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Brano
tratto da "ONIRICO
NAIF "
Uno
Seduto
a fissare la fiamma che arde e crepita nel camino tra gli alari, quasi
somigliasse a una supernova esplosa, mi sento ad un tratto afferrare da
dietro le spalle e trascinare in una spirale, come in un buco nero da
dove la luce non esce, al bordo dellorizzonte degli eventi. Sono
uno che vive nel pianeta terra, allinterno della galassia della
Via Lattea. Guardo nel profondo del cielo, nel passato di altri miliardi
di galassie.
Quale è stata quella forza che mi ha trasportato in unera
che non è la mia? Queste voci che sento e che mi hanno spinto in
questo periodo mi fanno capire che sono io la persona designata a questa
missione. Una missione per il recupero di misteriose chiavi. Subito il
feeling con queste entità svanisce allarrivo di un raggio
luminoso, ho una visione: da un punto non ben definito inizia a manifestarsi,
come in un caleidoscopio in una molteplicità di immagini, come
un fuoco dartificio che ha la sua caducità, un essere di
sembianze umane. Il pensiero di definirlo e il sentirsi afferrare in un
abbraccio colmo di speranza è un tuttuno. Con parole di un
segreto arcano che questessere cerca di dirmi e con il passar delle
parole in quella frazione di secondo, come è comparso se ne va
scomparendo, avendomi messo unansia e una responsabilità
grandissima, affinché quelle parole che ho recepito io possa portarle
a compimento.
Catapultato con i miei jeans e scarpe da tennis, nei dintorni di un castello,
mi sento osservato, sento di essere un pesce fuor dacqua e la prima
cosa che
Una bastonata e i sensi vengono meno. Al mio risveglio
mi trovo incatenato, in un luogo da me non definito, con la testa pesante
che guarda il pavimento di falesia. Un millepiedi fa capolino da una crepa
e guardandomi incuriosito sembra dirmi:
«Benvenuto nelle segrete!».
Ho dolori lancinanti ai polsi e alle caviglie. Le catene a cui sono legato
fanno fuoriuscire incessantemente rivoli di sangue dalle carni arrossate
dalla stretta del ferro. Mi trovo in una posizione obbligata, sospeso
come un ragno che mi scivola a ridosso del viso, e zamppettando sul suo
filo sembra mimarmi che sarebbe facile anche per lui sorreggersi alle
catene, che mi legano con la schiena, madida di sudore, nella dura roccia
di una costruzione ormai arcaica.
Un rumore di chiavi, il giro allinterno di una toppa e si apre la
porta. Viene scaraventata a terra unesile figura e odo parole:
«Che siate maledetti!» con un filo di voce di donna.
A rispondere sopra quella figura gettata a terra, due energumeni bofonchiando
tra loro:
«Sarà arsa al rogo anche lei, come gli oltre duecento già
arsi vivi per il loro credo» quasi non ascoltando le parole della
figura in penombra, continuano:
«Tra un po arriverà la sua ora, quando verrà
interrogata da Sua Eminenza!».
Presa per le mani, la figura viene incatenata al muro, nella stessa posizione
nella quale io mi ritrovo legato. Ho un solo pensiero per la testa riuscire
ad uscirne al più presto e a tutti i costi. Sento sbattere la porta
della secreta angusta, che si richiude con un rumore assordante. Domando
alla donna esausta: «Potrei sapere di grazia dove mi trovo? E tu
chi sei? Perché ti hanno usato lo stesso trattamento che hanno
usato con me?».
Dalla penombra mi arriva la risposta:
«Sono una veggente e tu sei rinchiuso nel castello di Montsaltur,
dove ormai di vivo dei suoi villani ce nè ben poco!».
Ecco la risposta alla mia constatazione. La situazione mi rimanda ad un
eremo della bassa Francia, dove per eresia si fecero ardere al rogo duecentocinque
persone.
La Veggente prova a chiedermi:
«E tu chi sei? Da dove vieni? Quali sono i tuoi costumi?».
Ora mi rimane un po difficile risponderle, trovandomi in una realtà
che non è la mia. Forse le ore passate in questa posizione mi hanno
debilitato. Provo a darle una risposta riuscendo a pronunciare solo il
mio nome con un filo esile di voce:
«Mi chiamo Riccardo!», ma perdo nuovamente i sensi.
Due
Che
risveglio brusco! Sferzato da un secchio di acqua ghiacciata, mi ritrovo
sveglio tra urla e bestemmie. Ci sono almeno cinque persone che maltrattano
a male parole e in maniera poco ortodossa la Veggente che si divincola
dalle frustate infertele da una di quelle figure, che quasi riempiono
quel luogo tetro. Ad un gesto della mano del loro capo, che indossa una
tunica con una grossa cintura, alla quale tiene legate grandi chiavi,
tutti si fanno da parte e dalla porta appare una figura opulenta, lasciva
e viscida nei modi, con gli occhi che sembrano roteargli allinterno
delle orbite, mossi da qualche cosa che non ha nulla di umano.
«Le pergamene, maledetta dove le nascondete? Parla o per te linizio
deve ancora arrivare!».
Così esordisce quellindividuo senza eguali appena entrato
nel tugurio. E subito un pugno sferrato allo stomaco della sventurata,
da uno degli aguzzini, fa vomitare la povera donna in un misto di sangue
ed un verde come se avesse rigettato la bile. Nemmeno il tempo di riprendersi
e un pugno sul viso la fa trasecolare.
«Cosa state facendo maledetti?». Mi sono uscite farfugliate
le parole, sicuramente piene di paura. «Per quale ragione mi avete
condotto in questo posto angusto? Il motivo di questo incatenamento? Chi
siete?».
«Sono io che faccio le domande! Mi chiamo Sua Eminenza Bapoleon
e solo a sentire il mio nome dovresti tremare. Presiedo il tribunale dInquisizione
della Religione!». Questa la risposta del lardone. Poi, continuando
la sua presentazione:
«Noi combattiamo leresia! Questa oltre che filosofica può
essere anche di costume. Tu non indossi una tunica! Devi essere processato,
quindi, per eresia!».
Rivolgendosi alla donna, rimasta nuda allaltezza delle sue prosperità,
uno degli aguzzini le da due scudisciate e spellandole la pelle dei seni
la fa infine svenire. Non mosso a pietà Sua Eminenza, quasi con
rabbiosa angheria, sputa sul pavimento dando ordine a quella marmaglia
di uscire dalla cella e rimandare le sevizie al giorno dopo, avendo come
programma nella serata un processo per eresia dal sapore particolare.
Quasi a ricordarmi di trovare una soluzione per uscire da quella strana
e drammatica situazione, dove paradossale, tutto diventa più riottoso
da digerire in quella anomalia spazio temporale. Ritornano le parole dette
come in un alito ormai senza forza, di essere lantesignano per uno
strano gioco del destino, dove la casistica si intreccia alla necessità
di una spinta che porti alla soluzione di questo rompicapo, dove non ho
avuto un freno inibitore a fare si che io potessi prendere subito la situazione
in mano.
Miliardi di miliardi di stelle sembrano inserirsi nei meandri del mio
cervello. Sulla corteccia celebrale gli assoni interagiscono coi dendriti
quasi a scoppiare i minuscoli capillari, dove la rossa linfa vitale scorre
incessantemente, facendo domandare alla materia grigia, il perché
di ciò?
Tre
Rientrano,
in un tempo non definito, in quel luogo senza avvenire, angusta topaia,
che sa di dolore e puzzo misto a sangue e sudore, i torturatori che iniziano
a tormentarmi con pugni di ferro, colpendomi ripetutamente sul viso, senza
tregua, facendomi più volte mancare i sensi, ma loro senza pietà.
Con un ghigno Sua Eminenza afferma:
«Tu sei un adepto degli eretici?». Pone la stessa domanda,
più volte e più volte, come nella sua vita ripete il suo
credo fatto soltanto di ipocrisia. I suoi occhi intanto si illuminano
di una luce sinistra. Continuando:
«Voglio dirti che, ieri quando siamo usciti dallinterno di
questa cella, abbiamo svolto lennesimo processo per eresia. Prima
di raggiungere questo obbiettivo, come avrai potuto notare, non siamo
andati troppo per il sottile. Vogliamo da te la confessione che tu sia
un eretico! Comunque la tua fine è certa. Il rogo e la tortura
o soltanto il rogo?».
Pieno di rabbia gli rispondo:
«Ho la certezza che voi facciate finta di agitarvi, ma il mio destino
già lo avete deciso!».
Come un turbinio che avvolge se stesso, gli occhi di Bapoleon fanno mulinello,
dal lato sinistro della sua bocca, fuoriesce una schifosa salivazione
e aggiunge:
«Hai a che fare con le pergamene?».
«Io non so di cosa stai blaterando!» gli dico.
Per tutta risposta, un calcio nel basso ventre, datomi da uno dei sorveglianti,
mi toglie tutte le residue forze. Rimanendo in uno stato semicosciente,
mi risuonano nella mente le parole pronunciate dalla Veggente, dopo la
tortura sistematica ricevuta.
Durante la notte trascorsa in delirio per la febbre avuta a causa delle
varie ferite profonde che rischiavano di infettarsi in quello stato sporco
e senza igiene, Agnese questo il nome della Veggente, ha ripetuto parole
sconclusionate: il Perfetto, il fine, il mondo che va in malora, la speranza
è ultima a morire!
La sventurata quando finalmente riapre gli occhi mi dice che dobbiamo
trovare il modo di uscire da quella situazione infernale e andarcene da
quelleremo portando via il Perfetto Fulco con le pergamene, che
racchiudono linizio della ricerca delle chiavi della Conoscenza,
nascoste in luoghi segreti.
Nei miei stati di semi incoscienza maturo un piano, come se un fulmine
mi avesse dato la carica, dico ad Agnese:
«Nella mattinata quando giungerà laguzzino capo a rifocillarci,
prima del processo, dovrai fare finta di lasciarti andare. Quando lui
penserà finalmente di averti in pugno, farai in modo di sfilargli
le chiavi e trovare il sistema di darmele. È la nostra sola possibilità
di fuga da questo posto maligno!».
Finito di argomentare, un giro di chiavi stridulo e la porta della cella
si apre. Il sorvegliante, porta due catinelle di acqua e un tozzo di pane
secco, ed afferma:
«Vi darò lopportunità di mangiare e lavarvi.
Per questa operazione vi libererò una mano e con la sola provvederete
a far ciò, in modo che nella giornata possiate presentarvi decorosamente
davanti al tribunale dellInquisizione!».
Il secondino poggia a terra le catinelle con il tozzo di pane, che a contatto
con il pavimento suona come un sasso. Liberatami una mano dalle catene,
laguzzino mi porge una delle due catinelle colme dacqua ed
una parte del tozzo di pane spezzato con non poca difficoltà. Subito
dopo si rivolge ad Agnese. Il tormentatore le scioglie una mano e lei
prontamente, con fare morbido e voluttuoso, lo avvolge al gioco più
vecchio del mondo, sussurrandogli parole lussuriose. Mentre questo è
un tuttuno con le mani la donna gli bisbiglia nellorecchio:
«Se mi togli il resto delle catene non ti pentirai!».
Accecato dalla bramosia il carceriere prima di togliere definitivamente
le catene intima alla sventurata:
«Stai attenta donna a non giocare brutti scherzi, altrimenti la
tortura che hai subito fino ad ora è stata solo zucchero!».
Agnese furba, ancora più provocante, avendo già la mano
libera, tira a sé il carceriere che recependo le intenzioni della
ragazza la libera completamente. La Veggente, con fare scaltro, mi avvicina
il torturatore, intento nellopera di lussuria, riuscendo a sfilargli
il mazzo delle chiavi dalla cintura e a tendermele. Il persecutore travolto
dal turbine dei sensi, non si accorge che io sono libero. Con rapidità
colpisco quellessere immondo, utilizzando il grande lucchetto delle
catene, lasciandolo così interdetto. Il capo delle guardie si accuccia
con le mani sulla testa a mo di adulare una divinità a lui
sconosciuta.
La mia compagna di sventura, con velocità felina, ha il tempo di
colpirlo con una delle bacinelle più volte. Aggredisco quellesecutore
di ordini, con rabbia e foga dai maltrattamenti subiti, sperando di sopraffarlo
immediatamente. Lo colpisco violentemente con le catene stesse ma leffetto
sortito non è quello sperato. Riavutosi dalla sua falsa divinità,
il torturatore mi afferra per la gola e mi attacca a ridosso della parete
di pietre ruvide, lasciandomi quasi senza respiro. Agnese che non è
rimasta inattiva nel frattempo azzanna lenergumeno alla base del
collo, lasciandogli i segni degli incisivi, stringendosi poi alle sue
spalle, ma luomo da una forza inaudita, con uno scarto della mano
fa volare la donna quasi fuori dalla porta. Il padrone di quella cella
mi allenta la stretta al collo per lo sforzo profuso, riesco a dargli
una testata allaltezza occhi setto nasale e questa volta sortisce
leffetto sperato. Per esser sicuri che luomo abbia perso i
sensi gli assesto ulteriormente lenorme lucchetto sulla testa a
scanso di equivoci.
Agnese, riavutasi, mi da subito una mano a togliere il vestito al carceriere
o quello che è tale di questo periodo a me sconosciuto. Concordo
con la ragazza il piano successivo per la nostra fuga dal castello. Io
assumerò le sembianze del capo carceriere.
Essendo mattino presto, con la guarnigione ancora dormiente e la sorveglianza
al minimo, la Veggente mi conduce accanto la nostra prigione e vedo un
uomo allinterno di una cella più mal ridotto di noi. Utilizziamo
il fascio di chiavi sottratte al custode della prigione per poter aprire
la cella dove è rinchiuso il Perfetto Fulco. Questultimo,
finalmente libero, con fare prostrato dalle torture subite, rivolgendosi
a me e alla Veggente ci indica come si possa fuggire da quella situazione
assurda. Il Perfetto conosce alla perfezione il castello. Dalla stanza
dove precedentemente eravamo reclusi, la facciata di destra é preceduta
da un portico sopraelevato, risolto con un arco principale in corrispondenza
dellentrata. Questo è affiancato da due archi minori dove
sopra vi è una guardia di ostacolo alla nostra libertà che
sorveglia con fare minaccioso. La Veggente, con unocchiata dintesa
con il Perfetto, avrebbe distratto la guardia e lui lavrebbe messa
fuori gioco colpendolo con un mazzuolo preso nella stanza del custode,
che abbiamo messo a dormire con modi poco convenzionali. A quel punto
la via di fuga sarebbe stata libera. Giunti allaltezza dellarco
principale pensavo avremmo imboccato luscita ma, con mio enorme
stupore, ci siamo calati attraverso una piccola feritoia, in un pozzo,
scomparendo in questo modo dalla vista dei nostri ormai dichiarati nemici.
Il pozzo solidamente costruito per il rifornimento dacqua, per fronteggiare
eventuali assedi di lunghi periodi di nemici, ha perso la sua funzione,
a causa del tradimento di un adepto eretico che ha fatto crollare tutte
le misure di sicurezza.
Ad un tratto il Perfetto, con il lavoro di una lama di un pugnale, sottratto
anchesso al vessatore della prigione, toglie una piccola pietra
sullorlo del pozzo e infila lelsa nellincavo della pietra
mancante. Subito viene azionato un lavoro di leve idrauliche che abbassano
il livello dellacqua. Simultaneamente si apre un corridoio a salire
per un lungo tratto, pieno di ragnatele che bruciano al nostro passaggio,
a causa delle torce da noi accese, predisposte per illuminare una eventuale
fuga che ora noi stiamo portando a compimento. Arrivati alla fine del
corridoio, chiuso da un muro ciclopico, subito il mio pensiero va al modo
di aprire quella porta murata. Il Perfetto, senza proferire parola, ancora
una volta, con la lama del pugnale si china e toglie una pietra dal pavimento,
mette lelsa e il gioco è fatto. Stavolta con mia meraviglia
oltre ad aprirsi quel muro mastodontico, dal soffitto, attraverso un meccanismo
di contrappeso, si deposita sul pavimento uno scrigno di pietra, come
se fosse stato messo lì da una mano invisibile.
Il Perfetto, aprendo lo scrigno, si rivolge a me:
«il contenuto di questo forziere non deve cadere nelle mani di Bapoleon,
per dare almeno una speranza alle generazioni future. Tu sei il Predestinato!
Il significato di ciò ti sarà reso noto a tempo debito,
per adesso dobbiamo mettere al sicuro linvolucro».
A questo punto credo di essere uscito da quella situazione di pericolo,
senza senso, ma tutti e tre dobbiamo fare i conti con Bapoleon.
(...)
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