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Tiziana De Pace
TempInVersi

intervista all'Autrice nel Paese delle Meraviglie

di Giuseppe Iannozzi



1. Iniziamo con un domanda difficile, perché devi e mi devi convincere della bontà della tua proposta letteraria: il tuo libro, TempInVersi (Cicorivolta Edizioni) si apre con una citazione da Sylvia Plath. Oggi sopravvivono poche donne-poeta, in particolare due o tre, Saffo, Emily Dickinson e Sylvia Plath, tutt’e tre molto impegnative, anche per il lettore più scafato. Dunque, chi è Tiziana De Pace?

Credo non siano impegnative, sono invece in grado di creare immagini chiare e nitide nella mente di chi legge, di arrivare con forza in fondo all’anima. Penso, più che altro, che a molti manchi il coraggio di rapportarsi a scritture di questa intensità. Non c’è una gran propensione ad accettare le debolezze proprie, riconoscendole tra le righe di debolezze altrui, ma questo è un discorso talmente ampio… quindi …sì, cito Sylvia Plath, o meglio, cito un suo verso. Mi innamoro degli scritti prima che degli scrittori. Questo è fondamentale. Empatizzo fortemente con alcuni artisti, non posso negarlo, ma arrivo a conoscerli attraverso quello che raccontano tramite i loro scritti. Sylvia Plath, tra l’altro morta suicida, ha vissuto una vita tormentata, intimamente, sempre al limite, con quella malinconia dolce fissa in fondo agli occhi, che traspare anche dai suoi versi. Citarla è stato il mio modo di darle ancora voce. Di riscattarla.
Chiusa questa piccola parentesi Tiziana De Pace è una donna in crescita. Definirmi non servirebbe a nulla, perché non posso dire di esserlo, definita. Al contrario sono in continuo mutamento, sempre alla ricerca e ciò che conta dopotutto, non è chi io sia, ma quello che sono, i libri che scrivo. E’ più semplice sapere di me attraverso loro che attraverso una auto-definizione.

2. Quali autori hanno contribuito a darti un po’ di sé? E’ la tua scrittura il parto di una maturazione profonda, e io credo non sia stato per niente facile.

Mio padre collezionava libri. Fin da piccola, essendo sempre stata una bambina molto solitaria, per scelta, ho preferito i libri ad altro. Inizialmente guardavo solo le figure, poi, dai cinque anni in su, ho iniziato ad allenarmi alla lettura alternando le Fiabe dei Fratelli Grimm ad “Alice nel Paese delle Meraviglie” di Carroll, passando per “Cuore” di De Amicis e finendo alle Poesie Thailandesi e Coreane. A dieci anni ero già innamorata di “Cent’anni di solitudine” e de “Il Ritratto di Dorian Gray”. A quindici divoravo De Sade e Lautreamont. Amavo Baudelaire e sognavo con Tolkien. Passavo ore in compagnia dei Vampiri di Anne Rice e mi lasciavo devastare da Madame Bovary. Sono andata avanti così, in altalena.
La realtà è che sono nata e cresciuta ibrida. Dentro è come se fossi spaccata in due. Non c’è un equilibrio perfetto tra le due parti di me, ma, al contrario una netta differenza. Io sbalzo, uso dirlo spesso, vivo a metà tra purezza e inferno, da sempre. Ho il mio mondo fatto di spazi incontaminati, Piccolo Popolo, Sogni, Magia e Incanto, e lì viene fuori il mio lato bambino che conservo e difendo con passione. Dall’altro lato c’è la me che si scontra e incontra con la vita. Che scende in strada, coltiva fobie, fa errori, vive di stomaco. Che si mette in discussione, fa i conti con traumi. Delusioni. Brutte realtà. Che si frantuma e ricompone mille volte al giorno. Le mie letture nascono dai bisogni intimi del momento. Cammino osservando gli scaffali delle librerie e so che ci sarà un libro pronto a scegliermi. Non sono io a decidere, è lui ad attirarmi a sé, a voler venire via con me. Fino ad ora, nessun libro ha sbagliato e fino ad ora solo tre libri sono riusciti a riunire le due parti di me, “La Divina Commedia”, “Le scarpe rosse” di Joanne Harris e “La casa degli Spiriti” di Isabel Allende. Inevitabilmente il mio modo di essere si riversa anche nella scrittura. Ed è lì che le due me riescono a convivere, a ricongiungersi, a volte, andare in giro a braccetto.

3. Difficile dire se TempInVersi sia poesia o prosa. La mia opinione è che trattasi di una narrazione imbastardita, prosa e poesia per dar corpo a un tutt’uno. Vorrei parlassi della gestazione della tua nuova opera, sotto un profilo tecnico, di stile, di emozioni provate durante la fase creativa anche.

Viene naturale continuare sull’onda della risposta data alla domanda precedente, perché il discorso fatto per le letture da me predilette e per il modo di essere vale anche per l’approccio alla scrittura che ho. Prosa dura e imbastardita, come tu la definisci, per la parte più reale e nera di me, poesia per la parte sognante. Scrivendo riesco a dare sfogo ad entrambe le nature e lo stile si è modificato, è cresciuto, si è plasmato seguendo il mio stato di evoluzione interno. Più cresco, imparo, sperimento, più lo stile prende forma. Questo mi piace. Mi piace l’idea che nulla sia finito e definito ma sempre in continuo movimento. Diciamo che questo appartiene un po’ a tutto quello che scrivo. La particolarità in “TempInVersi” è più che altro la scelta della punteggiatura, nell’esporre i concetti, quello si, è fortemente voluto. Nella prima storia troviamo una scrittura irriverente, in corsa, distorta e contorta, parole legate e una punteggiatura assente o non pertinente. E’ così anche la protagonista. Che sente sfuggire la sua identità, che non ha un nome, che è fatta e sfatta, poco lucida e incoerente. Nella seconda storia fa da padrona la superficialità. Lo stile di scrittura è molto infantile, il racconto è brevissimo e scarno esattamente come il mondo da cui decide di fuggire la protagonista.
Nella terza e ultima storia troviamo invece romanticismo e poesia, tra le pieghe e le righe di un vivere spietato e della tragicità in se per se. E’ uno scrivere poetico, che segue un po’ le onde del mare. Morbido, coccola, si spezza. Va e torna.
“TempInVersi” lo sento molto. C’è tanto di me in tutte e tre le storie. In tutte e tre le donne. E’ stato come chiudere tre cicli della mia vita e imprimerli su carta prima di voltare totalmente pagina e iniziare un’altra avventura. Un po’ come quando finisce una storia d’amore, “TempInVersi” è il mio addio a tre parti di me, che comunque porto dentro e che ora sono tasselli di quella che è la mia essenza. E’ stato faticoso ripercorrere alcuni eventi, richiamare alla memoria personaggi, fatti, scene, emozioni, è stato come spogliarsi, come mischiare sangue e sudore all’inchiostro, ma questo non può che rendere ancora più vive le tre donne di cui racconto.

4. Conosci Isabella Santacroce? In un certo senso il tuo lavoro mi ricorda un po’ la sua scrittura sospesa fra poesia e dannazione un po’ sadiana un po’ romantica.

Tocchi un tasto a me caro e allo stesso tempo dolente. Molti associano alla sua la mia scrittura. Premetto di apprezzare molto Isabella Santacroce, di aver letto tutti i suoi libri e di ritenerla tra le mie scrittrici contemporanee preferite. Oggi però tu mi dai modo di sfatare definitivamente la “leggenda” che mi vorrebbe suo “clone imperfetto” . Ti chiederai: Come?
Ti racconto come Isabella Santacroce è entrata a far parte della mia vita.
Agosto, caldo bestiale. Sono in macchina con degli amici per andare al mare e squilla il cellulare. A chiamarmi è un mio caro amico scrittore, da Roma, scherzando mi chiede se ho per caso pubblicato un libro, “Lovers”, sotto pseudonimo. Lo prendo in giro. Lo pseudonimo è “Isabella Santacroce”. Penso stia solo scherzando, mi dice che a lui pare assurdo, ma sembra “la mia mano”. Chiedo ai miei amici di fare un salto in libreria, quel libro esiste, lo compro. Lo leggo in spiaggia, isolandomi. Accolgo Isabella Santacroce e tutto quello che ha da raccontare. Attraverso le parole e tra le righe, soprattutto. Da allora non ho più smesso di leggerla. Di attendere i suoi scritti. Di sentirla a me affine, però ecco, ci tengo a precisare, la mia scrittura è indipendente da lei, non subisce la sua influenza, è nata prima che la conoscessi.
Una volta ho anche provato ad inviarle una copia del primo libro, “Lyberty Mode”, accompagnato da una lettera in cui le dicevo che a tratti ero spaventata da questa “somiglianza” e che probabilmente qualche frammento della nostra essenza si sarà accoppiato da qualche parte del mondo, un giorno. Cose così insomma.
Peccato, non mi ha mai risposto.
Mi sento quindi di affermare, che forse, sono più romantica di lei.

5. Scrivi di tuo pugno la quarta di copertina (ideale) per TempInVersi, anche in considerazione di queste parole di Paolo West: “Non so se alla fin fine questo testo sia prosa o poesia, ma credo che se ti poni questo dubbio, allora, novantanove su cento, è poesia.”

Devi sapere che ho sempre avuto la tendenza a guardarmi dal di fuori, in molte occasioni. Quando “TempInVersi” l’ho sentito completo, pensare a come un occhio esterno avrebbe potuto descriverlo è stato il primo passo. Da questo pensiero nasce “TreParole”, che poi è stato inserito come Epilogo, ma che voleva essere, inizialmente, un’idea per la quarta di copertina.
Oggi sono cambiate molte situazioni, mi avvicino a questo scritto in modo diverso diverse sono le sensazioni rispetto ad allora, questo devo ammetterlo, ma, non per questo cambierei di una virgola il primo pensiero di allora, quindi, la mia quarta di copertina sarebbe:

“ TempInVersi racchiude l’universo un po’ disprezzato dell’abbandono.
Della perdita di se stessi. Del disamore.
Raccoglie i cocci di tre donne. Tre esistenze in corsa che perdono il ritmo dei tempi
e si ritrovano a scegliere appoggiate al seno di una solitudine esistenziale e opprimente cosa farne.
Cosa farne di sé. Cosa farne del domani.
Cosa farne del tempo che resta.
In tre storie tre visioni di conti alla rovescia a tratti drammatici e romantici, spietati forse, ma veri.
Tre urla disperate (e un solo quadro).
Tre ritratti di un mondo sfiorato.
Metabolizzato. Raccontato.
Stralci di vita e visioni oniriche.
Autobiografia in pillole e incubi diurni.
TempInVersi è vita che scorre. Si ferma.
A volte riprende.”

6. Tre donne per tre spietati ritratti di disamore e compassione. A chi ti sei ispirata per scalpellare le immagini di queste tre antieroine al femminile?

Tre donne per tre spietati ritratti di folle amore e perdizione direi io. Non ho intenzione di negare l’evidenza, tutto parte da me. Da quello che ho vissuto in prima persona e lì dove non c’è autobiografia, da quello che ho visto, percepito, colto, assorbito dalle mie amiche, dalle persone che ho incontrato, che ho ascoltato, vissuto, che vivo. Tutto è frutto di esperienze e avvenimenti reali. A questi poi, si sono aggiunti le immagini, i volti, le storie di donne che hanno dato a me qualcosa, attraverso i loro scritti. Sylvia Plath, Alda Merini, recentemente scomparsa, cui lascio un pensiero affettuoso, Pamela Moore, Charlotte Bronte e tante altre. Questo non vuol dire che ci sia DI LORO in questo scritto, c’è PER LORO. Credo sia sostanzialmente diverso.

7. In TempiInVersi ci sono degli elementi autobiografici o diaristici? Credi nel potere curativo della scrittura?

Assolutamente sì. Tutte le situazioni che ho affrontato nella vita, positive o negative non importa, le ho metabolizzate, superate, risolte, esclusivamente e totalmente grazie alla scrittura. Ho iniziato a scrivere costantemente e assiduamente dopo la morte di mio padre, per curarmi. Non ho più smesso. L’arte, in svariate forme, ci tengo a precisare, è stata la mia àncora di salvezza, il modo migliore per esorcizzare paure e dubbi e tristezze, per mettere a nudo le mie contraddizioni, per guardarmi dall’esterno e trovare soluzioni, chiudere cicli. Darmi risposte. Non riesco a non scrivere di me, di quello che vedo/tocco/respiro/vivo/sento. Non mi piace tra l’altro l’idea di dovermi documentare, fare ricerche, affannarmi, per poter scrivere. Sento di essere nata per “parlare” di quello che conosco, ed io conosco davvero solo ciò che vivo.

8. Non lo sapevo ma gestisci un negozietto fantasy. Che personaggi frequentano il tuo negozio, e soprattutto: sono per te motivo di riflessione, di ispirazione?

Sì, Il Portale Magico. Nel corso di questi tre anni di vita è diventato un piccolo covo di sognatori e Magia. Una piccola isola felice dove la gente ama rintanarsi a respirare un po’ di Fantasia, lasciando al di fuori della porta tensioni e difficoltà. Le anime che si avvicinano al Portale hanno tutte una sensibilità superiore, sono in grado di “sentire”, “percepire”, attraverso un quinto senso e mezzo come direbbe Dylan Dog. Hanno tutti un forte legame con la Fantasia, con un altro mondo che credono, come me, possibile. Credo sia fondamentale per me non perdere il contatto che ho sempre avuto fin da ragazzina, con ciò che mi ha tenuta in vita. Salvata in più occasioni, sorretta. L’incanto infantile nutre la parte sognante di me e contrasta la parte reale nei momenti in cui tenta di prevaricare, creando non pochi problemi. Il Portale Magico e tutti i suoi abitanti, Elfi, Fate, Folletti, Streghe e buffi Troll ci sono per questo, per regalare un po’ di Magia e qualche Favola a chi come me si sente braccato, a volte imprigionato e spesso lontano da un mondo grigio e così cinico e indurito, da far sbiadire i colori. Per onore al vero devo però precisare che allo stesso modo, attraverso l’arte di strada, gli spettacoli con fuoco, i Luminal, tengo stretto il contatto e nutro la parte reale di me, contrastando la parte sognante quando tenta di prevaricare e portarmi troppo distante da quello che è il mondo che mi circonda. Ho bisogno anche di questo, di sentirmi carnale e terrena. Di godere del bianco e del nero che fanno parte di me allo stesso modo.
Entrambi i mondi non sono motivo di ispirazione e riflessione. Loro sono le mie tane. Al di sopra di ogni cosa. Anche di ciò che sento.

9. TempInVersi potrebbe appartenere a qualche corrente letteraria ben definita? Se sì, spiega il perché.

Non credo di poter rispondere alla tua domanda per un motivo molto semplice. Non mi sono mai posta il problema. Non amo particolarmente le definizioni, e di conseguenza sono molto distante da tutto ciò che è sinonimo di “appartenenza”. Mi piace pensare che “TempInVersi” possa restare libero. Un libro in libertà. Così come sono liberi i testi che ho letto e liberi saranno quelli che leggerò. L’unica corrente a cui lascio spazio è quella intima. Ad ogni libro il suo posto dentro, in base alle corde che ha toccato, i nervi che ha scoperto, le emozioni che ha suscitato.

10. Quale urgenza ti ha spinto a scrivere? Il tuo libro porta al lettore un messaggio sociopolitico?

C’è bisogno di ritornare a rivendicare il diritto ad avere i propri spazi. Territoriali, sociali, vitali e soprattutto intimi. Soprattutto c’è bisogno di ritornare a rivendicare il diritto ad essere. Ho sempre vissuto in un clima di forte indifferenza e molto marcata superficialità e ho in prima persona sperimentato la tendenza della gente ad “emarginarti” e “criticarti” ed “etichettarti” pur di trovare un nome, una casella, un ghetto a cui farti appartenere per riuscire a non farsi destabilizzare da una diversità troppo evidente. Anche solo affermare di trovare dolce la malinconia è bastato per essere etichettata come dark, paranoica e via dicendo. Vivere troppo intensamente e manifestare troppo apertamente, a volte esasperatamente, alcuni malesseri intimi ha avuto come conseguenza visite psichiatriche che mi hanno resa apatica e incapace di provare emozioni troppo a lungo. “Basta un poco di zucchero e la pillola va giù!” come si suol dire. Mi rendo conto, ora che da adolescente mi ritrovo donna, che la situazione diventa ogni giorno più insostenibile. C’è una censura in continuo aumento e un dilagare di patologie come la depressione a rendere la vita insopportabile. Nevrosi che si materializzano. Si uccide anche per un parcheggio non ceduto. Crollano i pilastri marci fondati su anni ed anni di proibizionismo e tabù. Iniziano a venire fuori i drammi portati alla ribalta da vite spese ad essere all’altezza dei modelli imposti dalla società. La violenza tra giovani dilaga, l’uso delle droghe e dell’alcool come anestetizzanti all’insoddisfazione e alla noia raggiunge picchi altissimi. Vedo tutto, intorno a me, tranne la naturale predisposizione ad essere se stessi. Ognuno di noi ha un lato scuro che va riconosciuto, accettato e curato con attenzione e intensità come i lati attivi e propositivi. Mi piacerebbe che la gente avesse il coraggio di uscire di casa la mattina e riprendersi il sorriso, le voglie, i progetti, il futuro. E allo stesso modo il diritto a mostrarsi triste, deluso, incazzato. Vorrei che si ritornasse a ricordare quanto tutto era più semplice, quando da bambini, a veder qualcuno piangere, si piangeva con lui. E il sorriso era contagioso, come gli sbadigli, né più né meno. Parlare e scrivere di belle storie e lasciare ai media e all’informazione di massa per me fortemente deviata, tra l’altro, il potere totale sulla cronaca di ciò che accade nell’universo un po’ fuori dalle righe è troppo semplice. C’è un cinismo devastante sotto i miei occhi, tutti i giorni. Crescente. Non mi piace. Nonostante tutto io sono per le Favole.

11. A chi consiglieresti di leggere TempInVersi? Per quali motivi?

Come ho già detto i libri dovrebbero essere liberi di scegliere da se i loro lettori. Mi piacerebbe però che arrivasse come un dono. A chi pensa ci sia una inarrivabile bellezza nella tristezza, a chi vive le sue malinconie in silenzio, a chi si sente solo e non capito e spera di trovare voce attraverso le parole di un’altra “anima affine”, per sentirsi meno nota stonata. Andrei in giro per strada e ne discuterei con tutti in punk’a’bestia in circolo. Con chi ha sulla pelle i segni. Con chi cede. Con chi si perde. Lo presenterei nei Centri di Igiene Mentale, nelle cliniche che curano i disturbi alimentari, nelle comunità. Ne parlerei a chi li gestisce e a chi ci si rivolge. Ai genitori che ci portano i loro figli. Ai volontari che prestano servizio. Mi piacerebbe che ci fosse gente ad acquistare una copia e spedirla ad un CIM piuttosto che lasciarla tra i cartoni in stazione…
Soprattutto, lo regalerei a tutti coloro che si voltano dall’altro lato.
Probabilmente però, non lo capirebbero. Addirittura, non lo sfoglierebbe nemmeno.

12. Che cosa ti aspetti da questo tuo nuovo libro, il secondo dopo Lyberty Mode pubblicato nel 2005?

Mi aspetto o meglio, spero, che sia in grado di scegliere, come i libri che scelgono me. Che finisca tra le mani di lettori appassionati, che si appassionano. Che in lui ci si riconosca. Che si faccia voce. Appiglio. Coscienza. Amico. Risposta. Soluzione. Compagnia. Cura.

13. Hai dei progetti in cantiere?

Sì, più di uno. Porto a termine i miei progetti solo quando si sommano. In caso contrario perdo voglie e concentrazione e quindi, al momento, sto lavorando a due progetti differenti.
Il primo, +Duel- , sulla scia di “TempInVersi”, la storia di un corpo di donna che si fa condanna. Di un amore taciuto e vissuto segretamente. Della vita che riesce ancora a stupire con effetti speciali.
Il secondo progetto è un lavoro a quattro mani in cui ho trascinato la mia amica Maria Luigia, che si occuperà delle illustrazioni. Si tratta di una Favola gotica, che mi stimola particolarmente e mi sta dando molte soddisfazioni, già solo a pensarci!
Poi, piano piano ritorna a fare capolino un vecchio scritto che avevo totalmente accantonato, ma lui non è ancora pronto a nascere. Lo lasciamo al caldo ancora un po’!

14. Senti il bisogno di ringraziare o di mandare al diavolo qualcuno che ha o non ha creduto in te?

Ci sarà sempre chi affermerà che “non basta mettere paroloni uno dietro l’altro senza senso per fare di me un poeta”, questo per dire che tendenzialmente chi non crede in me, non crede in me come persona prima che in quello che scrivo. Non ho mai dato molto peso a chi ha certi pensieri anche perché sono diretti al “poeta” e non “alla poesia”. Sarebbe inutile quindi mandare al diavolo per così poco e perdere tempo dietro critiche personali non costruttive, sì, tutto tempo e concentrazione tolti al lavoro. Al contrario invece, sento il bisogno, come già faccio quotidianamente, per non correre il rischio di trovarmi, come una volta mi è accaduto, con parole non dette, di ringraziare tutti coloro che a loro modo mi spronano, mi incoraggiano, mi criticano e mettono positivamente e costruttivamente in discussione. Grazie, siete dei motori.

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