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titolo: "IO CI FUMO SOPRA"
collana blocknotes
autore Guido Micheli
ISBN 978-88- 95106-75-5
€ 11,00 - pp.173 - © 2009


19 RaCConti
insaporiti di tabaCco,
AnNebBiati dall'hashish, CoRRetti al whisky,
inNafFiati di biRrA,
PRofuMati di sesso,
vElati d'orrore,
mAcChiati di saNgue,
SPoRchi di vomito,
AttRaverSati da fievoli
vaMpe d'AMoRE

leggi la recensione apparsa sulla Rivista Letteraria de-comporre di dicembre 2010

 

IL PALAZZO DEL DELIRIO (racconto tratto da "IO CI FUMO SOPRA")

-Una Menabrea- disse Guidus con voce cavernosa.
Si trovava in uno dei tanti bar di Milano, gande città del nord Italia conosciuta in tutto il mondo per i negozi di vestiti alla moda e dagli ambientalisti perché è quella col più alto tasso d’inquinamento atmosferico del paese.
Stavo dicendo che Guidus si trovava al bar del guercio. Per lo meno a lui piaceva chiamarlo così, per via del barista col volto sfregiato. Il guercio gli allungò la birra e Guidus uscì in strada. Era una piacevole giornata primaverile, la temperatura era sopra la media stagionale, il cielo era di un caldo color beige e pareva di sentire meno clacson del solito. Una giornata troppo bella per andare a lezione. Guidus era iscritto a una delle tante facoltà universitarie di Milano, a volte gli pareva persino di non ricordarsi quale. A lui piaceva raccontare in giro di essere iscritto alla facoltà di parapsicologia, ma quando lo diceva con l’intento di fare colpo su qualche ragazza immancabilmente saltava fuori lo stronzo di turno che gli ricordava che non esisteva una facoltà di parapsicologia in Statale.
Stava camminando in Via Torino quando, distrattamente, afferrò il volantino di uno dei tanti smazza pubblicità che popolano Milano. Ma ‘stavolta questo semplice gesto provocò delle bizzarre conseguenze.
-Posso farti una domanda?- gli chiese il volantinante. Si trattava di un tipo piuttosto alto e soprattutto molto magro che gli parlava col fare affabile di chi sta provando a incastrarti. Guidus era abituato a quel genere di cose e, automaticamente, scattò in lui un pensiero del tipo: “dileguati subito, non sorridergli, digli che hai fretta!”
Quel giorno però era troppo di buon umore per sfoggiare l’antipatia tipica del milanese medio ed a ciò va aggiunto che la birra aveva la straordinaria capacità di inibirgli i meccansmi di difesa e di renderlo maledettamente ben disposto al dialogo.
-Fai pure- rispose
-Quanti anni hai?- gli chiese il tipo affabile
-Ventidue-
-Se mi segui un attimo- continuò il volantinante -ti faccio vedere una cosa interessate-
Ancora una volta qualcosa all’interno del suo cervello gli suggerì di congedarsi bruscamente con la più semplice e tipica delle frasi del milanese medio: “No, guarda, ho fretta”. Ma ancora una volta qualcosa andò storto.
-Sì, certo- fece Guidus. Bisogna dargli atto che ‘stavolta il suo tono di voce fu un tantino più incerto. Fatto sta che seguì il volantinante in una via laterale. Questi lo condusse in un negozio con vetrina e porta di vetro e qui gli fu presentato un tipo basso e grassoccio che poteva avere circa trentacinque anni; indossava giacca, cravatta e camicia ma, chissà perché, aveva comunque un’ aria piuttosto dimessa. Forse per via della barba. Il tipo gli disse il suo nome ma Guidus non lo trattenne in memoria nemmeno per un secondo. La sua attenzione era assorbita da altri pensieri, due in particolare: In che posto si trovava? Cosa avrebbe detto per levare in fretta il disturbo? Non ebbe il tempo di darsi risposte.
Il grassoccio lo invitò a seguirlo a un tavolino sul quale stava un aggeggio strano; si trattava di un oggetto delle dimensioni di una macchina da scrivere con una lancetta ed un indicatore numerico in mezzo. A questo aggeggio erano collegati, tramite due fili, due cilindri metallici. Il grassoccio invitò Guidus a sedersi e a prendere tra le mani i due cilindri. Dovette rigirarli un po’ prima di riuscire a impugnarli correttamente, facendovi aderire i palmi.
-Questa macchina- dichiarò il grassoccio -misura lo stress. Ora ti farò qualche domanda: più la lancetta si sposterà verso destra, più sarà alto il tasso di stress evocato dalle mie domande-
Ne seguì un interessante colloquio durante il quale a Guidus fu chiesto di raccontare di un episodio in cui si era davvero arrabbiato, quali fossero i propri difetti, se fumasse, ed altre cose così. La lancetta sembrava dare delle risposte pertinenti agli stati emotivi evocati dalle sue risposte.
Il grassoccio ( il quale, aveva notato Guidus durante la conversazione, possedeva un paio di occhi sporgenti come quelli che ci si immagina debba possedere ogni buon malato di mente degno di questo titolo) concluse che Guidus era una persona nervosa e che bene sarebbe stato che acquistasse e leggesse l’ultimo libro di R H; una lettura, disse, che lo avrebbe certamente aiutato a migliorarsi. Fu solo allora che Guidus notò un paio di mensole sulle quali stavano in bella mostra diverse copie del suddetto libro. Nessuno, almeno a Milano, ti rivolge la parola senza sperare di poter portare nelle proprie tasche un po’ di quel che c’è nelle tue. Ma stavolta Guidus ebbe la risposta pronta
-Io non voglio migliorare- disse -vado bene così come sono-
In questo modo riuscì a congedarsi. Uscendo incrociò nel vicolo il volantinante che gli gettò una veloce occhiata. Quando Guidus si fu dileguato il magro volantinante entrò nel negozio dove il grassoccio gli si avvicinò e guardandolo con fare serioso gli disse:
-È giovane, ingenuo, estroverso ma abbastanza insicuro. è quello che fa per noi; occupatene tu-

Il signor Marzetta, nella sua giacca blu e nella sua camicia di cotone a maniche corte, entrò di buon umore per il portone della sua palazzina ed andò dritto in portineria.
-Ehilà, salve, tutto bene?-
-Sì- gli rispose il portiere -È arrivato il tizio dell’ascensore, è salito a vedere se riesce a ripararlo-
-Molto bene-
-Ah, Alaa mi ha detto di dirle che la aspetta nel suo appartamento-
-Grazie Giacomo- fece il signor Marzetta sorridendo e subito andò a suonare alla porta che stava proprio di fronte alla portineria.
Alaa era un ragazzo egiziano dalla corporatura robusta e coi capelli corti
-Buogiorno signore, venga dentro-
-Ciao Alaa, come vanno le cose?-
-Bene signore, ho qua i soldi degli ultimi movimenti- disse facendo un gesto con la mano destra prima di voltarsi ad aprire un cassetto -Ecco signore, questi sono per lei, signore-
Il signor Marzetta prese il mazzo di banconote e sorrise scoprendo tutti i denti che riusciva a mostrare
-Molto bene, Alaa. Quanti sono?-
-Cinquemila, signore. Li ho anche stirati, signore. Li conti, sig…-
-Non c’è bisogno di contarli. Hai fatto un buon lavoro Alaa. Se vuoi puoi farti un giro gratis all’ultimo piano, quando lo desideri tu. Dì che c’hai il mio permesso-
Stavolta fu Alaa a sorridere di felicità. I suoi denti erano piuttosto sporchi.
-Grazie signore, grazie-
-Non c’è di che, è giusto ricompensare chi lavora bene. Ci vediamo prossimamente- concluse tornando verso la porta -Mi raccomando, continua così- disse infine uscendo
-Tutto a posto signor Marzetta?- chiese il portinaio vedendolo ricomparire nell’atrio anche se in realtà il sorriso soddisfatto dell’uomo non lasciava spazio a preoccupazioni
-Tutto bene- lo rassicurò Marzetta -vado su all’ultimo piano-
-A dopo, allora-
-A dopo-
Il signor Marzetta cominciò di buon grado a salire le scale ma, quando fu al pianerottolo del terzo piano, gli si parò davanti una donna in grigio
-Signor Marzetta!-
-Buon giorno Suor Anna! Splendida giornata, non trova?-
-L’ho sentita salire e sono uscita per parlarle-
-Lei ha sempre occhi e orecchi ben aperti, vero Suor Anna?-
-Nemmeno col naso scherzo. A proposito, sento puzza di marcio in questo palazzo-
-Beh, non dico che il signor Giacomo, il portiere, sia un mago delle pulizie… Però è un bravo ragazzo e si impegna affinché almeno non si senta l’odore del…-
-Io mi riferivo ai marocchini che abitano ai piani di sotto, signore. Sono sicura che almeno un paio di loro spacciano-
Questa volta il signor Marzetta dovette trattenere un sorriso beffardo
-Sono tutti dei bravi ragazzi- disse sforzandosi con discreto successo di apparire serio -non si faccia ingannare dal loro aspetto dimesso; nei loro paesi ci si veste così-
-Non sono affatto preoccupata dal loro aspetto. è quello che fanno che mi preoccupa ed io ho il sospetto che lei faccia finta di niente-
-Parlerò con loro, Suor Anna. Ma ora, la prego, mi lasci andare; devo conferire urgentemente con l’inquilina dell’ultimo piano-
Così dicendo si liberò dalle apprensioni della religiosa che rimase a fissarlo dal pianerottolo finchè non fu sparito in cima alla rampa di scale. Senza dubbio quella suora era una gran brutta seccatura ed il signor Marzetta non le avrebbe mai affittato l’appartamento se non fosse stato convinto, quando l’aveva vista la prima volta, che fosse un’ameba rincoglionita. Mai come quella volta la sua acuta capacità di giudicare le persone lo aveva tradito. Tuttavia i buoni servigi di Alaa lo avevano reso troppo allegro perché il buon umore lo abbandonasse.
Accostandosi alla porta dell’appartamento dell’ultimo piano udì distintamente una voce maschile
-Ingoiala! Ingoiala tutta!-
Marzetta sorrise; a quanto sembrava Jessica si stava dando da fare e ciò significava che quello era proprio un buon periodo per i suoi affari. Si appoggiò al parapetto del pianerottolo e si accese una sigaretta.

Nel frattempo al piano terra il portiere stava cominciando ad annoiarsi perché da un po’ non passava nessuno con cui scambiare quattro chiacchiere. Così fu molto contento quando vide Guidus entrare nell’atrio e dirigersi verso l’ascensore.
-Non funziona- gli disse prontamente -lo stanno riparando-
-Che palle- fece Guidus voltandosi -non ho proprio voglia di farmi le scale-
-Allora non farle! Perchè non vieni a prendere una birra al bar qui a fianco?-
-Beh, veramente io…-
-Pensa che quando tornerai l’ascensore sarà a posto e ti eviterai le scale-
-Beh- fece Guidus persuaso -se la metti così…-
Si trovavano ancora al bar quando il tizio dell’ascensore fece il suo ingresso ed attirò l’attenzione del portinaio.
-Io avrei finito- disse
-Bene- fece il portinaio -ora vengo dentro a pagarla-
-Io intanto vado a riordinare i miei attrezzi- proferì l’operaio prima di uscire dal bar
-Che cazzo!- esclamò Guidus appena se ne fu andato -È identico al volantinante-
-Quale volantinante?-
-Quello di cui ti ho raccontato! Quello spilungone smilzo che mi ha portato dal tipo della macchina dello stress!-
-Mah, secondo me hai bevuto troppo poco. Perchè non vieni dentro? Ho una bottiglia di vodka ghiacciata in portineria-
-Mmm… credo che rimarrò qui a bermi un altro paio di birre-
-Come vuoi. Se più tardi vuoi raggiungermi penso che sarò sulla terrazza a sbronzarmi-
-Ci penserò- concluse Guidus guardando il suo bicchiere con aria svagata.

Appena l’operaio se ne fu andato Giacomo, il portiere, prese la sua bottiglia di vodka e salì sull’ascensore per andare a bere sulla terrazza che stava in cima al palazzo. L’ascensore cominciò a salire ma, a metà strada tra il terzo e il quarto piano, Giacomo cominciò ad avvertire degli strani rumori simili a quelli che immaginò potessero essere prodotti da organi meccanici non molto ben oliati. Tra il quarto e il quinto l’ascensore si fermò di colpo con un brusco sobbalzo della cabina. Il portiere trasalì ed avvertì chiaramente un netto aumentare della propria sudorazione ed una considerevole accelerazione del proprio ritmo cardiaco. Con un movimento quasi istintivo del braccio destro premette nuovamente il tasto dell’ultimo piano. L’ascensore, però, non ripartì. Provò di nuovo a premere lo stesso tasto e poi tutti gli altri finché, colto dal nervosismo, si accanì contro il pulsante del piano terra:
-Giù, giù, giù! Riportami giù!- piagnucolò isterico. Non ottenendo risultato alcuno girò su se stesso guardandosi intorno, poi tornò a fissare la pulsantiera.
L’ultima sua risorsa era il tasto giallo con la campanella stilizzata, ma Giacomo sapeva che premerlo sarebbe stato inutile perché avrebbe fatto suonare un allarme posto in portineria. E la portineria era vuota.
Spinse lo stesso il pulsante e si appoggiò ad una delle pareti. La sua mente rimase vuota per qualche secondo; poi si mise a pensare. Era solo in un ascensore bloccato. Appoggiò la bottiglia a terra e aprì le due ante della porta dell’ascensore: queste davano su un muro grigio. Tra il muro e la cabina c’era uno spazio di circa due centimetri; Giacomo provò a guardare in alto e in basso attraverso quello spazio ma non riuscì a vedere niente. Esaminò la cabina, e non ci mise molto: non c’era nulla, infatti, oltre alla lampada al neon e la pulsantiera. Non c’era nemmeno lo sportello sul soffitto, onnipresente nei film d’azione nei quali è utilizzato dall’eroe di turno per uscire ed arrampicarsi lungo il cavo d’acciaio su per la tromba…
Si accovacciò per terra, chiuse gli occhi e ristette. Dopo pochi minuti, però, gli sembrò di essere sul punto di impazzire. Si alzò in piedi e prese a camminare nervosamente per il metro e mezzo quadro della cabina. Fu allora che il suo sguardo cadde sulla bottiglia di vodka che giaceva in un angolo. Quella era la sua possibilità di sopravvivere, ma doveva giocarsela bene: doveva berne poca alla volta per mantenersi in uno stato di ubriachezza tale da poter sopportare la sua miserrima situazione senza però incorrere in spiacevoli malesseri fisici. Prese la bottiglia, l’aprì e diede una bella sorsata. Si sentì subito meglio. Appoggiò la bottiglia a terra deciso a non toccarla più per qualche minuto ma quasi subito si fece un’altra bella sorsata e si accovacciò nuovamente. Passò un certo lasso di tempo in dormiveglia, poi si alzò e premette di nuovo il tasto della campanella. Dopo aver bevuto un altro po’ di vodka si ributtò a terra e in breve fu vinto dal sonno.

Quando, quella sera, rincoglionito dalle birre e da paio di spinelli, Guidus si rese conto di avere il portafogli vuoto, decise di andare allo sportello del bancomat per verificare quanti soldi gli restassero a disposizione. Nulla mai, come quello che lesse subito dopo sullo scontrino del bancomat, gli aveva fatto pensare di avere esagerato con l’alcool, con le canne, o con entrambe le cose. Secondo i suoi calcoli il suo conto avrebbe dovuto essere quasi a secco. Secondo lo scontrino, invece, possedeva centomila euro. Un’allucinazione, forse, o un errore della banca. Provò a richiedere il prelievo da cinquantamila euro e, senza che nulla di anomalo accadesse (non un rumore sinistro, non un’esitazione di alcun tipo da parte della macchina) il bancomat sputò la cifra richiesta in banconote da cento. Strabigliato, colpito e confuso Guidus infilò i soldi in tasca e si allontanò. Il fatto che fosse alterato dall’alcool e dal thc lo portò a prendere la situazione alla leggera. Con cinquantamila euro in tasca, pensò, la cosa più figa sarebbe stata andare in uno di quei bar costosi, uno di quelli che ci passi davanti e dici “cazzo, lì si che con un paio di centoni mi farei qualche bel tocco di passera” , ma poi non ci entri perché in tasca hai solo dieci euro in monete raccattate. Così entrò in uno di quei bar in cui una birra costa otto euro ma tentano di darsi un tono alternativo facendo suonare gruppi reggae e appendendo un paio di foto di Bob Marley alle pareti. Di sbarbe, però, non se ne vedevano molte. “Sarà ancora troppo presto” pensò Guidus.
Quando fu alla sua terza birra gli si presentò la prima decente occasione della serata. Una ragazza molto carina, anche troppo, con un bel naso e dei lisci capelli castani si avvicinò al bancone.
-Posso offrirti qualcosa?- le chiese Guidus accostandosi a lei - è che per una certa coicidenza di diversi fattori mi trovo nelle condizioni di poter essere generoso-
-No, grazie- fece la tipa -ho i miei soldi-
-Beh, posso bere con te, allora? Tu che cosa prendi?-
-Una birra piccola, ma comunque non è il caso che ci provi, sono qui col mio ragazzo- Guidus si voltò e vide un palestrato con la maglietta attillata che lo guardava torvo dal suo tavolino. Tornò a girarsi verso il bancone e abbassò lo sguardo verso il fondo del bicchiere di birra.

Quando il portinaio chiuso nell’ascensore si svegliò dal suo sonnellino gli scappava da pisciare. Pensò che la cosa migliore sarebbe stata tentare di orinare nel piccolo spazio che si trovava tra la cabina e il muro della tromba, e così fece. Era concentrato a centrare la stretta fessura col suo zampillo di urina quando avvertì un fortissimo dolore al pene ed un brivido gli percorse tutto il corpo. Cadde a terra svenuto. Una volta risvegliatosi il suo arnese gli faceva un male del diavolo, aveva ancora i pantalono calati e la sua cappella sembrava ustionata. Giacomo non potè mai scoprirlo per certo ma, dopo averci riflettutto, intuì la bizzarra verità: aveva pisciato su un cavo elettrico scoperto, uno di quelli collegati alla pulsantiera di chiamata del piano di sotto, e se era sopravvissuto era perché la scossa era stata di breve durata.
A Giacomo girava la testa. Si addormentò, si risvegliò, bevve un po’ di vodka e dormì ancora. Quando gli scappò di nuovo la fece all’interno della cabina e, quando fu di nuovo stanco, dovette rannicchiarsi a dormire nel proprio piscio.
Due pisciate più tardi il puzzo era insopportabile e la testa gli girava. Si era ormai bevuto più di mezza bottiglia vodka. Quanto tempo era passato da quando l’ascensore si era bloccato? E quanto prima che qualcuno sarebbe andato a tirarlo fuori? Di sicuro non tanto da farlo morire di fame o di sete ma forse abbastanza da farsi schiacciare da quell’oppressione claustrofobica che lo stava opprimendo. La noia di quelle quattro pareti, quel perimetro così ristretto, il non poter guardare fuori. Gli sembrava di soffocare. Prese alcuni respiri profondi per calmarsi. Si mise a sedere con la schiena appoggiata ad una delle pareti e le gambe distese lungo il pavimento fetido raccogliendo tutte le briciole di residua lucidità mentale per produrre un ultimo pensiero razionale: doveva tentare il tutto per tutto; se non voleva impazzire doveva mettere fuori uso la sua capacità di pensare. Si attaccò al collo della bottiglia di vodka e bevve, bevve, bevve resistendo ai conati ed alle contrazioni dell’esofago. Ebbe dei tremiti. Nella bottiglia rimasero due dita di liquido; la appoggiò lentamente a terra prima di sdraiarsi, chiudere gli occhi e addormentarsi.

-La sai una cosa, amico? Sono tutte delle puttane!-
Erano ormai le due di notte e Guidus era completamente ubriaco
-Sono tutte delle puttane!- ripetè barcollando di fronte ai gradini del Duomo. Davanti a lui stavano seduti un paio di magrebini i quali non sembravano aver voglia di scherzare; ma di questo Guidus non poteva rendersi conto. Ai suoi occhi, in quel monento, tutti capivano perfettamente quello che voleva dire e condividevano in tutto e per tutto le sue idee. Quei due, però, dovevano essere dei tipi piuttosto taciturni. Così Guidus, annoiato, pensò bene di accendersi una sigaretta. Nonappena ebbe dato il primo tiro, però, una mano gli portò via la paglia e la gettò a terra. Guidus si girò per vedere a chi appartenesse quella mano dispettosa e si trovò di fronte, ad un palmo dalla sua faccia, quella di un individuo che avrebbe dovuto riconoscere, ma che sul momento non riconobbe affatto.
-Che cazzo fai, stronzo?- esclamò contrariato chinandosi a raccogliere la paglia. Questa volta fu una scarpa di cuoio a recargli dispetto calpestando, spegnendo e rovinando irreparabilmente la sua sigaretta senza dargli il tempo di riprenderla. Guidus alzò lo sguardo, pronto a sputare una valanga di insulti in faccia a quel guastafeste. Ma il guastafeste in questione fu più veloce di lui.
-Li vuoi ancora i tuoi soldi? Li vuoi?- gli chiese scuotendolo per la felpa.
Solo allora Guidus riconobbe nel volto del dispettoso individuo quello del grassoccio che quel pomeriggio aveva tentato di vedergli un cazzo di libro.
-Che cazzo vuoi?- rispose Guidus -Che cazzo vuoi da me?-
-So che oggi hai trovato centomila euro sul tuo conto in banca- fece il grassoccio senza mollare la presa -se vuoi avere ancora i tuoi soldi devi smettere di fumare, perché se non smetti non solo non ti verseremo più un centesimo, ma rischierai sul serio la vita!-
-Che cazzo sei, della lega antifumo? Lo so che fumare fa male, ma non me ne frega un cazzo! E sai una cosa? Non me ne frega nemmeno dei soldi, tanto ho già prelevato un cinquantamila!-
-Appunto- rispose il grassoccio sogghignando -sei in debito con noi, e se non smetterai di fumare dovremo trovare un altro modo per sistemare la faccenda-
E poi, inasprendo il proprio ghigno aggiunse:
-Tu ancora non lo sai ma il tuo amico portinaio ha fatto una brutta fine oggi. Lui era un caso perso, uno schifoso alcolizzato, e non valeva la pena di spendere energie e denaro per redimerlo; molto meglio è stato usarlo per darti un avvertimento. Ma tu, tu sei ancora giovane. Pensaci, prima che sia troppo tardi-
-Che cazzo avete fatto a Giacomo?- strillò Guidus sinceramente preoccupato
Ma il grassoccio non si diede la pena di rispondergli
-Non è una questione di salute- dichiarò prima di dileguarsi nella penombra della piazza -è una questione morale-

Passò del tempo e Giacomo riaprì gli occhi. Per un po’ fu incapace di produrre qualsiasi pensiero, la sua vista era altrettanto annebbiata. Mentre andava riacquistando le sue capacità psicofisiche un forte dolore in mezzo alle gambe gli ricordò quello che gli era capitato. Rimase sconcertato, dopo essersi calato i pantaloni, nel vedere che il gingillo gli si era oltremodo gonfiato e che era diventato livido. Mio Dio! Ci doveva essere un’infezione coi fiocchi là sotto. Si alzò barcollando. Aveva un gran mal di testa, come se qualcuno gli stesse martellando il cranio dall’interno. Si appoggiò in un angolo e aprì le gambe per pisciare ma appena ci provò un fortissimo dolore gli attravesò il pene per il lungo e solo poche gocce d’urina riuscirono a venirne furi. Così si trovo schiacciato tra due sensazioni sgradevolissime: quella della vescica piena e quella del bruciante dolore al pene. Provò a stimolare nuovamente l’urinazione e stavolta il dolore fu così intenso da provocare un black out delle sue funzioni vitali e cadde a terra a peso morto.

Ricorderete intantanto il signot Marzetta che si trovava sul pianerottolo dell’ultimo piano e si era acceso una paina. Aveva dato giusto un paio di tiri quando vide Alaa comparire dalle scale.
-E tu cosa ci fai qui?- gli chiese
-Aveva detto che se volevo potevo venire all’ultimo piano- rispose Alaa -e quindi…-
-Sei uno che non perde tempo, eh?- fece il Signor Marzetta con un altro dei suoi sorrisi maliziosi
-Ora però Jessica dev’essere occupata-
Da dentro l’appartamento continuavano a sentirsi urla maschili:-Mio Dio! Mio Dio!-
-Con tutto rispetto, signore- fece Alaa aggrottando le sopraccigla -non mi sembra che stia godendo-
-Mio Dio, no!! Mio dio, no!!!- continuò la voce
-Per dinci, hai ragione! Sembrano piuttosto dei lamenti!- esclamò Marzetta tirando fuori un mazzo di chiavi dalla tasca.
Quando furono entrati rimasero per un momento di stucco: un uomo magrissino che indossava solo una giacca di pelle nera slacciata camminava avanti e indietro strappandosi i capelli e gemendo mentre Jessica se ne stava completamente nuda riversa sul divano con un rivolo di bava spumosa che le usciva da un angolo della bocca. Il signor Marzetta lasciò cadere la paina sul pavimento.
-Che cazzo è successo qui?-
-Le pasticche!- fece l’uomo seminudo -Ha preso le pasticche- continuò disperato -Io, io tentavo di farle ingoiare l’infuso di bicarbonato…-
-L’infuso di che?? Pezzo di cretino! Dovevi chiamare subito l’ambulanza!- inveì Marzetta colpendo l’uomo con una serie di ganci al volto che lo fecero stramazzare al suolo. Poi si tastò le tasche della giacca e dei pantaloni
-Il cellulare! Bisogna chiamare l’ambulanza! Dove cazzo è finito il mio cellulare?-
Alaa, in un angolo, con lo sguardo basso velato dalla vergogna gli porse un Nokia
-Mi scusi, signore- disse
-Che cosa? Mi hai fregato il cellulare?- fece il signor Marzetta afferrandolo per il colletto della t-shirt - E io che pensavo di potermi fidare, brutto figlio di puttana!-
Così urlando diede ad Alaa alcuni violenti scossoni, il cellulare cadde in terra e la batteria volò da una parte, Marzetta si buttò sul pavimento a recuperare i pezzi.
Quando arrivò l’ambulanza Jessica non respirava più.
Marzetta si sentiva perduto: aveva perso il suo uomo di fiducia e la sua dea dorata nel giro di una mezz’ora. Toppo, troppo per mantenere il buon umore. Scese al bar, si comprò una bottiglia di Jack, risalì all’ultimo piano, nell’appartamento di Jessica, e si sedette versandosi un bicchiere. Lo bevve d’un fiato. Quando lo appoggiò si accorse di alcuni negativi sparsi sul tavolo sporco. Li prese, andò alla finestra per guardali contro luce. Jessica; era bellissima anche così. Il suo sguardo malinconico e le sue tenere rotondità trasparivano alla luce del giorno che andava spegnendosi sulla città. Il signor Marzetta si appoggiò al vetro e pianse.

La prima cosa che il portinaio vide riprendendo conoscenza furono alcune gocce d’urina che scendevano lente dalla parete dell’ascensore sulla quale aveva pisciato prima di svenire, ma evidentemente era riuscito a farne veramente poca perché si sentiva ancora la vescica scoppiare. Provò ad alzarsi ma pochi tra i muscoli del suo corpo risposero all’appello; troppo pochi perché potesse levarsi in piedi. Rimase a terra e quasi subito udì il ronzio del volo di un insetto. Beh, tutto sommato era contento d’avere compagnia. Rimanendo a terra cominciò lentamente a muovere le gambe finché queste non si ripresero abbastanza da permettergli di rimettersi in piedi. Il ronzio gli passò vicinissimo all’orecchio. Barcollando ed appoggiandosi alle pareti per non cadere fece un giro su se stesso e notò con disappunto che il suo nuovo compagno altro non era che una grossa vespa. A Giacomo non erano mai piaciute le vespe. Impugnò la bottiglia di vodka con l’intento di schiacciarla, la brandì in aria e, nel tentativo di bestemmiare, produsse un mugugno cavernoso. Fece un paio di passi rigirandosi sul posto per seguire il volo dell’odiato insetto ma, intrecciando goffamente le caviglie, perse l’equilibrio ed andò a sbattere la testa contro la pulsantiera coi numeri dei piani. Con sua grande sorpresa l’ascensore ripartì. Rimase in trepidante attesa che questo si fermasse e quando si arrestò all’ultimo piano Giacomo si lasciò cadere di peso contro la porta. Questa si aprì ma, anzi che finire sul pianerottolo, il portinaio si sentì precipitare nel vuoto della tromba delle scale. Il suo cuore prese a battere con forza e mentre si dimenava cercando un appiglio sui pianerottoli di ogni piano gli sembrava di vedere delle figure mostruose che sogghignavano prendendosi beffe della sua sorte. Quando si schiantò ebbe un guizzo e si ritrovò sudato, con gli occhi sbarrati per lo spavento, nuovamente nell’ascensore, tra i vetri rotti della bottiglia di vodka. Istintivamente si levò la maglietta e la usò per assorbire ogni goccia d’alcolico rimasta sul pavimento insieme al piscio strizzandosi poi in bocca la vodka mista urina. Ebbe un attacco di riso isterico, si gettò a terra e, mentre leccava dal pavimento quello che non era riuscito ad assorbire, la vespa ne aprofittò per vendicare il tentato insetticidio; gli piombò ronzando nell’orecchio destro e lo punse in profondità. Il dolore fu terribile, peggio del bruciore al pene, e gli fece perdere in un istante quel poco di autocontrollo che gli era rimasto. In preda ad un convulso delirio Giacomo raccolse i taglienti cocci della bottiglia di vodka e li puntò verso se stesso, poi si colpì con forza il collo. Il sangue sgorgò copioso e a zampilli. Il suo ultimo vago istinto di autoconservazione fu quello di tamponarsi le ferite con la mano. Quando il suo braccio fu completamente coperto di sangue che a nutriti rivoli gli colava lungo il gomito Giacomo si sentì leggero, ogni dolore sparì e finalmente, chiudendo gli occhi, dormì un sonno beato.

Il mattino seguente il conto di Guidus era al verde e un triste cartello sul portone del suo palazzo annunciava la morte del suo amico Giacomo, il portinaio.
Salì la rampa di scale che portava al primo piano, uscì in balcone e tirò fuori l’ultima paglia, poi buttò il pacchetto vuoto sul marciapiede. Si era appena acceso la sigaretta quando udì un tonfo e contemporaneamente sentì qualcosa di liquido schizzargli in faccia. Alzò lo sguardo verso il balcone del piano di sopra
-Allora- urlò -vogliamo stare attenti con ‘sti cazzo di vasi da fiore?-
La signora del piano di sopra si sporse ma, inaspettatamente, anzi che rispondergli a tono distorse il proprio volto in una terrifica espressione e cacciò un urlo d’orrore. Guidus gettò un rapido sguardo alla mano con la quale si era asciugato il volto da quella che pensava fosse l’acqua dei gerani. Ma come accadeva che l’acqua dei gerani fosse rossa? Poi mise a fuoco il marciapiede e, soprattutto, la poltiglia che stava sopra al marciapiede. Non sembrava un vaso andato in frantumi.
Poco dopo venne a sapere che si trattava del signor Fargetta, il proprietario del palazzo, precipitato dall’ultimo piano.

A Cornelius piaceva molto il suo nome, se l’era scelto perché suonava come il nome di un duro, e fino a quel momento aveva funzionato. I pochi che si erano permessi di considerarlo ridicolo ora ridevano in una bara, sempre che ne avessero ritrovato i corpi. Cornelius era uno di quei personaggi che si vedono nei film, solo un po’ più reale. Intendiamoci; molto di quel che si raccontava sul suo conto era frutto d’immaginazione ma ci sono almeno due cose terribilmente vere che dobbiamo riconoscergli: la prima è che aveva davvero ammazzato della gente. La seconda è che Cornelius aveva una grande capacità di dissimulazione, nonché di affascinare la gente con i suoi discorsi. Naturalmente si sceglieva la gente giusta, gente influenzabile ma che allo stresso tempo sarebbe satata in grado di pagarlo per i suoi servigi; drogati, per lo più, ma anche qualche alcolizzato e, quando gli andava bene, qualche spacciatore. Questa era la sua clientela. Chiaro è che spesso doveva accontentarsi di poco, ma a lui piaceva il suo lavoro. Il suo lavoro, già, ma qual era il lavoro di Cornelius? Cornelius non era un killer, sebbene abbiamo appurato che avesse qualche morto sulla coscienza (ma Cornelius aveva una coscienza?). No, il lavoro di Cornelius non era ammazzare la gente, ma eliminare i problemi della gente, e siccome spesso i problemi di molte persone sono costituiti da altre persone, beh, ecco che ci scappava il morto.
Dunque Cornelius si trovava, in una piacevole mattinata di inizio giugno, insieme a Guidus, nella cantina del suo condominio.
-È lui il tuo problema?-
-È il grassoccio, è lui-
-Questo sfigato?-
-Questo stronzo deve spiegarmi un paio di cose-
-È il momento giusto per fargli sputare tutto- disse Cornelius prendendo una sorsata di birra -È imbottito di droghe, un mix di sostanze psicotrope collaudato ed efficace-
-Parla, stronzo!- gridò Guidus prendendo a calci il grassoccio che se ne stava per terra in un angolo della cantina -Perché non mi lasci in pace, perché?-
-I… i vizi- fece il grassoccio con voce appena udibile
-Cosa? Cosa ha detto lo stronzo?-
-Non ho capito- rispose Cornelius che nel frattempo era passato al whisky -picchialo più forte-
-Perché mi tormenti? Perché stai ammazzando tutta la gente del mio condominio?-
-Io non ho ucciso nessuno. Tu, tu devi smettere i tuoi vizi-
-Che cazzo importa a te dei miei vizi?!!- strillò Guidus così forte che gli fece male la gola
-I vizi sono la rovina del genere umano. Devi smettere, per il bene di tutti, smetti-
-Che cosa?-
-Smettila di perdere il fiato per lui- intervenne Cornelius -ammazzalo e dammi i miei soldi. O vuoi che lo ammazzi io?-
-Voglio essere sicuro che sia lui il responsabile di tutti i miei tormenti. Parla, stronzo! Io non riesco più a dormire la notte, con questa spada di Damocle sulla testa. Parla! Perché queste minacce? Perché quel denaro? Perché interessarsi dei miei vizi? E non dirmi che quelli capitati agli abitanti del mio condominio sono solo incidenti casuali-
-Io non ho ucciso quella gente- disse il grassoccio
-Mi pare evidente che sia stato lui- fece Cornelius -chi altri se no?-
-Io!- rispose una voce alle loro spalle. Guidus e Cornelius si girarono sorpresi. Nella cantina era comparso un personaggio alto e magro che reggeva una motosega.
-E questo da dove cazzo arriva?- fece Cornelius gettando la bottiglia di whisky da una parte e avanzando verso il nuovo arrivato
-È il volantinante!- esclamò Guidus
-Chi?-
-Sono un suo collaboratore- fece il magro avviando la motosega -Gli omicidi sono stati una mia iniziativa- continuò urlando per sovrastare con la voce il rumore della sega -ed ormai è giunto il vostro turno-
-Ma vaffanculo!- urlò Cornelius gettandoglisi contro -Mi fai una sega, questo è kung fu!-
Guidus deglutì paralizzato dal terrore senza minimamente riuscire a staccare lo sguardo dal braccio mozzato di Cornelius che sprizzava sangue sul pavimento della cantina mentre il magro gli si avvicinava tenendo la motosega bassa e inclinata, all’altezza dei suoi testicoli…

Poco dopo il magro ed il grassoccio, coi vestiti imbrattati di sangue, uscivano socchiudendo gli occhi nella strada assolata e si avviavano di buon passo verso un bancomat.
-Preleva tutto- disse il magro al grassoccio -dobbiamo sparire in fretta-
-Certo- fece il grassoccio -Ecco, è tutto quello che c’era sul conto, sono un bel po’ di soldi-
-E sono miei- rispose il magro strappandoglieli di mano, avviando poi la motosega ed aprendogli uno squarcio in pancia lì, di fronte alla banca. Le budella del grassoccio si rovesciarono sul marciapiede ed il grassoccio cadde sui propri intestini. Una signora ingioiellata che passava di lì lanciò un grido d’orrore; il magro le strappò la collana. Poi si recò alla fermata dell’autobus, e aspettò. Le altre persone che erano lì ad aspettare, vedendolo così conciato, con una motosega in mano, gli si allontanarono senza farsi troppo notare e dimenticarono d’averlo visto. Quando arrivò l’autobus il magro decapitò il conducente con la motosega e mise in fuga i passeggeri. Si sistemò al volante, mise in moto, fece suonare una cassetta dei Ramones nell’autoradio, prese il pacchetto di sigarette che l’autista si era dimenticato di portare nel suo viaggio per l’aldilà e se ne accese una sorridendo soddisfatto.
Aveva ucciso per un ideale? No, no; era solo vile denaro.

 

 

Guido Micheli, studente universitario, frequenta a Milano il corso in Lingue e letterature straniere (Inglese e Spagnolo). Le sue passioni sono il cinema, i fumetti italiani e la musica punk, è un ammiratore di Charles Bukowski e di Stephen King. Ama le birre belghe ambrate.

Questo è il suo primo libro.