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IL
PALAZZO DEL DELIRIO (racconto tratto da "IO CI FUMO SOPRA")
-Una Menabrea-
disse Guidus con voce cavernosa.
Si trovava in uno dei tanti bar di Milano, gande città del nord
Italia conosciuta in tutto il mondo per i negozi di vestiti alla moda
e dagli ambientalisti perché è quella col più alto
tasso dinquinamento atmosferico del paese.
Stavo dicendo che Guidus si trovava al bar del guercio. Per lo meno a
lui piaceva chiamarlo così, per via del barista col volto sfregiato.
Il guercio gli allungò la birra e Guidus uscì in strada.
Era una piacevole giornata primaverile, la temperatura era sopra la media
stagionale, il cielo era di un caldo color beige e pareva di sentire meno
clacson del solito. Una giornata troppo bella per andare a lezione. Guidus
era iscritto a una delle tante facoltà universitarie di Milano,
a volte gli pareva persino di non ricordarsi quale. A lui piaceva raccontare
in giro di essere iscritto alla facoltà di parapsicologia, ma quando
lo diceva con lintento di fare colpo su qualche ragazza immancabilmente
saltava fuori lo stronzo di turno che gli ricordava che non esisteva una
facoltà di parapsicologia in Statale.
Stava camminando in Via Torino quando, distrattamente, afferrò
il volantino di uno dei tanti smazza pubblicità che popolano Milano.
Ma stavolta questo semplice gesto provocò delle bizzarre
conseguenze.
-Posso farti una domanda?- gli chiese il volantinante. Si trattava di
un tipo piuttosto alto e soprattutto molto magro che gli parlava col fare
affabile di chi sta provando a incastrarti. Guidus era abituato a quel
genere di cose e, automaticamente, scattò in lui un pensiero del
tipo: dileguati subito, non sorridergli, digli che hai fretta!
Quel giorno però era troppo di buon umore per sfoggiare lantipatia
tipica del milanese medio ed a ciò va aggiunto che la birra aveva
la straordinaria capacità di inibirgli i meccansmi di difesa e
di renderlo maledettamente ben disposto al dialogo.
-Fai pure- rispose
-Quanti anni hai?- gli chiese il tipo affabile
-Ventidue-
-Se mi segui un attimo- continuò il volantinante -ti faccio vedere
una cosa interessate-
Ancora una volta qualcosa allinterno del suo cervello gli suggerì
di congedarsi bruscamente con la più semplice e tipica delle frasi
del milanese medio: No, guarda, ho fretta. Ma ancora una volta
qualcosa andò storto.
-Sì, certo- fece Guidus. Bisogna dargli atto che stavolta
il suo tono di voce fu un tantino più incerto. Fatto sta che seguì
il volantinante in una via laterale. Questi lo condusse in un negozio
con vetrina e porta di vetro e qui gli fu presentato un tipo basso e grassoccio
che poteva avere circa trentacinque anni; indossava giacca, cravatta e
camicia ma, chissà perché, aveva comunque un aria
piuttosto dimessa. Forse per via della barba. Il tipo gli disse il suo
nome ma Guidus non lo trattenne in memoria nemmeno per un secondo. La
sua attenzione era assorbita da altri pensieri, due in particolare: In
che posto si trovava? Cosa avrebbe detto per levare in fretta il disturbo?
Non ebbe il tempo di darsi risposte.
Il grassoccio lo invitò a seguirlo a un tavolino sul quale stava
un aggeggio strano; si trattava di un oggetto delle dimensioni di una
macchina da scrivere con una lancetta ed un indicatore numerico in mezzo.
A questo aggeggio erano collegati, tramite due fili, due cilindri metallici.
Il grassoccio invitò Guidus a sedersi e a prendere tra le mani
i due cilindri. Dovette rigirarli un po prima di riuscire a impugnarli
correttamente, facendovi aderire i palmi.
-Questa macchina- dichiarò il grassoccio -misura lo stress. Ora
ti farò qualche domanda: più la lancetta si sposterà
verso destra, più sarà alto il tasso di stress evocato dalle
mie domande-
Ne seguì un interessante colloquio durante il quale a Guidus fu
chiesto di raccontare di un episodio in cui si era davvero arrabbiato,
quali fossero i propri difetti, se fumasse, ed altre cose così.
La lancetta sembrava dare delle risposte pertinenti agli stati emotivi
evocati dalle sue risposte.
Il grassoccio ( il quale, aveva notato Guidus durante la conversazione,
possedeva un paio di occhi sporgenti come quelli che ci si immagina debba
possedere ogni buon malato di mente degno di questo titolo) concluse che
Guidus era una persona nervosa e che bene sarebbe stato che acquistasse
e leggesse lultimo libro di R H; una lettura, disse, che lo avrebbe
certamente aiutato a migliorarsi. Fu solo allora che Guidus notò
un paio di mensole sulle quali stavano in bella mostra diverse copie del
suddetto libro. Nessuno, almeno a Milano, ti rivolge la parola senza sperare
di poter portare nelle proprie tasche un po di quel che cè
nelle tue. Ma stavolta Guidus ebbe la risposta pronta
-Io non voglio migliorare- disse -vado bene così come sono-
In questo modo riuscì a congedarsi. Uscendo incrociò nel
vicolo il volantinante che gli gettò una veloce occhiata. Quando
Guidus si fu dileguato il magro volantinante entrò nel negozio
dove il grassoccio gli si avvicinò e guardandolo con fare serioso
gli disse:
-È giovane, ingenuo, estroverso ma abbastanza insicuro. è
quello che fa per noi; occupatene tu-
Il signor
Marzetta, nella sua giacca blu e nella sua camicia di cotone a maniche
corte, entrò di buon umore per il portone della sua palazzina ed
andò dritto in portineria.
-Ehilà, salve, tutto bene?-
-Sì- gli rispose il portiere -È arrivato il tizio dellascensore,
è salito a vedere se riesce a ripararlo-
-Molto bene-
-Ah, Alaa mi ha detto di dirle che la aspetta nel suo appartamento-
-Grazie Giacomo- fece il signor Marzetta sorridendo e subito andò
a suonare alla porta che stava proprio di fronte alla portineria.
Alaa era un ragazzo egiziano dalla corporatura robusta e coi capelli corti
-Buogiorno signore, venga dentro-
-Ciao Alaa, come vanno le cose?-
-Bene signore, ho qua i soldi degli ultimi movimenti- disse facendo un
gesto con la mano destra prima di voltarsi ad aprire un cassetto -Ecco
signore, questi sono per lei, signore-
Il signor Marzetta prese il mazzo di banconote e sorrise scoprendo tutti
i denti che riusciva a mostrare
-Molto bene, Alaa. Quanti sono?-
-Cinquemila, signore. Li ho anche stirati, signore. Li conti, sig
-
-Non cè bisogno di contarli. Hai fatto un buon lavoro Alaa.
Se vuoi puoi farti un giro gratis allultimo piano, quando lo desideri
tu. Dì che chai il mio permesso-
Stavolta fu Alaa a sorridere di felicità. I suoi denti erano piuttosto
sporchi.
-Grazie signore, grazie-
-Non cè di che, è giusto ricompensare chi lavora bene.
Ci vediamo prossimamente- concluse tornando verso la porta -Mi raccomando,
continua così- disse infine uscendo
-Tutto a posto signor Marzetta?- chiese il portinaio vedendolo ricomparire
nellatrio anche se in realtà il sorriso soddisfatto delluomo
non lasciava spazio a preoccupazioni
-Tutto bene- lo rassicurò Marzetta -vado su allultimo piano-
-A dopo, allora-
-A dopo-
Il signor Marzetta cominciò di buon grado a salire le scale ma,
quando fu al pianerottolo del terzo piano, gli si parò davanti
una donna in grigio
-Signor Marzetta!-
-Buon giorno Suor Anna! Splendida giornata, non trova?-
-Lho sentita salire e sono uscita per parlarle-
-Lei ha sempre occhi e orecchi ben aperti, vero Suor Anna?-
-Nemmeno col naso scherzo. A proposito, sento puzza di marcio in questo
palazzo-
-Beh, non dico che il signor Giacomo, il portiere, sia un mago delle pulizie
Però è un bravo ragazzo e si impegna affinché almeno
non si senta lodore del
-
-Io mi riferivo ai marocchini che abitano ai piani di sotto, signore.
Sono sicura che almeno un paio di loro spacciano-
Questa volta il signor Marzetta dovette trattenere un sorriso beffardo
-Sono tutti dei bravi ragazzi- disse sforzandosi con discreto successo
di apparire serio -non si faccia ingannare dal loro aspetto dimesso; nei
loro paesi ci si veste così-
-Non sono affatto preoccupata dal loro aspetto. è quello che fanno
che mi preoccupa ed io ho il sospetto che lei faccia finta di niente-
-Parlerò con loro, Suor Anna. Ma ora, la prego, mi lasci andare;
devo conferire urgentemente con linquilina dellultimo piano-
Così dicendo si liberò dalle apprensioni della religiosa
che rimase a fissarlo dal pianerottolo finchè non fu sparito in
cima alla rampa di scale. Senza dubbio quella suora era una gran brutta
seccatura ed il signor Marzetta non le avrebbe mai affittato lappartamento
se non fosse stato convinto, quando laveva vista la prima volta,
che fosse unameba rincoglionita. Mai come quella volta la sua acuta
capacità di giudicare le persone lo aveva tradito. Tuttavia i buoni
servigi di Alaa lo avevano reso troppo allegro perché il buon umore
lo abbandonasse.
Accostandosi alla porta dellappartamento dellultimo piano
udì distintamente una voce maschile
-Ingoiala! Ingoiala tutta!-
Marzetta sorrise; a quanto sembrava Jessica si stava dando da fare e ciò
significava che quello era proprio un buon periodo per i suoi affari.
Si appoggiò al parapetto del pianerottolo e si accese una sigaretta.
Nel frattempo
al piano terra il portiere stava cominciando ad annoiarsi perché
da un po non passava nessuno con cui scambiare quattro chiacchiere.
Così fu molto contento quando vide Guidus entrare nellatrio
e dirigersi verso lascensore.
-Non funziona- gli disse prontamente -lo stanno riparando-
-Che palle- fece Guidus voltandosi -non ho proprio voglia di farmi le
scale-
-Allora non farle! Perchè non vieni a prendere una birra al bar
qui a fianco?-
-Beh, veramente io
-
-Pensa che quando tornerai lascensore sarà a posto e ti eviterai
le scale-
-Beh- fece Guidus persuaso -se la metti così
-
Si trovavano ancora al bar quando il tizio dellascensore fece il
suo ingresso ed attirò lattenzione del portinaio.
-Io avrei finito- disse
-Bene- fece il portinaio -ora vengo dentro a pagarla-
-Io intanto vado a riordinare i miei attrezzi- proferì loperaio
prima di uscire dal bar
-Che cazzo!- esclamò Guidus appena se ne fu andato -È identico
al volantinante-
-Quale volantinante?-
-Quello di cui ti ho raccontato! Quello spilungone smilzo che mi ha portato
dal tipo della macchina dello stress!-
-Mah, secondo me hai bevuto troppo poco. Perchè non vieni dentro?
Ho una bottiglia di vodka ghiacciata in portineria-
-Mmm
credo che rimarrò qui a bermi un altro paio di birre-
-Come vuoi. Se più tardi vuoi raggiungermi penso che sarò
sulla terrazza a sbronzarmi-
-Ci penserò- concluse Guidus guardando il suo bicchiere con aria
svagata.
Appena loperaio
se ne fu andato Giacomo, il portiere, prese la sua bottiglia di vodka
e salì sullascensore per andare a bere sulla terrazza che
stava in cima al palazzo. Lascensore cominciò a salire ma,
a metà strada tra il terzo e il quarto piano, Giacomo cominciò
ad avvertire degli strani rumori simili a quelli che immaginò potessero
essere prodotti da organi meccanici non molto ben oliati. Tra il quarto
e il quinto lascensore si fermò di colpo con un brusco sobbalzo
della cabina. Il portiere trasalì ed avvertì chiaramente
un netto aumentare della propria sudorazione ed una considerevole accelerazione
del proprio ritmo cardiaco. Con un movimento quasi istintivo del braccio
destro premette nuovamente il tasto dellultimo piano. Lascensore,
però, non ripartì. Provò di nuovo a premere lo stesso
tasto e poi tutti gli altri finché, colto dal nervosismo, si accanì
contro il pulsante del piano terra:
-Giù, giù, giù! Riportami giù!- piagnucolò
isterico. Non ottenendo risultato alcuno girò su se stesso guardandosi
intorno, poi tornò a fissare la pulsantiera.
Lultima sua risorsa era il tasto giallo con la campanella stilizzata,
ma Giacomo sapeva che premerlo sarebbe stato inutile perché avrebbe
fatto suonare un allarme posto in portineria. E la portineria era vuota.
Spinse lo stesso il pulsante e si appoggiò ad una delle pareti.
La sua mente rimase vuota per qualche secondo; poi si mise a pensare.
Era solo in un ascensore bloccato. Appoggiò la bottiglia a terra
e aprì le due ante della porta dellascensore: queste davano
su un muro grigio. Tra il muro e la cabina cera uno spazio di circa
due centimetri; Giacomo provò a guardare in alto e in basso attraverso
quello spazio ma non riuscì a vedere niente. Esaminò la
cabina, e non ci mise molto: non cera nulla, infatti, oltre alla
lampada al neon e la pulsantiera. Non cera nemmeno lo sportello
sul soffitto, onnipresente nei film dazione nei quali è utilizzato
dalleroe di turno per uscire ed arrampicarsi lungo il cavo dacciaio
su per la tromba
Si accovacciò per terra, chiuse gli occhi e ristette. Dopo pochi
minuti, però, gli sembrò di essere sul punto di impazzire.
Si alzò in piedi e prese a camminare nervosamente per il metro
e mezzo quadro della cabina. Fu allora che il suo sguardo cadde sulla
bottiglia di vodka che giaceva in un angolo. Quella era la sua possibilità
di sopravvivere, ma doveva giocarsela bene: doveva berne poca alla volta
per mantenersi in uno stato di ubriachezza tale da poter sopportare la
sua miserrima situazione senza però incorrere in spiacevoli malesseri
fisici. Prese la bottiglia, laprì e diede una bella sorsata.
Si sentì subito meglio. Appoggiò la bottiglia a terra deciso
a non toccarla più per qualche minuto ma quasi subito si fece unaltra
bella sorsata e si accovacciò nuovamente. Passò un certo
lasso di tempo in dormiveglia, poi si alzò e premette di nuovo
il tasto della campanella. Dopo aver bevuto un altro po di vodka
si ributtò a terra e in breve fu vinto dal sonno.
Quando, quella
sera, rincoglionito dalle birre e da paio di spinelli, Guidus si rese
conto di avere il portafogli vuoto, decise di andare allo sportello del
bancomat per verificare quanti soldi gli restassero a disposizione. Nulla
mai, come quello che lesse subito dopo sullo scontrino del bancomat, gli
aveva fatto pensare di avere esagerato con lalcool, con le canne,
o con entrambe le cose. Secondo i suoi calcoli il suo conto avrebbe dovuto
essere quasi a secco. Secondo lo scontrino, invece, possedeva centomila
euro. Unallucinazione, forse, o un errore della banca. Provò
a richiedere il prelievo da cinquantamila euro e, senza che nulla di anomalo
accadesse (non un rumore sinistro, non unesitazione di alcun tipo
da parte della macchina) il bancomat sputò la cifra richiesta in
banconote da cento. Strabigliato, colpito e confuso Guidus infilò
i soldi in tasca e si allontanò. Il fatto che fosse alterato dallalcool
e dal thc lo portò a prendere la situazione alla leggera. Con cinquantamila
euro in tasca, pensò, la cosa più figa sarebbe stata andare
in uno di quei bar costosi, uno di quelli che ci passi davanti e dici
cazzo, lì si che con un paio di centoni mi farei qualche
bel tocco di passera , ma poi non ci entri perché in tasca
hai solo dieci euro in monete raccattate. Così entrò in
uno di quei bar in cui una birra costa otto euro ma tentano di darsi un
tono alternativo facendo suonare gruppi reggae e appendendo un paio di
foto di Bob Marley alle pareti. Di sbarbe, però, non se ne vedevano
molte. Sarà ancora troppo presto pensò Guidus.
Quando fu alla sua terza birra gli si presentò la prima decente
occasione della serata. Una ragazza molto carina, anche troppo, con un
bel naso e dei lisci capelli castani si avvicinò al bancone.
-Posso offrirti qualcosa?- le chiese Guidus accostandosi a lei - è
che per una certa coicidenza di diversi fattori mi trovo nelle condizioni
di poter essere generoso-
-No, grazie- fece la tipa -ho i miei soldi-
-Beh, posso bere con te, allora? Tu che cosa prendi?-
-Una birra piccola, ma comunque non è il caso che ci provi, sono
qui col mio ragazzo- Guidus si voltò e vide un palestrato con la
maglietta attillata che lo guardava torvo dal suo tavolino. Tornò
a girarsi verso il bancone e abbassò lo sguardo verso il fondo
del bicchiere di birra.
Quando il
portinaio chiuso nellascensore si svegliò dal suo sonnellino
gli scappava da pisciare. Pensò che la cosa migliore sarebbe stata
tentare di orinare nel piccolo spazio che si trovava tra la cabina e il
muro della tromba, e così fece. Era concentrato a centrare la stretta
fessura col suo zampillo di urina quando avvertì un fortissimo
dolore al pene ed un brivido gli percorse tutto il corpo. Cadde a terra
svenuto. Una volta risvegliatosi il suo arnese gli faceva un male del
diavolo, aveva ancora i pantalono calati e la sua cappella sembrava ustionata.
Giacomo non potè mai scoprirlo per certo ma, dopo averci riflettutto,
intuì la bizzarra verità: aveva pisciato su un cavo elettrico
scoperto, uno di quelli collegati alla pulsantiera di chiamata del piano
di sotto, e se era sopravvissuto era perché la scossa era stata
di breve durata.
A Giacomo girava la testa. Si addormentò, si risvegliò,
bevve un po di vodka e dormì ancora. Quando gli scappò
di nuovo la fece allinterno della cabina e, quando fu di nuovo stanco,
dovette rannicchiarsi a dormire nel proprio piscio.
Due pisciate più tardi il puzzo era insopportabile e la testa gli
girava. Si era ormai bevuto più di mezza bottiglia vodka. Quanto
tempo era passato da quando lascensore si era bloccato? E quanto
prima che qualcuno sarebbe andato a tirarlo fuori? Di sicuro non tanto
da farlo morire di fame o di sete ma forse abbastanza da farsi schiacciare
da quelloppressione claustrofobica che lo stava opprimendo. La noia
di quelle quattro pareti, quel perimetro così ristretto, il non
poter guardare fuori. Gli sembrava di soffocare. Prese alcuni respiri
profondi per calmarsi. Si mise a sedere con la schiena appoggiata ad una
delle pareti e le gambe distese lungo il pavimento fetido raccogliendo
tutte le briciole di residua lucidità mentale per produrre un ultimo
pensiero razionale: doveva tentare il tutto per tutto; se non voleva impazzire
doveva mettere fuori uso la sua capacità di pensare. Si attaccò
al collo della bottiglia di vodka e bevve, bevve, bevve resistendo ai
conati ed alle contrazioni dellesofago. Ebbe dei tremiti. Nella
bottiglia rimasero due dita di liquido; la appoggiò lentamente
a terra prima di sdraiarsi, chiudere gli occhi e addormentarsi.
-La sai una
cosa, amico? Sono tutte delle puttane!-
Erano ormai le due di notte e Guidus era completamente ubriaco
-Sono tutte delle puttane!- ripetè barcollando di fronte ai gradini
del Duomo. Davanti a lui stavano seduti un paio di magrebini i quali non
sembravano aver voglia di scherzare; ma di questo Guidus non poteva rendersi
conto. Ai suoi occhi, in quel monento, tutti capivano perfettamente quello
che voleva dire e condividevano in tutto e per tutto le sue idee. Quei
due, però, dovevano essere dei tipi piuttosto taciturni. Così
Guidus, annoiato, pensò bene di accendersi una sigaretta. Nonappena
ebbe dato il primo tiro, però, una mano gli portò via la
paglia e la gettò a terra. Guidus si girò per vedere a chi
appartenesse quella mano dispettosa e si trovò di fronte, ad un
palmo dalla sua faccia, quella di un individuo che avrebbe dovuto riconoscere,
ma che sul momento non riconobbe affatto.
-Che cazzo fai, stronzo?- esclamò contrariato chinandosi a raccogliere
la paglia. Questa volta fu una scarpa di cuoio a recargli dispetto calpestando,
spegnendo e rovinando irreparabilmente la sua sigaretta senza dargli il
tempo di riprenderla. Guidus alzò lo sguardo, pronto a sputare
una valanga di insulti in faccia a quel guastafeste. Ma il guastafeste
in questione fu più veloce di lui.
-Li vuoi ancora i tuoi soldi? Li vuoi?- gli chiese scuotendolo per la
felpa.
Solo allora Guidus riconobbe nel volto del dispettoso individuo quello
del grassoccio che quel pomeriggio aveva tentato di vedergli un cazzo
di libro.
-Che cazzo vuoi?- rispose Guidus -Che cazzo vuoi da me?-
-So che oggi hai trovato centomila euro sul tuo conto in banca- fece il
grassoccio senza mollare la presa -se vuoi avere ancora i tuoi soldi devi
smettere di fumare, perché se non smetti non solo non ti verseremo
più un centesimo, ma rischierai sul serio la vita!-
-Che cazzo sei, della lega antifumo? Lo so che fumare fa male, ma non
me ne frega un cazzo! E sai una cosa? Non me ne frega nemmeno dei soldi,
tanto ho già prelevato un cinquantamila!-
-Appunto- rispose il grassoccio sogghignando -sei in debito con noi, e
se non smetterai di fumare dovremo trovare un altro modo per sistemare
la faccenda-
E poi, inasprendo il proprio ghigno aggiunse:
-Tu ancora non lo sai ma il tuo amico portinaio ha fatto una brutta fine
oggi. Lui era un caso perso, uno schifoso alcolizzato, e non valeva la
pena di spendere energie e denaro per redimerlo; molto meglio è
stato usarlo per darti un avvertimento. Ma tu, tu sei ancora giovane.
Pensaci, prima che sia troppo tardi-
-Che cazzo avete fatto a Giacomo?- strillò Guidus sinceramente
preoccupato
Ma il grassoccio non si diede la pena di rispondergli
-Non è una questione di salute- dichiarò prima di dileguarsi
nella penombra della piazza -è una questione morale-
Passò
del tempo e Giacomo riaprì gli occhi. Per un po fu incapace
di produrre qualsiasi pensiero, la sua vista era altrettanto annebbiata.
Mentre andava riacquistando le sue capacità psicofisiche un forte
dolore in mezzo alle gambe gli ricordò quello che gli era capitato.
Rimase sconcertato, dopo essersi calato i pantaloni, nel vedere che il
gingillo gli si era oltremodo gonfiato e che era diventato livido. Mio
Dio! Ci doveva essere uninfezione coi fiocchi là sotto. Si
alzò barcollando. Aveva un gran mal di testa, come se qualcuno
gli stesse martellando il cranio dallinterno. Si appoggiò
in un angolo e aprì le gambe per pisciare ma appena ci provò
un fortissimo dolore gli attravesò il pene per il lungo e solo
poche gocce durina riuscirono a venirne furi. Così si trovo
schiacciato tra due sensazioni sgradevolissime: quella della vescica piena
e quella del bruciante dolore al pene. Provò a stimolare nuovamente
lurinazione e stavolta il dolore fu così intenso da provocare
un black out delle sue funzioni vitali e cadde a terra a peso morto.
Ricorderete
intantanto il signot Marzetta che si trovava sul pianerottolo dellultimo
piano e si era acceso una paina. Aveva dato giusto un paio di tiri quando
vide Alaa comparire dalle scale.
-E tu cosa ci fai qui?- gli chiese
-Aveva detto che se volevo potevo venire allultimo piano- rispose
Alaa -e quindi
-
-Sei uno che non perde tempo, eh?- fece il Signor Marzetta con un altro
dei suoi sorrisi maliziosi
-Ora però Jessica devessere occupata-
Da dentro lappartamento continuavano a sentirsi urla maschili:-Mio
Dio! Mio Dio!-
-Con tutto rispetto, signore- fece Alaa aggrottando le sopraccigla -non
mi sembra che stia godendo-
-Mio Dio, no!! Mio dio, no!!!- continuò la voce
-Per dinci, hai ragione! Sembrano piuttosto dei lamenti!- esclamò
Marzetta tirando fuori un mazzo di chiavi dalla tasca.
Quando furono entrati rimasero per un momento di stucco: un uomo magrissino
che indossava solo una giacca di pelle nera slacciata camminava avanti
e indietro strappandosi i capelli e gemendo mentre Jessica se ne stava
completamente nuda riversa sul divano con un rivolo di bava spumosa che
le usciva da un angolo della bocca. Il signor Marzetta lasciò cadere
la paina sul pavimento.
-Che cazzo è successo qui?-
-Le pasticche!- fece luomo seminudo -Ha preso le pasticche- continuò
disperato -Io, io tentavo di farle ingoiare linfuso di bicarbonato
-
-Linfuso di che?? Pezzo di cretino! Dovevi chiamare subito lambulanza!-
inveì Marzetta colpendo luomo con una serie di ganci al volto
che lo fecero stramazzare al suolo. Poi si tastò le tasche della
giacca e dei pantaloni
-Il cellulare! Bisogna chiamare lambulanza! Dove cazzo è
finito il mio cellulare?-
Alaa, in un angolo, con lo sguardo basso velato dalla vergogna gli porse
un Nokia
-Mi scusi, signore- disse
-Che cosa? Mi hai fregato il cellulare?- fece il signor Marzetta afferrandolo
per il colletto della t-shirt - E io che pensavo di potermi fidare, brutto
figlio di puttana!-
Così urlando diede ad Alaa alcuni violenti scossoni, il cellulare
cadde in terra e la batteria volò da una parte, Marzetta si buttò
sul pavimento a recuperare i pezzi.
Quando arrivò lambulanza Jessica non respirava più.
Marzetta si sentiva perduto: aveva perso il suo uomo di fiducia e la sua
dea dorata nel giro di una mezzora. Toppo, troppo per mantenere
il buon umore. Scese al bar, si comprò una bottiglia di Jack, risalì
allultimo piano, nellappartamento di Jessica, e si sedette
versandosi un bicchiere. Lo bevve dun fiato. Quando lo appoggiò
si accorse di alcuni negativi sparsi sul tavolo sporco. Li prese, andò
alla finestra per guardali contro luce. Jessica; era bellissima anche
così. Il suo sguardo malinconico e le sue tenere rotondità
trasparivano alla luce del giorno che andava spegnendosi sulla città.
Il signor Marzetta si appoggiò al vetro e pianse.
La prima
cosa che il portinaio vide riprendendo conoscenza furono alcune gocce
durina che scendevano lente dalla parete dellascensore sulla
quale aveva pisciato prima di svenire, ma evidentemente era riuscito a
farne veramente poca perché si sentiva ancora la vescica scoppiare.
Provò ad alzarsi ma pochi tra i muscoli del suo corpo risposero
allappello; troppo pochi perché potesse levarsi in piedi.
Rimase a terra e quasi subito udì il ronzio del volo di un insetto.
Beh, tutto sommato era contento davere compagnia. Rimanendo a terra
cominciò lentamente a muovere le gambe finché queste non
si ripresero abbastanza da permettergli di rimettersi in piedi. Il ronzio
gli passò vicinissimo allorecchio. Barcollando ed appoggiandosi
alle pareti per non cadere fece un giro su se stesso e notò con
disappunto che il suo nuovo compagno altro non era che una grossa vespa.
A Giacomo non erano mai piaciute le vespe. Impugnò la bottiglia
di vodka con lintento di schiacciarla, la brandì in aria
e, nel tentativo di bestemmiare, produsse un mugugno cavernoso. Fece un
paio di passi rigirandosi sul posto per seguire il volo dellodiato
insetto ma, intrecciando goffamente le caviglie, perse lequilibrio
ed andò a sbattere la testa contro la pulsantiera coi numeri dei
piani. Con sua grande sorpresa lascensore ripartì. Rimase
in trepidante attesa che questo si fermasse e quando si arrestò
allultimo piano Giacomo si lasciò cadere di peso contro la
porta. Questa si aprì ma, anzi che finire sul pianerottolo, il
portinaio si sentì precipitare nel vuoto della tromba delle scale.
Il suo cuore prese a battere con forza e mentre si dimenava cercando un
appiglio sui pianerottoli di ogni piano gli sembrava di vedere delle figure
mostruose che sogghignavano prendendosi beffe della sua sorte. Quando
si schiantò ebbe un guizzo e si ritrovò sudato, con gli
occhi sbarrati per lo spavento, nuovamente nellascensore, tra i
vetri rotti della bottiglia di vodka. Istintivamente si levò la
maglietta e la usò per assorbire ogni goccia dalcolico rimasta
sul pavimento insieme al piscio strizzandosi poi in bocca la vodka mista
urina. Ebbe un attacco di riso isterico, si gettò a terra e, mentre
leccava dal pavimento quello che non era riuscito ad assorbire, la vespa
ne aprofittò per vendicare il tentato insetticidio; gli piombò
ronzando nellorecchio destro e lo punse in profondità. Il
dolore fu terribile, peggio del bruciore al pene, e gli fece perdere in
un istante quel poco di autocontrollo che gli era rimasto. In preda ad
un convulso delirio Giacomo raccolse i taglienti cocci della bottiglia
di vodka e li puntò verso se stesso, poi si colpì con forza
il collo. Il sangue sgorgò copioso e a zampilli. Il suo ultimo
vago istinto di autoconservazione fu quello di tamponarsi le ferite con
la mano. Quando il suo braccio fu completamente coperto di sangue che
a nutriti rivoli gli colava lungo il gomito Giacomo si sentì leggero,
ogni dolore sparì e finalmente, chiudendo gli occhi, dormì
un sonno beato.
Il mattino
seguente il conto di Guidus era al verde e un triste cartello sul portone
del suo palazzo annunciava la morte del suo amico Giacomo, il portinaio.
Salì la rampa di scale che portava al primo piano, uscì
in balcone e tirò fuori lultima paglia, poi buttò
il pacchetto vuoto sul marciapiede. Si era appena acceso la sigaretta
quando udì un tonfo e contemporaneamente sentì qualcosa
di liquido schizzargli in faccia. Alzò lo sguardo verso il balcone
del piano di sopra
-Allora- urlò -vogliamo stare attenti con sti cazzo di vasi
da fiore?-
La signora del piano di sopra si sporse ma, inaspettatamente, anzi che
rispondergli a tono distorse il proprio volto in una terrifica espressione
e cacciò un urlo dorrore. Guidus gettò un rapido sguardo
alla mano con la quale si era asciugato il volto da quella che pensava
fosse lacqua dei gerani. Ma come accadeva che lacqua dei gerani
fosse rossa? Poi mise a fuoco il marciapiede e, soprattutto, la poltiglia
che stava sopra al marciapiede. Non sembrava un vaso andato in frantumi.
Poco dopo venne a sapere che si trattava del signor Fargetta, il proprietario
del palazzo, precipitato dallultimo piano.
A Cornelius
piaceva molto il suo nome, se lera scelto perché suonava
come il nome di un duro, e fino a quel momento aveva funzionato. I pochi
che si erano permessi di considerarlo ridicolo ora ridevano in una bara,
sempre che ne avessero ritrovato i corpi. Cornelius era uno di quei personaggi
che si vedono nei film, solo un po più reale. Intendiamoci;
molto di quel che si raccontava sul suo conto era frutto dimmaginazione
ma ci sono almeno due cose terribilmente vere che dobbiamo riconoscergli:
la prima è che aveva davvero ammazzato della gente. La seconda
è che Cornelius aveva una grande capacità di dissimulazione,
nonché di affascinare la gente con i suoi discorsi. Naturalmente
si sceglieva la gente giusta, gente influenzabile ma che allo stresso
tempo sarebbe satata in grado di pagarlo per i suoi servigi; drogati,
per lo più, ma anche qualche alcolizzato e, quando gli andava bene,
qualche spacciatore. Questa era la sua clientela. Chiaro è che
spesso doveva accontentarsi di poco, ma a lui piaceva il suo lavoro. Il
suo lavoro, già, ma qual era il lavoro di Cornelius? Cornelius
non era un killer, sebbene abbiamo appurato che avesse qualche morto sulla
coscienza (ma Cornelius aveva una coscienza?). No, il lavoro di Cornelius
non era ammazzare la gente, ma eliminare i problemi della gente, e siccome
spesso i problemi di molte persone sono costituiti da altre persone, beh,
ecco che ci scappava il morto.
Dunque Cornelius si trovava, in una piacevole mattinata di inizio giugno,
insieme a Guidus, nella cantina del suo condominio.
-È lui il tuo problema?-
-È il grassoccio, è lui-
-Questo sfigato?-
-Questo stronzo deve spiegarmi un paio di cose-
-È il momento giusto per fargli sputare tutto- disse Cornelius
prendendo una sorsata di birra -È imbottito di droghe, un mix di
sostanze psicotrope collaudato ed efficace-
-Parla, stronzo!- gridò Guidus prendendo a calci il grassoccio
che se ne stava per terra in un angolo della cantina -Perché non
mi lasci in pace, perché?-
-I
i vizi- fece il grassoccio con voce appena udibile
-Cosa? Cosa ha detto lo stronzo?-
-Non ho capito- rispose Cornelius che nel frattempo era passato al whisky
-picchialo più forte-
-Perché mi tormenti? Perché stai ammazzando tutta la gente
del mio condominio?-
-Io non ho ucciso nessuno. Tu, tu devi smettere i tuoi vizi-
-Che cazzo importa a te dei miei vizi?!!- strillò Guidus così
forte che gli fece male la gola
-I vizi sono la rovina del genere umano. Devi smettere, per il bene di
tutti, smetti-
-Che cosa?-
-Smettila di perdere il fiato per lui- intervenne Cornelius -ammazzalo
e dammi i miei soldi. O vuoi che lo ammazzi io?-
-Voglio essere sicuro che sia lui il responsabile di tutti i miei tormenti.
Parla, stronzo! Io non riesco più a dormire la notte, con questa
spada di Damocle sulla testa. Parla! Perché queste minacce? Perché
quel denaro? Perché interessarsi dei miei vizi? E non dirmi che
quelli capitati agli abitanti del mio condominio sono solo incidenti casuali-
-Io non ho ucciso quella gente- disse il grassoccio
-Mi pare evidente che sia stato lui- fece Cornelius -chi altri se no?-
-Io!- rispose una voce alle loro spalle. Guidus e Cornelius si girarono
sorpresi. Nella cantina era comparso un personaggio alto e magro che reggeva
una motosega.
-E questo da dove cazzo arriva?- fece Cornelius gettando la bottiglia
di whisky da una parte e avanzando verso il nuovo arrivato
-È il volantinante!- esclamò Guidus
-Chi?-
-Sono un suo collaboratore- fece il magro avviando la motosega -Gli omicidi
sono stati una mia iniziativa- continuò urlando per sovrastare
con la voce il rumore della sega -ed ormai è giunto il vostro turno-
-Ma vaffanculo!- urlò Cornelius gettandoglisi contro -Mi fai una
sega, questo è kung fu!-
Guidus deglutì paralizzato dal terrore senza minimamente riuscire
a staccare lo sguardo dal braccio mozzato di Cornelius che sprizzava sangue
sul pavimento della cantina mentre il magro gli si avvicinava tenendo
la motosega bassa e inclinata, allaltezza dei suoi testicoli
Poco dopo
il magro ed il grassoccio, coi vestiti imbrattati di sangue, uscivano
socchiudendo gli occhi nella strada assolata e si avviavano di buon passo
verso un bancomat.
-Preleva tutto- disse il magro al grassoccio -dobbiamo sparire in fretta-
-Certo- fece il grassoccio -Ecco, è tutto quello che cera
sul conto, sono un bel po di soldi-
-E sono miei- rispose il magro strappandoglieli di mano, avviando poi
la motosega ed aprendogli uno squarcio in pancia lì, di fronte
alla banca. Le budella del grassoccio si rovesciarono sul marciapiede
ed il grassoccio cadde sui propri intestini. Una signora ingioiellata
che passava di lì lanciò un grido dorrore; il magro
le strappò la collana. Poi si recò alla fermata dellautobus,
e aspettò. Le altre persone che erano lì ad aspettare, vedendolo
così conciato, con una motosega in mano, gli si allontanarono senza
farsi troppo notare e dimenticarono daverlo visto. Quando arrivò
lautobus il magro decapitò il conducente con la motosega
e mise in fuga i passeggeri. Si sistemò al volante, mise in moto,
fece suonare una cassetta dei Ramones nellautoradio, prese il pacchetto
di sigarette che lautista si era dimenticato di portare nel suo
viaggio per laldilà e se ne accese una sorridendo soddisfatto.
Aveva ucciso per un ideale? No, no; era solo vile denaro.
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