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"Madrigale"

Valentina Santomo

Uno straordinario esordio
di Giuseppe Iannozzi


Navighiamo in Rete credendo con assoluta ingenuità d’aver abbattuto le frontiere dello spazio e del tempo, solo perché qualche anno or sono, nel 1989, il muro di Berlino cadde spianando la strada al business. Al mercato globale. Ci crediamo padroni di noi stessi solo perché qualcuno ci ha raccontato che tanto, ma proprio tanto tempo fa Caino ed Abele furono fratelli e che Caino uccise Abele, facendo così in modo che l’umanità discendesse tutta da lui e da lui solo. Ci illudiamo che conoscere una persona sia amore eterno, per tutta la vita, quando questa non è neanche un battito di ali di fronte a quell’immenso che è l’universo, nonostante noi si faccia di tutto per illuminarci (di immenso). In un mondo sempre più vasto, fatto di città di cemento e di peccati babilonici, nella confusione delle lingue da quando l’ira di Dio buttò giù la torre di Babele, noi piccoli mortali, come formiche instancabili, continuiamo ad attraversare semafori, a scrivere poesie e lettere, lettere che poi non abbiamo il coraggio d’imbucare. Ma che la nostra lettera finisca nella buca o meno è solo un dettaglio di poco conto, perché tanto il postino continuerà a bussare sempre due volte, per l’eternità, alla porta di qualcuno. Abbiamo così tante certezze che è come se non ne avessimo alcuna. Allen Ginsberg scrisse che anche “il buco del culo è santo”, ma se corri fino alla fine del mondo per salvarti da te stesso non ci riesci mica! Il fatto è che se uno è figlio di Caino, allora tutti sono uguali (compromessi); però si racconta che Dio mandò suo figlio sulla Terra perché a trentatré anni potesse finire sulla croce, perché la croce diventasse il simbolo estremo che l’umanità avrebbe continuato a perpetuare nel nome del Padre.
“Madrigale” di Valentina Santomo è un libro scritto in maniera particolare, l’abbozzo di un caos, per una stella danzante. “Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante”, scriveva F.W. Nietzsche. “Madrigale” non è un romanzo, non è un racconto. Ma è entrambe le cose, pur non appartenendo né alla categoria 'romanzo' né a quella 'racconto lungo'. E’ un madrigale? Forse che sì, forse che no. Però è scritto con gran gusto e stile, per certi versi dannunziano. Forte è anche l’impronta d’una religiosità sospesa fra cristianesimo e buddismo che, partendo da quadri adamitici per sfociare come fiume in piena in ritratti biblici, dà corso a una poesia favolistica d’intrecci, di ricami, di manifesti d’indipendenza e di decadenza.
La scrittura di Valentina Santomo non può che impressionare in positivo il lettore, da subito: non è la solita storia diaristica di chi si racconta, né una scrittura di quelle scontate dove sin dall’incipit si finisce col capire come si evolverà il Tutto. E’ invece una ricerca passionale ed appassionata della propria Psiche vagabonda, alata, anarchica, libera d’incontrare cose e persone, di camminare su laghi di fango a piedi nudi. Una scrittura decadentista che non dimentica la cognizione del dolore di 'essere al mondo', né la religiosità. Forte è anche la critica al materialismo dialettico; in certi passi, “Madrigale” disegna un sentimento poetico à la Sylvia Plath. Valentina Santomo include nel flusso di coscienza scrittoria tante influenze, spesse volte agli antipodi: è così possibile (ri)scoprire in questa autrice poesia alata ed estetismo, spiritualità ed esistenzialismo. Così ci indirizza l’autrice: “Immagino il madrigale come la parte di un arazzo dal ricamo fitto e coloratissimo. Alcuni fili arrivano da lontano e saranno gli stessi a ricamare l’ultimo elemento.”
Navighiamo sul fiume della vita, quasi mai consapevoli che un fiume non è una strada dritta e vuota che si possa percorrere a tutta birra. Ma quand’anche esistesse una strada così, credo che se uno ha un po’ di sale in zucca, in ogni caso, ci penserebbe su due volte prima di portare l’auto al massimo dei giri: magari la strada è proprio dritta e vuota, però nessun santo in paradiso ci assicura che la macchina reggerà la velocità. Un fiume è. Ma un fiume è soprattutto di affluenti, di diramazioni, di scogli: di imprevisti mortali, eppure necessari tanto al fiume quanto a chi lo naviga. Tutto questo è “Madrigale” di Valentina Santomo: non è poco, non è tanto. Ma è. Ed è per le ragioni qui spiegate, che “Madrigale” merita un’attenta lettura o più di una, perché ogni volta è un immergersi nel flusso della vita e della morte, che è di egoismi maschili, di muliebri atti di sconsiderato amore.