Alessandra
Piccoli
Tè
Verde
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Recensione
di Antonella Lucchini
per il numero di Aprile 2016
della rivista di Letteratura e arte varia
Bibbia D'Asfalto
Come
si legge un libro di poesie?
In una volta, 50 poesie come le tessere di un domino, la prima inizia
la sequenza, le altre a pioggia? Oppure a sorsi, lenti.
Per commentare "Tè verde" (ed. Cicorivolta), la seconda
raccolta di Alessandra Piccoli, mi è venuto spontaneo leggerle
tutte, una dopo l'altra, in una sera. Perché lasciarsi travolgere
da una slavina di parole cucite in apparente inattinenza, è una
"morte" fascinosa, irresistibile. Trovo che lo studio e la
ricerca attorno al linguaggio, stiano alla base dello scrivere, scrivere
poesia in particolare, e Piccoli ne è portatrice impetuosa ed
esigente: "…/abbaiando al frigo muto/…" (da Ramingo),
"…/che afferrano pianeti rossi/immersi nei miei spazi alcolici"
(da Il respiro delle amarene) sono solo due esempi.
Ricorrono e si rincorrono termini nelle poesie di Alessandra: sostantivi
che riportano parti del corpo (mani e dita, fra tutti), aggettivi e
sostantivi che ci restituiscono la sensazione di freddo, direttamente
o indirettamente (sasso, marmo, freddo, gelo, neve), frequenti riferimenti
all'aria o al vento, al cibo.
Poesia del corpo, poesia di pancia. Poesia d'amore. E qui, è
necessario fissare uno spartiacque, che in questo genere di poesia individuo
nel lessico, sostenuto dal linguaggio. Il distinguo è d'obbligo
perché le poesie di Tè verde non sono post-stilnoviste,
termine che io impiego in tono "diminutivo", intendendo quei
testi pieni di termini banali, retorici, il cui senso è quasi
sempre la contemplazione dell'amato/a: poesia d'amore bassa e orizzontale.
No. L'amore di cui parla Piccoli (difficile, pensoso, dolente, eccetto
l'amore bello e viscerale per i figli) è sostenuto da un lessico
di notevole rilevanza, mai banale, estremamente creativo e proposto
in un linguaggio che a volte pare azzardato, inattinente, come detto
più sopra, ma per questo affascinante e penetrante, spiazzante
e coinvolgente, che la rende immediatamente riconoscibile. I vocaboli
quasi mai sono "difficili"; l'autrice ci insegna che la poesia
passa, ci filtra, se le parole sono quotidiane, di facile assimilazione:
è il loro gioco, è saperle sapientemente avvicinare (questo
è talento) la differenza che fa di una poesia un opera d'arte
e non una lista della spesa.
La prima volta che la lessi, anni fa, restai molto colpita dall'introduzione,
un po' spregiudicata, del cibo, come parte del suo lessico. Se ne trova
traccia anche in questa raccolta. Non si dimentichi che si parla di
poesia d'amore: amore e cibo si sostengono a vicenda, come elementi
nutritivi imprescindibili, in un interscambio originale e molto azzeccato.
Poesia alta e assolutamente verticale, che passa attraverso, che scosta
la pelle, a volte brutalmente, e finisce in circolo, cibando il lettore.
A chi servono poesie di questo tema e tenore? In un momento culturale
in cui parlare di sé (e non uso il termine autobiografismo per
pietas cristiana nei confronti di chi aborre IO in poesia) sembra un
autoreferenzialismo pedante e inutile, ha senso parlare dei propri mali?
E' egocentrico ed egoista non parlare di ciò che pure si vede,
nel mondo?
Sorrido sempre un po' quando leggo critiche che smontano le poesie d'amore.
Il nostro mondo non è un mondo di soli vegetali, è un
mondo di persone. Tra loro, molti fortunati hanno vissuto o vivono l'amore,
tra alti e bassi, felicità e suicidi dell'anima. Quanti vivono
le stesse pene, gli stessi smottamenti interiori! Quanti, quindi, si
possono identificare nelle parole di Alessandra, quanti, leggendola,
si leggeranno? Già due non sono più IO, ma noi, e l'universalità
non è un magma di tanti Noi?
Si scrive di ciò che viene a galla, soprattutto nel caso della
nostra autrice che, quasi come una scrittura automatica, rilascia angeli
e demoni del suo inconscio in mezzo alle parole, per loro mezzo.
Antonella Lucchini
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