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titolo
"La
fisica della felicità" (romanzo)
collana
i quaderni di Cico
autore
Piero Proietti
ISBN
9788897424079
euro
12,00 - pp. 157
in
copertina, "Qué lástima!"
by Paolo West.
In
una piccola redazione romana, tra flirt e odiosi dispetti, carrierismi
e torbidi intrighi, si incontrano Max, ex professore di provincia approdato
al giornalismo, e Pardini, reporter inflessibile e idealista.
La storia di una bella e salda amicizia scorrerà attraverso passeggiate
in bicicletta, escursioni in montagna e incontri spesso contraddistinti
da estemporanei discorsi filosofici, passando per vicende umane stringenti
in attesa di soluzione. Quali sono, in questo indecifrabile e pazzo
mondo, le cause dellinfelicità persistente che tiene in
scacco luomo moderno? Forse gli eventi stessi, a volte dolorosi
e spietati, suggeriranno ai protagonisti latteggiamento più
conveniente per preservare un briciolo di lucidità, scorgendo
in extremis la luce della fisica della felicità.
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Brano
tratto da La
fisica della felicità
(...)
Pardini
aveva molta esperienza; era un esempio, uno da prendere a modello per
intraprendere un mestiere tanto competitivo. Il suo nome era noto in mezza
Italia. Al contrario, Max Galassi era uno sconosciuto; il giornalismo
era per lui un vecchio sogno che aveva tanto perseguito e mai raggiunto,
perché non aveva mai incontrato congiunture favorevoli. Le sue
amicizie erano poco influenti e determinanti. Poi la svolta, un incontro
inaspettato, la persona giusta al momento giusto, quando si era ormai
adattato al ruolo del professore di provincia. E non è detto che
non sarebbe tornato a esserlo, vista la delusione che continuava a ricevere
da quella professione così poco aderente agli ideali e alle immaginazioni
giovanili. Non era assolutamente questo il giornalismo che aveva in mente
e quindi aveva la sensazione di essere solo di passaggio; prima o poi
sarebbe tornato tra gli studenti, alla cattedra di filosofia e storia.
C'è quindi da dire che prima che colleghi, Max e Pardini erano
degli amici, nonostante la differenza di età. Se uno ascoltava
Pardini, pensava a un vulcano in eruzione, con fiammate e zampilli a ripetizione:
il classico giornalista. Sempre pieno di idee, di trovate, abile ad avere
ogni volta un argomento di conversazione. Pareva inesauribile. A conoscerlo
a fondo Pardini era tutt'altro: un introverso, insicuro, timido. In alcune
occasioni persino problematico. Pardini vedeva il giornale come un mezzo
al servizio della gente e non come opportunità di successo o strumento
di intrattenimento.
"Credo che il nostro lavoro non sempre sia onesto" ammetteva.
"Perché?" chiedeva Max.
"Perché le spariamo grosse".
"Be', siamo giornalisti
È il nostro mestiere".
"Il nostro mestiere sarebbe dire la verità, illustrare le
cose così come sono. Noi recitiamo, facciamo spettacolo".
"Che cosa è la verità?" chiedeva Max con un po'
di provocazione, dando al discorso un tono filosofico. Dopo tutto era
la sua materia.
"La verità? La verità è la massaia che non ce
la fa a tirare avanti con uno stipendio da fame e il marito che lavora
in nero" rispondeva Pardini a suo modo. "La verità è
la gente che vediamo tutti i giorni sull'autobus, immersa in mille preoccupazioni,
stressata e depressa. La verità è la gente chiusa in sé
stessa, sopraffatta dalla vita, incapace di comunicare con gli altri perché
ha paura di rivelare la propria fragilità".
"Forse la nostra missione è far dimenticare a questa gente
l'orrenda realtà. Almeno per un momento".
E Pardini: "No, non basta. Non possiamo giustificare la menzogna".
In un'altra occasione Pardini rivelò che a volte avrebbe voluto
far parlare le persone più comuni, spingendole a entrare nel vivo
di un discorso, per vedere cosa avrebbero tirato fuori.
Max rispose che era un'idea bizzarra, il direttore non l'avrebbe mai accettata.
"Molti storcerebbero il naso, lo so. Ma chi fissa le regole, dopotutto?
Chi decide che cosa è lecito e cosa no?".
Non che avesse tutti i torti, ma la società funziona attraverso
meccanismi a volte rigidi che permettono la convivenza di un variegato
panorama umano. Pardini invece mirava all'essenza delle cose, senza farsi
problemi etici o estetici. Poi c'era l'argomento principe, primario, quello
che gli stava più a cuore, di cui aveva come un'esclusiva, quello
a cui aveva dedicato tutta la sua carriera e per il quale era maggiormente
conosciuto: la collusione tra politici corrotti e imprenditori d'assalto
dalla mentalità mafiosa negli appalti pubblici. Era da anni che
denunciava e metteva in luce intrighi, imbrogli e nefandezze di ogni genere.
Diceva che quello era come un pozzo senza fondo; più scavava e
più scopriva illegalità. Aveva fatto di questo filone di
cronaca un filone inesauribile e sempre ricco di sorprese, un suo cavallo
di battaglia, un punto fermo del personale programma professionale. Insomma
era il suo impegno prioritario, quello che gli permetteva di mettere in
pratica in qualche modo la sua idea di giornalismo, quel giornalismo al
servizio della collettività di cui tanto parlava.
Si era ambientato da tempo a Roma, la considerava ormai la sua città.
Veniva dalla provincia di Imperia, a due passi dal confine francese. Se
ne era andato via molto presto, appena divenuto maggiorenne. Ma si era
sposato molto tardi, quando aveva ormai superato i quarant'anni; ed era
diventato padre quando si avviava verso i cinquanta. Tutto filava liscio,
almeno apparentemente; fino a quando non si accorse che c'era di mezzo
un altro uomo. Forse c'era da molto tempo prima e non l'aveva mai capito.
Ebbe molti dubbi: su sé stesso, su sua moglie e anche su suo figlio.
No, sul bambino no, perché la somiglianza era così evidente!
Era quasi un suo sosia. Nonostante ciò fu una catastrofe, in breve
si separò, poi iniziò la pratica di divorzio. La sentenza
definitiva fu traumatica: abitazione e affidamento del figlio alla madre,
il vitalizio per il bambino a lui. La casa era stata pagata con un mutuo
che Pardini si era accollato in prima persona. Non sapendo dove altro
andare, per qualche tempo dormì nel camper con il quale faceva
viaggi. Poi si trovò un monolocale ricavato da un ex garage, di
proprietà di un amico. Più della metà dello stipendio
gli partiva per il mutuo della casa, dove sua moglie alloggiava insieme
al suo nuovo compagno, e per il vitalizio di suo figlio, al quale cercava
di non far mancare niente. Voleva che sentisse l'affetto del padre, nonostante
la forzata lontananza stabilita dalla legge. Si vedevano periodicamente,
così come aveva deliberato il giudice, e in quei giorni, crollasse
pure il mondo, lui non mancava mai. Credeva molto nella famiglia ma quell'evento
gli confuse
molto le idee sull'argomento. Si sentiva ingannato. Spesso diceva che
era stato prodotto un dolore sconveniente per tutti: per sé, per
il bambino e persino per la sua ex moglie. Soprattutto lo rattristava
la sofferenza, che l'uomo spesso si procura con troppa leggerezza.
(...)
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