i quaderni di Cico
 
 

 

 

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titolo:"IN VIAGGIO CON IL MIO MALE" (prefazione di Pino Roveredo - postfazione di Roberta Robbiano)
collana: i quaderni di Cico
autore: Gianna Piovesan
ISBN 978-88-95106-93-9
© settembre 2010 - € 13,00 - pp. 152
in copertina,
illustrazione originale di Simone Pieralli


“Essere centrato dentro di te: un tempo non pensavo neppure fosse un obiettivo da perseguire.
Questa malattia, la mia malattia sta dentro di me, insieme ad altre parti, mi sembra non soffochi, non schiacci, non comprima. Sono pervasa da un senso di quiete, di pienezza, il respiro si allarga nel mio corpo, la mia mente si acquieta. Sento la forza dell’universo intorno alla mia presenza. Pochi minuti, ma sufficienti a reintegrarmi nel flusso dell’energia cosmica.”

 

 

 

 

Prefazione

Ho appoggiato i gomiti sopra il tempo, abbassato la fronte sul foglio, steso lo sguardo sulle righe, e imprigionato dentro il giro stretto dell’attenzione, mi sono lasciato trascinare nel vortice di una storia, storia leggera come la poesia, stretta come l’ansia, potente come un verdetto, illusa come una speranza… mi sono lasciato trascinare dentro la storia di Gianna, una donna che non ho mai vissuto, ma che riga dopo riga, sillaba dopo sillaba, e virgola dopo virgola, mi è entrata nel sapere con la conoscenza del “sempre”.
Le parole di Gianna, o di questa amica senza incontro, mi sono entrate negli occhi, scivolate in gola, e scendendo giù nel petto, mi hanno circondato, abbracciato e scosso il cuore. Ho consumato i fogli ammirando la bellezza del sole, ubriacandomi col rumore dei temporali, riposandomi sulla quiete degli affetti, e sorprendendomi la distrazione con la sorpresa e valore delle piccole cose, quelle che ci passano davanti alla vita, e che spesso trattiamo con la superficialità di chi è convinto di essere proprietario del tempo.
Ho consumato i fogli di Gianna, e spesso traballando sugl’orli, soprattutto quando mi sono scontrato con la fame del mostro, un mostro che per tanta avidità si permette di devastare la giustizia dei colori imponendoti l’angoscia potente del buco nero. Su quelle pagine che mi hanno disturbato il petto e imbrogliato la scrittura con la confusione del pianto, ho anche cercato con tutte le forze possibili la salvezza colorata di una speranza…

Oggi, col dito dell’egoista, sto continuando a girare quei fogli, e più lo faccio e più mi sento attaccato a quel regalo meraviglioso che è la vita.
Oggi, anche davanti a un calendario che ha smesso di girare, ma con una memoria che continua a soffiare nel ricordo, mi concedo di vivere la bellezza di Gianna, e le sue straordinarie parole che raccontano una storia con la calligrafia dell’eternità.

 

Pino Roveredo

 

 

Brano tratto da: IN VIAGGIO CON IL MIO MALE

Premessa


Ho cominciato a scrivere le pagine di questo diario su sollecitazione di S. A., terapista della riabilitazione, a cui mi ero rivolta – dopo il primo intervento chirurgico e l’inizio della chemioterapia - in seguito a una conversazione con un amico e guidata nella decisione più dall’istinto che da una fredda e ponderata valutazione della persona e del genere di aiuto che offriva. L’istinto, come spesso accade, o per lo meno per quanto mi riguarda, mi ha premiato. S. mi ha aiutato, senza supponenza o imposizione psicologica, pur radicata in una ben precisa visione dell’essere umano e della malattia, a entrare dentro di me, ad esplorare i grovigli del mio mondo interiore, a familiarizzare con parti non ben conosciute e a coglierne le voci nel corpo. Emozioni e corpo: è stato questo il terreno su cui abbiamo lavorato. E del corpo - e quando dico corpo intendo le sue parti concrete come la pancia, il petto, le gambe, la testa - ho lentamente imparato a cogliere l’energia, il movimento di chiusura e di apertura, le risorse spesso sopite o non conosciute, la sua costante interazione con i miei stati d’animo. S. mi ha spinto a mettere sulla carta, a materializzare nella parola scritta i moti dell’animo, a cogliere anche attraverso la lettura la possibilità di vedermi riflessa e di rifletter me.
Ho scritto poco nell’anno immediatamente successivo alla scoperta del mio male1, in modo più continuativo in seguito. Lo scrivere ha gradualmente assunto una valenza terapeutica: non solo mi permetteva di incontrarmi e di esplorarmi nella pagina scritta, ma mi pacificava con me stessa e con il mondo, aveva il potere di lenire le mie ferite e di alimentare i sentimenti positivi, di liberarmi da esperienze dolorose mentre nero su bianco le depositavo sulla pagina; alcune volte poi è diventato una forma di meditazione, non perché io ne sia esperta o la pratichi con regolarità, anzi, ma perché, come la meditazione, infondeva riposo e quiete alla mente, mi staccava dal turbinio dei pensieri, mi metteva in contatto con una realtà che sentivo più grande rispetto a quella nella quale normalmente vivevo e vivo e che sapeva contenere quest’ultima.
Nel tempo ho poi pensato che la mia esperienza di scrittura potesse essere utile agli altri. Fosse un incoraggiamento a usare la parola scritta come strumento di cura da affiancare alle cure mediche di routine, a riscoprirne il potenziale di significato.
Ho anche creduto che usare la parola per scrivere della mia malattia potesse servire non solo a me, ma anche agli altri che vivono direttamente o indirettamente una situazione simile alla mia. Paure, timori, angosce, ma anche speranza, serenità, forza, consapevolezza, determinazione, volontà di dare una svolta alla propria vita, accompagnano il viaggio di chi un giorno, molto spesso senza averne avuto un preciso segnale, si imbatte in quella che tutti noi consideriamo come la malattia e in questo viaggio, che per molti aspetti si compie da soli, sono coinvolti anche gli altri che ti vivono vicino e con i quali tu hai condiviso e condividi per scelte, affinità, occasioni, la tua vita.

(...)

 

 

 

Gianna Piovesan (1954 - 2010) è di origine veneta ma vissuta a Ferrara, città nella quale ha frequentato il liceo classico e poi insegnato lettere nelle scuole superiori.
Impegnata nel sociale e nel volontariato, attenta alle problematiche giovanili, questo è il suo diario postumo, frutto del percorso di ricerca che ha scandito i tre anni della sua malattia.