temalibero
 
 

 

 

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titolo: "BAR MATTATOIO"
collana temalibero
autore Mauro Fodaroni
ISBN 978-88- 97424-16-1
€ 12,00 - pp.137 - © 2012 in copertina, “Taglio netto”, illustrazione originale di Stefano
Giombini
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1. Michele si risveglia in ospedale. Anita, una vicina di casa che ha conosciuto due giorni prima, gli dice che era in coma farmacologico.
Michele ricorda quello che gli è successo: il pomeriggio al bar, lo zio Sante, il rimprovero di Satana, Anita stessa, il Chiodo che gli ha dato la siringa con l’eroina e il ritorno a casa, dove ha trovato sua madre a tavola con la gola tagliata uccisa da suo padre.

2. In ospedale arriva un prete che si propone di aiutarlo: gli offre un lavoro in uno scatolificio.
Michele va a trovare il padre in carcere, ne esce turbato perché lo vede sereno. Pensa che per sentirsi meglio dovrà fare la stessa cosa. Investe un cane con l’auto. Si pente immediatamente e lo porta dal primo veterinario. Il cane dovrà essere operato e costerà molti soldi.
Michele decide di chiedere un anticipo, ma la sua collega, che lui descrive come un’arpia puzzolente, si offre di dargli dei soldi in cambio di sesso. Michele accetta.

leggi la bellissima intervista di Giuseppe Iannozzi a Mauro Fodaroni

 

 

 

 

 

 
   
 
3. Michele scrive canzoni e poesie, invia i testi agli editori che trova su internet e ad un forum di poeti contemporanei tra i quali conosce Fiore. Si classifica finalista ad un concorso e viene chiamato alla premiazione in un agriturismo in Toscana, lì incontra Fiore. I due fanno l’amore, tutto sembra andare finalmente per il verso giusto ma lei...
 
 

 

Brano tratto da "BAR MATTATOIO"

(...)

Mi feci riaccompagnare al bar a prendere la bici per tornare a casa. Una sensazione di leggerezza accompagnava le mie pedalate. Mi sentivo bene, in armonia con la natura, con le auto che mi passavano accanto. Mi sentivo in pace con tutto e con tutti. Avevo fatto la cosa giusta,
un gesto nobile. Ero un uomo sensibile che dava amore e generosità al prossimo.
Mi misi a salutare quelli che incontravo. Il ragazzo del negozio di alimentari che non salutavo mai mi rispose con l’indice. E anche quella risposta mi parve una dimostrazione di affetto: non voleva dirmi “fatti fottere” ma semplicemente mostrarmi la mia posizione tra il genere umano: “sei il numero uno”.
Entrai nella mia via, a tre isolati da casa. Superai la casa del barbiere, quella dell’operaio che fa
i turni di notte, quella della vecchia dei gatti. Dalla casa di Mandrake uscì Chiodo.
Avevamo fatto le elementari e le medie insieme al Sacro Cuore, era il primo della classe.
A quattordici anni perse la testa per Laura, una del Borgo. Lei non solo lo rifiutò, ma non mancava occasione di prenderlo in giro davanti a tutti durante lo struscio in piazza. La stronza si mise con un calciatore della squadra del paese, uno che veniva dal sud, che lo avevano comprato per vincere il campionato, investendo tutti i soldi di cinque anni di budget. Lo aveva sposato a metà campionato dopo la chiamata di una squadra professionistica, immaginandosi in tribuna Vip nel settore “mogli dei calciatori” a parlare, con le altre fortunate “accalappia cavallo vincente”, di gossip mondanità e scarpe firmate. Una settimana dopo il matrimonio, al campioncino, durante un contrasto contro Brozzi Sauro detto Martello, partirono menisco, rotula e legamento crociato. Lei si dovette trovare un lavoro all’Iper di San Biagio e lui, dopo un mese di matrimonio passato equamente tra silenzio e indifferenza, se ne è ritornato al paesello natio, lasciando alla moglie anche un bel pacco regalo da sfamare e crescere da sola. Al Chiodo andò peggio. Il giorno del matrimonio di Laura si fece la prima pera e dopo quella ne vennero molte altre.
- Fanti! Ciao bello, come butta? - non mi diede neanche il tempo di rispondere.
- Vedi amico, ho un problema, c’è la madama che mi bazzica la casa, se mi trovano con la roba mi rimandano in comunità. Lo sai che vuol dire per me andare un’altra volta in comunità?
- Che vuol dire?
- Vuol dire che non la potrò più vedere.
- Chiodo, ancora non te la sei tolta dalla testa?
- Ci vediamo adesso, sai?
- Ci esci insieme?
- Non ancora, per ora la saluto quando vado a fare la spesa all’Iper.
Mi immaginai la scena di lui che va avanti e indietro per comprare un pacchetto di siringhe alla volta, solo per dirle “ciao”.
- Lei ti risaluta almeno?
- Non sempre, però l’ultima volta mi ha detto di salutarle mio fratello.
- Ma tu sei figlio unico.
- Be’ che significa? Comunque, ti dicevo, ho preso della roba da Mandrake e non posso proprio portarla a casa. Fino alle nove ci sono i miei vecchi e loro pensano che sia pulito adesso. Me la tieni tu? Quando se ne vanno ti tiro un sasso alla finestra e me la butti di sotto. Ti prego. Adesso sto bene a tra poco mi servirà e il Mandrake non ricevo dopo le nove.
In qualsiasi altra occasione lo avrei sfanculato in un secondo, ma non oggi, ero troppo pieno di peace & love e nessuna mia azione avrebbe dovuto contaminare il mio stato d’animo.
- Ok Chiodo, dalle nove sarò in camera mia. Quando vedrai la luce accesa, lanciami un sasso e ti butterò giù la roba.
- Grazie amico. Un’ultima cosa: occhio che la spada è pronta.
Mi diede una cartella militare di quelle che usavano negli anni Settanta e qualche sfigato ha provato a riproporre senza successo qualche anno fa.
Zigzagai tra le auto di quelli che rientravano dal lavoro. Dovevo muovermi altrimenti mi sarei dovuto sorbire le rotture di scatole di mia madre. Rientrare in ritardo significava ascoltare le sue lagne sul rispetto, sulla mancanza d’affetto che io e quello sciagurato di mio fratello non siamo mai stati in grado di darle. Il buonumore era solo un ricordo ormai. Solitamente il rientro in casa era preceduto dalle urla
di mia madre che se la prendeva con mio padre per ogni minima stronzata, tipo una bolletta del telefono troppo alta o la luce del bagno accesa. Quel venerdì però non udii nessun rumore, né grida, né piatti rotti, niente. Quiete. Entrai in casa. La televisione era spenta. Mio padre stava tranquillamente seduto a tavola col piatto vuoto. Quando mi vide si alzò e prese il tegame con la cena e si versò lo spezzatino sul piatto. Mi disse che mi sarei dovuto sedere ché altrimenti la cena si sarebbe freddata.
Mia madre, seduta al suo posto, era con la testa sul piatto. La coperta era intrisa. A prima vista mi sembrava che una bottiglia di rosso si fosse rovesciata e che lei, ubriaca, fosse crollata nel sonno dei migliori devoti di Bacco. Mi avvicinai. Non era così. Il vino era al suo posto, i suoi occhi erano aperti, la coperta intrisa di sangue, la sua gola tagliata.
Urlai. Forte, fortissimo. Caddi all’indietro. Mi rialzai, corsi nel bagno e chiusi la porta. Inspirai, espirai. Sentii il cuore al posto dell’ombelico. Tutto bruciava. Il respiro cominciava a mancare. Aprii lo zaino militare, presi la pera del Chiodo e Amen.

3.
Mi ritrovai in ospedale. Dopo due giorni di sonno forzato mi svegliai. Mio zio Sante doveva avermi portato le mie cose: due pigiami, un paio di pantofole, tre magliette bianche, qualche paio di mutande e il beauty.
Come colleghi di stanza avevo un vecchio, con evidenti segni di cirrosi sulle guance e sul naso e uno semiincosciente con gli occhi sbarrati...

(...)



 
Mauro Fodaroni

 

 

 

 

 

Mauro Fodaroni, classe '75, è nato a Città di Castello (PG).
Ha scritto di poesia e di narrativa.
Questo è il suo primo libro.