì, se la sbrigassero da soli, dora in poi, e getto la sigaretta
per terra; vedo le prime sagome che spostano casse e chitarre infoderate
e io mi nascondo dietro al furgone, mi acquatto come una lince in fuga
e poi scappo veloce dove è più difficile che mi vedano,
ma il tempo della corsetta mi ha completamente fiaccato e mi sento infilzato
da migliaia di spilli incandescenti e vorrei di nuovo buttarmi per terra
e farmi fino a morire, farmi fino a che il nero non abbia inghiottito
il creato e non rimanga più il tempo di pensare a niente.
Un sogno, cazzo, un sogno
e nel frattempo cammino,
Incrocio gli sguardi dei giovani della città, evito per un pelo
qualche macchina sparata e mi fermo davanti a un bar e vorrei tanto una
birra, cazzo, bella fresca che mi scende in gola, ma tiro fuori le mani
dalle tasche e ho soltanto fogli di carta imbrattati e, forse, duecento
o cinquecento lire.
Fanculo, che cazzo.
... vedo
in lontananza ledificio imponente della stazione che si staglia,
grigio esempio dellarroganza della mediocrità, sopra il trafficare
segreto di delinquenti, tossici e altre facce poco raccomandabili e a
questo punto decido che posso pure rallentare il passo, meerda, cho
le gambe a pezzi, uffff!
Cammino mogio e cerco il marocchino, un tipo che ho già incontrato
almeno un paio di volte, un tipo che sembra a posto e che, se sei arrivato
al punto di non ritorno, sembra pure ispirare fiducia, o condiscendenza,
o quella roba lì.
Lo cerco ma non lo trovo e continuo a muovermi come un fantasma, ciondolando
e dribblando le altre facce da cazzo di spacciatori e pappa che, giuro,
non ho mai mai visto e decido che mi butto sugli scalini accanto ai barboni,
fottendomene del puzzo e del freddo.
Trovo un posticino quasi più isolato, piuttosto appartato dalla
grande concentrazione subito sulla destra, e mi ci siedo circospetto.
Cè un barbone a qualche metro di distanza da me, ma non sembra
essersi accorto di un bel niente. Mentre un altro, una decina di metri
davanti a me, mi osserva da sotto il berretto di lana tirato giù,
fin sul naso, e ha un cane, proprio accanto a lui, che dorme apparentemente
beato e che ogni tanto apre gli occhi e controlla la situazione.
Mi accovaccio e poi mi butto a peso morto sugli scalini e appoggio la
testa al muro. Chiudo gli occhi un momento.
Laria fredda della notte, dellinverno, è meglio di
qualunque dose. Apro la bocca, allargo le narici: lascio che entri, minvada
il corpo e mi stemperi il nervosismo.
Un paio di minuti così e rimango gelato, la bocca secca e gli occhi
come due tizzoni.
Mi alzo in piedi e vado a cercare una sigaretta.
Meerda.
Cè un barbone grasso e con la faccia che è un concentrato
ributtante di escoriazioni, ferite di vario genere e bubboni inguardabili,
ma me ne accorgo solo quando mi avvicino per chiedergli una sigaretta.
Mi ritraggo rapidamente, sperando che non sia troppo tardi.
Attraverso la strada e vado al bar della stazione, che è aperto.
Mi appoggio al bancone, guardo il barista.
Cinquecento lire mi bastano per un pacchetto?
Di sigarette?
Mm.
Quello rimane una manciata di secondi a guardarmi e non sa che dire, o
meglio, vorrebbe dirmi un sacco di cose poco gentili, glielo leggo negli
occhi, ma si trattiene non so perché, forse per riguardo a un uomo
in giacca, cravatta e valigetta che sorseggia il suo caffè, solitario
allaltro lato del bancone.
Senza attendere il responso del barista, ma con la sensazione che non
ci avrei comunque guadagnato nulla, ad attendere, mi avvicino al travet
e gli chiedo una sigaretta.
Quello sembra parecchio incazzato, ma me la dà lo stesso.
Meerda, cosè che deve fare uno per una cazzo di sigaretta?!
Mi allontano da quelle persone e giro un paio di minuti senza sapere dove
mettermi, quando in lontananza scorgo una sagoma che mi pare proprio quella
del marocchino, e allora mi avvicino, colto da improvvisa gagliardia,
e mi bastano una mezza dozzina di passetti maschi per arrivare alle spalle
del tipo, tutto preso da una specie di discussione in arabo con uno che
è la sua fotocopia identica, sputato.
Ehi.
Ah! Sei tu!
Eh, già
Guarda il suo amico e dice qualcosa nella loro lingua. Metto la mano sul
fuoco che parla di me, e da come sorride dice qualcosa di ridicolo, su
di me.
Stessa roba di altra volta?, mi fa.
Annuisco, e guardo mentre sinfila una mano nella tasca larga della
giacca a vento e
poi si gira, mi dà le spalle e non vedo
più.
Faccio finta di guardare in alto - in realtà cerco di sbirciare
da sopra le spalle - e fischietto qualcosa.
Si rigira e mi porge una bustina giallognola, bianco sporca.
Okay, gli dico. Grande.
Lui mi guarda. Giusto, vuole i suoi soldi.
Senti, bello
vedi, io sto un po a corto stasera
senti
se io, diciamo domani, in mattinata anche
Tu soldi ora!
Bello, ti sto dicendo che te li do domani. Ora non cho una lira,
lo giuro!
Controlla se vuoi!, ribadisco e mi giro facendogli sentire le tasche della
giacca vuote, così come quelle dei pantaloni.
Lamico lo tira per un braccio e gli dice una cosa in quella cazzo
di lingua e io spero veramente che non lo stia convincendo a riprendersi
la roba, perché meerda, ne ho davvero bisogno.
Okay! Domani mattina!
Eh? Cosa? Davvero
grande!, per poco non urlo.
Gli stringo la mano felice come una pasqua e quasi lo abbraccio, poi mi
volto e faccio una specie di inchino allamico che mi ricambia ridacchiando.
Me ne vado verso casa già pregustandomi la botta in arrivo e mi
dico cazzo, bello, palle ferme! Se quel marocchino del cazzo domattina
non ha in mano i suoi soldi, capace che ti scatena addosso la mafia marocchina,
ah ah ah, e mi piscio sotto dal ridere al solo pensiero. Chi cazzo se
ne frega, venderò lanello di mamma al banco dei pegni e problema
risolto. Fanculo.
mi
scuoto le tasche ma non trovo le cazzo di chiavi dellappartamento,
meerda, e spero proprio che siano rimaste al locale e che non mi siano
cascate strada facendo, meerda.
La porta è aperta.
Cazzo, bello, stasera è la tua sera!, e come un brividino di eccitazione
mi risale lungo la schiena, scuotendomi la nuca e per poco la bustina
non mi finisce per terra.
Accendo la luce e meerda, hanno tagliato la corrente, questa proprio non
ci voleva.
Cammino sbilenco tendendo le mani un po avanti, un po lateralmente,
arpionando il muro freddo e cercando di trascinarmi fino in camera da
letto, dovè che stanno le candele.
Arrivo in camera da letto - però il letto cè solo
di nome, trattandosi in realtà soltanto di un materasso, be,
di un materasso stravecchio, macchiato di piscio, vomito, sperma e chissà
cosaltro. E un plaid puzzolente di naftalina buttato sopra. Fortuna
che è buio e non ho nessun ospite. Meerda.
Sopra il comodino trovo una candela già più volte mangiucchiata
dal fuoco, lafferro e
ora mi servono dei fiammiferi.
Fiammiferi, fiammiferi
dove lho messi i fiammiferi??
fiammiferi, fiammiferi
, canticchio a mezza voce.
Si capisce, per caso, che sono al settimo cielo?
Eccoli! Sul tavolo in cucina, accanto al fornello.
Ne tiro fuori uno e laccendo con violenza, forse troppa, e la capocchia
si spezza. Ne prendo un altro e stavolta sto più attento.
Appiccio la candela e mi porto nel salone, che è contiguo sia alla
camera da letto che alla cucina e che non è, in pratica, un vero
salone. Mi metto accanto al televisore, poggiato per terra, apro un paio
di cassetti e tiro fuori il mio kit salva vita preferito.
Siringhe un po troppo usate, lacci emostatici che dal giallognolo
virano al verdognolo, batuffoli di cotone simili a banchi di nuvole.
La salvezza in un cassetto.
Mi prende quel nervoso che mi prende sempre prima di un buco e che mi
rende sì più elettrico, ma anche più pronto e più
efficiente.
Bah.
Mi tolgo la giacca, senza badare a dove finisce.
Mi tiro su la manica della maglietta, anche se è solo una maglietta
a maniche corte e quindi non ce ne sarebbe veramente bisogno, ma non importa
perché mi fa sentire comunque più sicuro, mi sento che sto
facendo bene il mio lavoro.
Prendo la siringa.
Scelgo un ago sottile e la poso per bene sopra il televisore.
Cucchiaino semi-bruciacchiato.
Cè.
Fiammifero.
Cè, ma la fiamma si spegne subito e cerco un
Accendino.
Okay.
La mia bella polverina.
Eccola qui.
Tutto liscio come lolio, ah ah ah, meerda.
Siringa, ago sottile, e
E inizia la via crucis.
Sarà già almeno
mm
almeno tre o quattro volte,
gli ultimi tempi insomma, sono arrivato a siringarmi sette, otto, fino
a dieci volte prima di trovare una vena che faccia al caso mio.
Stasera non va diversamente dalle altre.
Allottavo buco nellacqua, opto per il dorso delle mani, che
sono già tutte schifosamente gonfie e pallide e mi fanno venire
una grande, profonda tristezza, ma mi basta il tempo di infilarci lago
che tutte quelle sensazioni, le emozioni, i pensieri sparsi che ogni giorno
mi turbano e mi confondono si scaricano nel grande cesso dellero
e per un momento - per il lunghissimo momento in cui si spande leffetto
- mi sento un miracolato, meerda, un cazzo di miracolato, ah ah ah!
sono
attimi in cui ho il diavolo in corpo e in cui quello che mi viene meglio
di fare è tendere le labbra in un sorriso al buio anonimo dellappartamento.
In cui solo la sigaretta è una degna compagna, e il fumo che dalla
sua punta vola via, quella è la sua voce, il suo canto caldo, avvolgente
e io, il suo unico ascoltatore.
Oppure
non può essere che questa sigaretta è la mia vita,
no? Sarei matto a pensarlo. Solo se fossi un matto penserei che la mia
vita si può benissimo paragonare a questa fottuta sigaretta industriale,
con miliardi di fratelli e sorelle, tutti uguali, tutti ugualmente condannati
a bruciare, lentamente, succhiati e spremuti fino allosso, e a morire.
Solo cenere.
A volte, neanche quello.
Esatto: la solita folata di vento che ti prende e ti porta via e se ne
frega se dici no o anche se dici sì. Ti prende e basta. E ti porta
via.
Eppure, è proprio lì che capisci che sei morto. Che lo sei
sempre stato. A quel punto ti rendi conto che la tua vita lhai scaricata
giù per il cesso, che delle migliaia di possibilità che
avevi per far diventare la tua vita qualcosa, qualunque cosa, invece,
non ne hai fatto niente. Niente di niente.
E sai che è così, mica puoi voltare le spalle e fare finta
di niente.
Lo sai, lo devi ammettere e devi essere pronto a tutto. Perché
questo è il momento
questo è il momento in cui tutto
quel cazzo di nulla che ha riempito le tue giornate da vivo, tutto quellaffaccendarsi
da mattina a sera, quellurlare, quel rincorrersi di pensieri, emozioni
e persone, tutto questo ti dovrà servire per scegliere; per decidere,
una buona volta, dove cazzo devi andare.
Se vorrai essere vomitato in una pozza di merda, prego, eccoti servito:
quella è la tua strada.
Ma se invece lo senti, e già pregusti in bocca il gusto delle squisitezze,
il profumo di virtù, dellalto dei cieli, la via è
quella lì, vai pure
Attanagliato dal terrore, immobile come un cristo sul crocifisso, non
oserai neanche aprire bocca.
Nemmeno un sibilo.
Sarà così.
Non riuscirai a fare niente, perché avrai capito che non cè
verso di fare la scelta giusta, che non cè modo di salvare
baracca e burattini e che, meerda, tutto quel divertimento, quellorrore,
quella fatica e quellamore che erano il centro del tuo universo
come individuo non sono più niente, sono solo ricordi mangiati
dalla memoria, distorti da altre esperienze, inghiottiti in quel mare
placido che è ormai il tuo corpo senza vita, che già si
stava preparando, che già sapeva di dover affrontare un giorno
questo vuoto, questa morte senza dignità, questa merda.
Allora, non avrai più tempo di pensare.
Non avrai più tempo di pregare.
Non avrai più tempo di chiedere perdono, di elemosinarlo, il perdono;
non potrai più ridere, non potrai incazzarti, scopare, annoiarti,
drogarti e spezzarti la schiena per che cosa, alla fine?
Dovrai solo star lì fermo, buono e zitto, e fare il morto.
Sarà come una vacanza.
Quante volte, daltronde, hai cercato di farti una vacanza da questa
vita? Quante volte hai pagato, hai poi fumato e inalato, quante volte
ti sei siringato, solo per prenderti una vacanza, una vacanza di qualche
istante, da questa vita, da questi pensieri, da questa merda che fagocita
indistintamente re e giullari?
Quante volte lhai desiderato?
Ti potrai considerare accontentato, ora.
Potrei dire ce lho fatta, alla fine: ciò che dispettosamente
solleticavi ad ogni buco, quello che non avevi le palle di chiamare ad
alta voce.
Eccolo qui. È arrivato, e quasi neanche te ne accorgevi, tantè
stato lesto e inaspettato.
Arriva in un momento qualunque, un momento uguale a tutti quanti gli altri
momenti che finora hai mediocremente vissuto.
Arriva e puff, tutto smette.
Con questa prospettiva, che senso ha fare qualunque cosa?
Con questa prospettiva, tanto vale finirla subito.
Nulla importa più, no? Nulla ha più un valore e tutto è
indefinito.
E se già questa situazione ti tormentava in vita, da morto lo farà
ancor di più.
Sempre ammesso che potrai sentire qualcosa.
Quindi, fa niente se Abdul e Alì scostano delicatamente la porta
e si aggirano quatti per lappartamento. Fa niente se, magari, decidono
di fregarsi il tuo televisore. Fa niente se, sempre molto delicatamente,
ti frugano nelle tasche e ti scuotono fino allultimo centesimo.
Tutto questo non avrà importanza perché tu starai esalando
il tuo ultimo respiro del cazzo.
Il battito del cuore starà decelerando e le prime ombre di quellanticamera
della morte che è il coma si staranno profilando di fronte ai tuoi
occhi e tu non potrai dire un cazzo di niente, ah ah ah, perché
lo sai comè no? sta roba non guarda in faccia nessuno,
e tantomeno te che sei lultimo degli stronzi.
Il tempo per sorridere, quello sì.
Il tempo per prendere le misure del nulla con cui ti dovrai confrontare
per mm
leternità, quello sì; ma non ti preoccupare,
voglio dire: non starci troppo a pensare, è un problema minore.
Ora rilassati e lascia che il respiro si smorzi, che il cuore cessi di
pompare e la stanza di vorticare.
Rilassati e non pensare.
Rilassati, alla fine, cosa vuoi che sia morire?
Quando arriverà non te ne accorgerai nemmeno, perciò concentrati
su un pensiero e fallo tuo, non mollarlo mai e tienilo fino a quando non
te lo strapperanno via
ma già sai che sarà impossibile
già sai che questo sforzo non vale la pena, che è inutile
focalizzarne uno perché la tua mente sarà un turbinio, un
grande muro bianco su cui schizzeranno le macchie, i frammenti, le immagini
della tua vita e non avrai più nulla di tutto questo, non avrai
più neppure il tempo di sentirti felice o triste, vedendole, non
avrai neanche più la forza per mantenerlo, quel tuo sorriso forzato
e implorerai che il primo che ti trovi, il primo che scoverà il
tuo cadavere, non inorridisca vedendo quella tua stronzissima smorfia
sputata sulla tua stronzissima bocca e non la consideri ridicola, per
lamor di dio, che non la trovi ridicola, che il primo sentimento
che possa vomitare dalla pancia non sia il riflesso ridicolo di quel viso
morto, perché quel ridicolo, quel sorriso ridicolo, sarà
la tua ultima immagine per i vivi, il tuo lascito involontario anche se,
in fin dei conti, capisci che come lascito è il più giusto,
il più adatto, quello che veramente dice qualcosa di te e della
vita che hai deciso di bruciarti fra le mani e che, finito anche questo
gioco, va davvero bene così e forse è ora di riderci su.
(...)
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